Linea d'ombra - anno VI - n. 24 - febbraio 1988

SAGGI/ANCESCHI nostra in stat de perfezion/per el beato asperges del baston!" (cfr., A Carlo Porta, vv. 181-198). Tutto ciò viene filtrato alla luce di un dolente senso della vita e della morte, mai disperato tuttavia perché sostenuto da una sorta di lucida e disincantata visione delle cose del mondo. Si veda a questo proposito come Tessa introduca la sua prima raccolta di versi con queste parole di Turghenev: "La cosa più interessante, nella vita, è la morte", e come, con atteggiamento analogo, apponga quest'altra frase di Valéry a mo' d'epigrafe in testa alla seconda raccolta di poesie: "Il mondo ha valore per ciò che è estremo, è permanente per ciò che è mediocre". La morte infatti, una morte ossessiva e al tempo stesso abituale compagna, è il filo rosso che attraversa tutta la sua poesia. Chiude i versi di Caporetto 1917 ("l'é el dì di morte dio!/l'è el dì di morte Amen"), apre, dopo la dedica all'amico Fortunato Rosti, le riflessioni sulla Mort della Gussona ("Tasche on pelo incoeu e creppi/come on can per la strada", ibid., Il, vv 1-2), per informare poi di sé tutta l'ode al ritmo di un ritornello popolare tra il familiare e lo spettrale ("l'è la Mort... (man muss, man muss/picca l'uss, picca la porta ... )/l'è la Mort. .. (man muss, man morta ... )/l'è la Mort che picca a l'uss", ibid., III, vv. 13-16), è sottesa ancora alle mille, sfortunate vicende della gente descu/ada, cui Tessa innalza, con una partecipazione, è stato detto, tolstoiana, e con un accento, aggiungo io, da finis Austriae, un monumento non dissimile da quelli a suo tempo elevati alle plebi milanese e romane da Porta e Belli, e si intrufola, alla fine, come fantasma sarcasticamente ghignante fra le suppellettili povere e consunte dei bordelli amministrati dalla Olga sopra ricordata poi ripresi, all'interno di una identica, tristissima temperie, nel copione di Vecchia Europa. Alle tristizie di questo mondo, che per vari rimandi hanno fatto pensare, sulla linea di discendenza della scapigliatura lombarda, e Dossi inprimis, al decadentismo più latamente europeo, a certo dolente crepuscolarismo, al simbolismo d'importazione felicemente individuato da Pasolini, ad un espressionismo infine già alle soglie della cultura surrealista (e i nomi sono via via quelli di Pascoli, Gozzano, Boccioni, Palazzeschi e, oltralpe, di Baudelaire, Verlaine, il minore François Coppée, Otto Dix, Hechkel e Beckmann), a questo mondo Tessa oppone, per parte sua, il taumaturgico antidoto costituito dall'arma dello stile, di una parola cioè particolarmente caustica e felice nel giovarsi, ad ogni occasione propizia, di una sorta di scatto mentale che si tramuta in uno sfottente e liberatorio scongiuro. Su questo piano anche Tessa, non diversamente da Gadda, per dirla con un lettore acuto come Pietro Gibellini, avrebbe teso ad unire i due corni dell'antitesi esistenti "fra l'ambizione costruttiva laicamente manzoniana, e la ribellione espressionista esemplarmente novecentesca, prodigiosamente europea". Ciò egli splendidamente esemplifica sul finire di De là del mur, quando, al ritorno da una escursione in bicicletta al manicomio di Mombello, la visione spaesante di uno struzzo placidamente trascinato al guinzaglio per le vie di Milano (si trattò di un abile battage pubblicitario per la presentazione di un film) restituisce al poeta quel gusto del sarcasmo e del paradosso, che, unico, gli offre l'opportunità di affrontare con gesto perfino involontariamente elegante le cose della vita: "Matta puttana! vedi/on struzza porta Volta!/ /Reclam del Trader-horn/del Film-miracol, chì/tra duu tram, incazzii/troeuvi on struzz ... t'ee capii?!/ /Sotta a on barocc-reclam/gh'è on struzz/viv, che me guarda!!"(ibid., vv. 377-383). Nulla di più naturale a questo punto che aggiungere Tessa a quella ideale galleria di Lombardi in rivolta tracciata, occorre dirlo?, da Isella in anni di lavoro e raccolti in quel bel libro del 1984 così significativamente intitolato, poiché, anche per Tessa, vale l'assunto 78 irrinunciabile di una moralità da raggiungere e da difendere attraverso l'uso di una letteratura che rifiuti programmaticamente, come già avvenne per Porta, per Manzoni, per Gadda, la finzione e la menzogna. Nel paese del gesuitismo trionfante la questione è ancora centrale. .-------@----. Edith Wharton Febbre romana racconti Otto racconti della gran dama della letteratura americana ognuno dei quali è un graffiante e arguto ritratto di una situazione, di un personaggio, di un tratto della natura umana. Barbara Pym Un po' meno che angeli romanzo Barbara Pym non delude mai: la sua formula, il suo linguaggio, la sua reticenza che trasforma ogni cosa in deliziosa ironia, non viene mai meno. La Tartaruga Edizioni Via Turati, 38 - 20121 Milano

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