LEGGERETESSA Giuseppe A nceschi La recente edizione delle poesie di Delio Tessa (L'è el dì di mori, alegher!, a c. di D. Isella, Einaudi, Torino 1985, pp. XXIII-585), un esempio tra i più splendidamente riusciti di fortunata combinazione tra consonanza di atteggiamenti, competenza filologica e amoroso lavoro di scavo, non è valsa a imporre in modo perentorio la figura del poeta milanese all'attenzione del grande pubblico. Le recensioni per la verità non sono state poche anche sulla stampa quotidiana e sui maggiori periodici d'informazione. Si segnalano fra esse quelle di P.V. Mengaldo ("La tribuna di Treviso", 20/XIl/1985), di F. Brevini ("Corriere del Ticino", 31/XIl/1985), di G. Giudici ("L'Unità", 16/1/1986), di F. Portinari ("La Stampa", l/Il/1986), di A. Arbasino ("L'Espresso", 16/Ill/1986), di P. Mauri ("La Repubblica", 2/IV /1986) e di F. Loi ("L'Indice", n. 4, aprile 1986), mentre le riviste specializzate sembrano essersene accorte con una imperdonabile degnazione, fatta salva qualche eccezione come l'ampia e talvolta puntigliosa riflessione di Ettore Bonora sul terzo fascicolo del 1986del "Giornale storico della letteratura italiana". Un ulteriore ma modesto sussulto di attenzione si è avuto poi in occasione della pubblicazione presso Bompiani della sceneggiatura cinematografica dal titolo Vecchia Europa (a c. di C. Sacchi e con una premessa di A. Stella, Milano 1986), parrebbe, nelle intenzioni dell'autore, destinata alla regia di René Clair. Ma anche le note di Camilla Cederna ("Panorama", I/Il/1987), di G. Pampaloni ('' Il giornale'', 16/IX/ 1986)e di G. Raboni (' 'La Stampa'', 22/Xl/1986), pur motivate da una evidente adesione sentimentale quando non da una competenza specifica tutt'altro che inopportuna, hanno lasciato le cose sostanzialmente al punto di sempre. Per la verità un tentativo di sistemazione critica si era pure avuto in occasione di un intelligente profilo critico dovuto a Franco Brevini e inserito in quella galleria di "ritratti critici di contemporanei" tenuta da ormai oltre quarant'anni da "Belfagor" (n. 4/1984). A questo ritratto, che si ricollegava idealmente a un analogo profilo uscito oltre trenta anni prima sempre su "Belfagor" per la penna dell'amico Carlo Linati (n. 3 del 1948), si può solo accostare un ampio medaglione redatto da F. Giannessi nel 1979per la collana dei "Contemporanei" di Marzor~ti. Poco altro. Converrà perciò aspettare che l'edizione iselliana riesca a determinare qualche ribaltamento di valori, come probabilmente non mancherà di fare nel prossimo futuro, anche se precisare alcuni dei motivi di fondo della differenza con cui la storiografia letteraria ha accolto uno dei testi fra i più significativi dell'intero Novecento è atteggiamento che si propone di dissodare il terreno nella stessa direzione. Ciò è avvenuto a mio giudizio per almeno un duplice ordine di concorrenti motivi. Da una parte cioè a causa della insufficiente riflessione sulla sostanziale suddivisione regionale della nostra letteratura, così come la pose anni fa, innovando radicalmente, un non dimenticato saggio di Carlo Dionisotti sulla geografia e la storia della letteratura italiana. Dall'altra, e in modo complementare, a causa del pregiudizio per così dire desanctisiano tuttora imperante, in forza del quale si continua a privilegiare la centralità del volgare illustre ben al di là di quel processo risorgimentale di unificazione di cui fu per altro, senza alcun dubbio, strumento decisivo. Le due cause, combinate da qualche tempo in modo perverso, sembrano ancora capaci di espungere dal dibattito attuale tutta la controversa ma incomprimibile vitalità ·della nostra tradizione regionale (si pensi, oltre a questa lombardo-padana, all'area veneta, a quella romana, a quella napoletana, a quella siciliana infine). Ora, tutta la ricchezza in senso lato macaronica della nostra letteratura, a lungo confinata ai margini dello sberleffo bernesco o 76 come espressione tout court restrittivamente regionale o ancor meno rinchiusa nel campanile cittadino, pur periodicamente rinsanguata da espressioni somme non a caso sempre trasgressive (il Baldus appunto del Folengo, il teatro del Ruzante, il Cunto de li cunti del Basile, e Porta e Belli, ma perché non anche il Baffo, per limitarci alle sole pietre miliari che non rinnegano anzi presuppongono la presenza di tappe intermedie variamente collocate e colorate), tutto il filone per così dire rabelaisiano della nostra letteratura non ebbe mai piena ed esplicita cittadinanza. Lo stesso Croce, gran cultore anche di cose napoletane e parte in causa determinante nella volgarizzazione del testo del Basile proposto già nel 1925 (!) e ultimamente ricomparso in una pregevole, nuova "traduzione" (a cura di M. Rak, Garzanti, Milano 1986),parve tuttavia incapace di muoversi al di là delle pur comprensibili esigenze nazionalistiche per strappare il testo napoletano ai supposti limiti vernacolari e imporlo all'attenzione della cultura nazionale nella su&integrità. Ci sono 1 volute le due esemplari edizioni delle poesie del Porta e del Belli (e quanto si gioverebbe, ad esempio, il Baffo di un simile filtro!), rispettivamente dovute a lsella e a Giorgio Vigolo, c'è voluto tutto il lavorio ormai cinquantennale della scuola continiana inteso a rileggere l'intera nostra storia letteraria sotto questa nuova angolazione, per recuperare via via su nei secoli tutto il comple$SOe variegato filone eterodosso così sp.lendidamente compendiato nella irripetibile pagina gaddiana. La sistemazione dell'intera opera poetica di Tessa che Isella propone si situa perfettamente all'interno di questa linea e giunge cronologicamente buon'ultima, almeno per ora, a coronare in modo unico per quantità e qualità un trentennale lavorio critico rivolto a illustrare il mondo e la cultura lombarda, con ciò colmando una inopinata lacuna e rimediando a un silenzio, apparentemente inspiegabile, che il suo maestro Contini aveva sempre riservato al poeta milanese. Il quale, pur morto appena cinquantatreenne nel 1939, era in fondo coetaneo di Gadda anche se di Gadda sconosciuto sodale, pur condividendone ampiamente origini e svolgimenti. Le sporadiche e assai numericamente limitate edizioni di Tessa costituiscono un altro dei capitoli inemendati della nostra produzione culturale recente. Addirittura, vivo l'autore, si ebbe nel 1932 una sola edizione di parte dei suoi versi, in una tiratura limitata a soli 1600 esemplari J')erla maggior parte invenduti, voluta presso Mondadori da quello straordinario personaggio che fu Luigi Rusca col titolo diventato poi emblematico dell'intera sua opera di L'è el dì di mort, alegher! Una seconda raccolta, cui Tessa in persona aveva a lungo lavorato e la cui stampa tuttavia aveva più volte rinviato, vide la luce soltanto n.el 1947per la cura di Franco Antonicelli e dell'amico fraterno di Tessa Fortunato Rosti (Poesie nuove ed ultime, Francesco De Silva, Torino 1947). Soltanto Scheiwiller, il milanese Scheiwiller, ebbe la sensibilità di riproporre oltre vent'anni dopo, nel 1960, il primo titolo secondo l'edizione originale ancora per la cura del Rosti associato questa volta al poeta e cultore di cose milanesi Emilio Guicciardi, e, nel 1974, una breve raccolta di passi (Alalà al pellerossa) dapprima espunti dal loro contesto perché espressamente antifascisti, e ora ricondotti finalmente alla loro lezione originaria. Sempre a Scheiwiller si deve la pubblicazione di una raccolta di prose di Tessa, naturalmente curate da Isella, a suo tempo uscite sul quotidiano milanese "L'ambrosiano" all'interno di una rubrica intitolata, come appunto il volumetto, Ore di città (Milano 1984). (Ed è significativo che presso lo stesso editore siano uscite alcune prose di Gadda, parzialmente destinate allo stesso quotidiano, ora riassunte sotto il titolo di Azoto e altri scritti di divulgazione scientifica, Milano 1986). Altre prose " ambrosiane"
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