Linea d'ombra - anno VI - n. 28 - giugno 1988

DISCUSSIONI/BRODIR costantemente e non reca pace ai protagonisti di questo conflitto. Si tratta, qui, di un caso di rilevanza modesta, di una lotta tra province. La lotta per l'Alsazia-Lorena costituì invece seri motivi di preoccupazione e di rivalità secolari. Che cosa caratterizza la persistenza del conflitto mediorientale e che cosa ne impedisce la soluzione coi mezzi della ragione pratica? Sono due le caratteristiche che distinguono il conflitto del Medio Oriente da ogni altro. Un popolo, che vive sparso per tutto il mondo, ha deciso di avere uno stato per sé e reclama a questo scopo un pezzo di terra in cui duemila anni fa hanno vissuto i suoi antenati. La presa di possesso di questa terra, effettuata in modo sistematico e ponderato, viene definita "ritorno, ritorno a casa", sebbene nessuno di quelli che tornano a "casa" abbia mai visto il paese che definisce patria. Si tratta in realtà di un evento unico, che non ha paralleli nella storia recente. Paragoni col colonialismo europeo, con la presenza dei francesi in Algeria, dei belgi in Congo, degli italiani in Abissinia non sarebbero pertinenti. In tutti questi casi c'era una "madrepatria" da cui i colonialisti provenivano e in èui, dopo aver lasciato le colonie, poterono tornare. Gli ebrei che s'insediavano in Palestina costituirono anch'essi, in realtà, delle "colonie", non erano però rappresentanti dei loro paesi d'origine. Non interessava loro aumentarne il benessere e neppure pensavano a tornare poi da dove erano venuti. Rimanevano "russi", "polacchi", "tedeschi", per ciò che riguardava la lingua, la cucina, la cultura. Tuttavia, erano prima di tutto ebrei, arrivati in Palestina, la loro patria storica, per costruire lo stato ebraico, per non dovere dipendere dalla ospitalità o ostilità dei rispettivi paesi. Comprenderlo non è semplice, il ritorno degli ebrei in Palestina implica un elemento metafisico, incomprensibile coi mezzi dell'algebra politica. Se i romani di oggi, dopo duemila anni, reclamassero per sé la valle del Reno, si tratterebbe dello stesso caso, ma non paragona- _bile,poiché la nazione dei romani è già una realtà, e non esiste nella liturgia romana alcuna preghiera che inizi con le parole "il prossimo anno a Colonia sul Reno". Il secondo elemento che distingue radicalmente il conflitto in Medio Oriente da ogni altro, è il fatto che molte parti vi siano coinvolte. Nell'Irlanda del Nord si fronteggiano irlandesi e inglesi, nei Paesi Baschi baschi e spagnoli, in Alto Adige austriaci e italiani. È vero che in Palestina si combattono ebrei e arabi, sono loro a essere direttamente coinvolti, però su questo non riescono a dire molto. Molti altri partner si immischiano, dal Vaticano fino alla Repubblica Popolare Cinese. La Palestina è una everyman's land. La situazione non è nuova, già al tempo dell'impero osmanico i rappresentanti di stati europei avevano diritti sovrani in Palestina. C'erano una rete di comunicazioni postali russa, una tedesca, una italiana, una asburgica, le rappresentanze consolari esercitavano funzioni che, in uno stato sovrano, spetterebbero al governo. L'idea di internazionalizzare Gerusalemme potrebbe avere origine in questa tradizione, come pure lo sforzo della comunità europea di prender parte al conflitto mediorientale, a accompagnandolo con dichiarazioni, deliberazioni. Non passa mese che un qualunque politico della CEE si rechi a Gerusalemme per una f act-finding-mission e annunci la seria decisione da parte del suo governo o dell'Europa di trovare finalmente la formula per la giusta soluzione del conflitto. Politici, che tra di loro non riescono neppure ad accordarsi sulle sovvenzioni per la coltivazione del luppolo o sull'abolizione dei privilegi daziari, sanno molto esattamente in che cosa sbagliano ebrei e arabi in Palestina e che cosa dovrebbero fare per porre fine al conflitto. I diritti storico-metafisici degli ebrei sulla Palestina, che furono appoggiati dalla comunità internazionale solo sotto l'impatto del terrore nazista e per cattiva coscienza, e il coinvolgimento di terzi che svolgono ruolo di consiglieri da una distanza di sicurezza, rendono il conflitto mediorientale una questione stratificata, complicata. Solo questi due elementi basterebbero per rifornire di compiti a casa un esercito di politologi per un lungo periodo. Inoltre c'è un problema che fa assurgere la questione al rango di un'assurda messinscena, i cui interpreti principali parlano fin dall'inizio due lingue diverse e quindi hanno una reputazione sbagliata l'uno dell'altro. È come se dei cannibali e dei vegetariani cercassero di discutere sulla dieta giusta. I palestinesi vedono negli ebrei degli invasori, che in Palestina non hanno perso nulla e quindi non hanno nulla da cercare. Che cosa importa loro dei pogrom in Russia e della legge di Norimberga? Non sono responsabili delle persecuzioni degli ebrei in Europa e non vogliono, a ragione, pagare per le colpe degli europei. La vecchia nostalgia di Sion degli ebrei ("l'anno prossimo a Gerusalemme") non può spingere nessun palestinese a lasciare la sua casa o il suo pezzo di terra e darla di sua spontanea volontà a un immigrato ebreo. È pur sempre valido quel passo nella "Charta" dell'OLP, che non riconosce a nessun ebreo, arrivato in Palestina dopo il 1917, il diritto di patria e ne raccomanda il ritorno nel paese di provenienza. Gli acquisti di terra da parte dei sionisti fino al 1948, che furono avviati con latifondisti per lo più residenti fuori dalla Palestina, erano in realtà perfettamente legali, ma andarono a sfavore dei fittavoli palestinesi che coltivavano la terra poi venduta agli ebrei. E la soluzione di divisione delle Nazioni Unite fu attuata senza che ai palestinesi fosse chiesto il loro assenso. Essi videro nella decisione solo la sanzione del torto a loro fatto. Hanno dunque molti buoni motivi per rifiutare la "invasione sionista", per opporvisi. Dal loro punto di vista, Israele non è il piccolo Davide che combatte per la sua sopravvivenza, ma una potenza in continua espansione. Il territorio di Israele, dopo la guerra di indipendenza, era diventato più grande. E l'occupazione della costa occidentale e di Gaza non è considerata una situazione di passaggio, bensì un altro tentativo riuscito nel portare via ai palestinesi la loro terra. Essi non solo si sentono minacciati da Israele nella loro esistenza: lo sono veramente. E quanto meno riescono a trovare una spiegazione alle loro continue sconfitte, tanto più si rifugiano nel regno dei miti e delle leggende. Esistono palestinesi che affermano

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