Linea d'ombra - anno VI - n. 27 - maggio 1988

SAGGI/KOff loro ad andare dietro le sbarre!". Il colonnello Rozanski, che era al vertice della polizia e di cui si conosceva l'abitudine di prendere i prigionieri a calci sulle ginocchia, era stato arrestato la settimana prima. Volevo abbracciare Hedda, ma lei mi respinse gentilmente. Guardò il muro sopra la mia testa e disse calma: "Sono colpevole". Parlava con un tono completamente naturale, come se stesse partecipando a una conversazione intima. "Tutti noi siamo colpevoli, Janek. Venni ingaggiata in Spagna nel 1935. Accomodati nella stanza accanto e scrivi la tua biografia a cominciare dalla tua data di nascita. Ecco carta e matita. Non ti è permesso scrivere con l'inchiostro. Quando hai finito, restituiscimele, vai nella stanza accanto e ricomincia daccapo. Ricordati di numerare le pagine ... ". Una settimana dopo partì per un ospedale psichiatrico dove rimase ricoverata per alcuni mesi. Tornata, riprese a lavorare ed ebbe anche una bambina. La vidi in qualche occasione: aveva un'aria malinconica e sembrava sempre essere altrove. Ma aveva ancora enormi occhi celesti, limpidi come l'acqua. In quel periodo fu rilasciato anche Szczesny. Fu riabilitato e tornò a occupare il suo precedente posto di vicedirettore, però in "Vita di Varsavia" (Zycie Warszawy) e non nel giornale del Partito. Di tanto in tanto leggevo i suoi editoriali sul "trascorso periodo di errori e distorsioni", sulla nuova dirigenza, sul superamento delle quote di produzione prefissate ... A quanto pare ricominciò a bere. Non lo vidi per lungo tempo. Ci riincontrammo solo nel 1956 in una clinica di Stato. L'apparato, quelli che avevano ricevuto onorificenze statali, i giornalisti artisti attori e /iterati protetti avevano il diritto di servirsi di quella clinica. La struttura era lussuosamente attrezzata in confronto con gli altri ospedali polacchi, ma non godeva di grande stima neppure da parte dei dottori. lo fui portato nella mia camera dalla capo-infermiera, una donna brutta e vecchia. "Compagno professore", mi disse, "spero che ti renda conto in che ospedale ti trovi e che la metà dei nostri pazienti sono sepolti nei lotti degli Emeriti a Powazki". Andai in clinica per un'appendicite che fu in seguito complicata da una polmonite così che rimasi ricoverato per tre settimane. Quando cominciai a camminare per i corridoi, incontrai Szczesny. Si trovava in clinica per ulcera duodenale ed altri problemi allo stomaco: tipiche malattie da carcere. Era molto invecchiato, era ancora più curvo e con il suo pigiama a strisce sembrava che l'avessero appena liberato da un campo di concentramento. Camminava in modo molto strano. "Le ginocchia gli si piegavano all'indietro quando camminava", scrive Hanna Krall di lui in uno dei suoi racconti, Il sottotenente. Sapevo che era stato torturato più a lungo di chiunque altro. All'inizio confessò tutto e firmò perché era per il bene del Partito. "Compagno Szczesny", gli aveva detto Romkowski, il viceministro dell'Ordine pubblico in persona, al primo interrogatorio, "il Partito è in pericolo, devi aiutarlo ... ". Dopo un mese o due, però, comprese all'improvviso che qualcosa di terribile doveva essere accaduto e che era in mano a dei fascisti. Ritrattò tutto e fu allora che cominciarono a torturarlo. Inghiottì un chiodo; non ce la faceva più. Da quel momento in poi soffrì di ulcera duodenale. Venne rilasciato dopo cinque anni, proprio come Hedda. Quando ci reincontravamo, ce ne andavamo insieme a berci di nascosto una bottiglia di cognac della Georgia, sebbeno non fosse la cosa migliore né per la sua salute né per la mia. Non parlavamo mai di quello che era successo. A che scopò? mi disse una volta: "Che c'è da dire, fratello? Sappiamo già tutto". Sul mio conto si sbagliava: io non sapevo tutto. Il funerale di Szczesny si svolse cirèa cinque anni dopo il nostro incontro in clinica. La guardia d'onore sparò una salva. Qualcuno 38 portò sopra un cuscino le decorazioni militari e civili di Szczesny. Il Partito e il governo mandarono corone così pesanti che due persone facevano fatica a sollevarle. Due obesi compagni del Comitato centrale e il direttore di "Vita di Varsavia" tennero un discorso. I due compagni leggevano da certi appunti e descrissero l'inflessibile atteggiamento del compagno Szczesny e la bellezza della sua vita. Oltre cento persone accompagnarono il corpo di Szczesny al luogo della sepoltura: compagni vecchi, compagni nuovi, quelli che riuscirono a lasciare il Partito e quelli che ne furono espulsi, la polizia segreta e le sue vittime, aguzzini, pubblici accusatori e i loro prigionieri riabilitati che avevano tutti scontato dai cinque agli otto anni di carcere. Si era nel 1961.Gomulka era tornato al potere, l'Ottobre polacco era passato da un pezzo e gli zelanti del periodo "delle distorsioni e del culto della personalità" erano anche loro tornati alla polizia segreta e all'apparato del Partito. Al funerale i riti furono portati a termine alla presenza dei torturatori e dei torturati. La cosa sbalorditiva era che questo sembrava perfettamente naturale a tutti. M. mi riportò in città con la sua Volga nera. Non dicemmo nulla durante l'intero percorso. Solo quando mi ebbe portato a destinazione disse: "Non male come dramma di Shakespeare, eh?". F u l'inverno successivo a quell'autunno che Henryk Holland si buttò o fu buttato dalla finestra del suo appartamento al sesto o settimo piano nel corso di una perquisizione. Anche il suo funerale si svolse a Powazki, sebbene non nei lotti degli Emeriti ma in una zona nuova del cimitero dove le tombe sembravano svanire in un terreno vuoto. L'ultima volta che eravamo stati insieme ero nella clinicadi Stato in cui era ricoverato anche Szczesny. Henio aveva il mal della pietra e non so se lui o i dottori avessero escogitato lo strano esercizio quotidiano di scendere le scale della clinica, gradino per gradino, saltando a piedi uniti. L'ospedale aveva cinque piani e Holland se li faceva tutti saltando fino al pianterreno. Si divertivano tutti a vederlo e i pazienti che stavano meglio andavano a godersi lo spettacolo. Holland non se ne dava pensiero: gli piaceva essere il centro dell'attenzione. La gente gli chiedeva: "L'hai già partorita quella pietra, Holland?" Lo conoscevo da molto tempo. Era stato fra i primi a iscriversi nelle liste della Gioventù comunista dopo la guerra; a Lodz era nel giro de "La fucina" e partecipava ai comizi e alle conferenze del Partito. Aveva combattuto nell'Armata rossa e nel dopoguerra lavorava come inviato nella Polonia occidentale e anche in Germania. Me lo vedevo in un'uniforme mezza militare e mezza civile che era sempre troppo stretta per lui e aveva le tasche strappate agli angoli. Il buon soldato Svejk, sempre pronto a tenerti un dettagliato resoconto delle sue prodezze militari e sessuali. Né si offendeva quando non credevamo neppure a una parola di quello che diceva: non si prendeva sul serio. Ma, in effetti, non era un cattivo soldato. L'altro ricordo che ho di lui è legato-alla mia permanenza ali' Astoria, una casa di riposo per scrittori a Zakopane. Fummo insieme lì per due estati. La colazione era il momento culminante della giorn·ata, soprattutto quando pioveva da settimane, come accadeva spesso in montagna. I pensionanti scendevano in sala da pranzo dopo una notte insonne o passata a bere. Arrivavano lentamente, riluttanti come se andassero incontro alla flagellazione. "Allora, popolo, novità? ... Fisiche, psichiche o erotiche?" Una mattina Holland era sceso con un sorriso da un cirecchio all'altro. La sera precedente non si era presentato a cena e di solito

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