Linea d'ombra - anno VI - n. 24 - febbraio 1988

SAGGI/MAFFI 74 Foto di Wlm Wenders (Schrimer/Mosel Verlag 1986). almeno cent'anni, da quando la nazione s'è data un assetto stabile, da quando la frontiera non ha più funzionato da valvola di sfogo e illusoria promessa, da quando il capitalismo industriale s'è affermato come sistema economico dominante. C'è oggi, nelle campagne d'America, un senso di sgomento. Sono anni di fallimenti, di terre perdute e risparmi sfumati, di fattorie sequestrate; e di suicidi e improvvisi scoppi di follia: proprio in questi giorni, le principali reti televisive mandano in onda uno spot sul libro-inchiesta che ricostruisce uno dei primi e più impressionanti episodi di follia suicida esplosi nelle campagne ... La storia dei contadini USA sembra ripetersi immutabile, come i cicli delle stagioni e dei raccolti: gli anni '80 e '90 dell'800, gli anni '30 del '900, questi nostri anni. E non sono allora un caso strano quei titoli ricorrenti nella cinematografia americana recente: Places in the Heart (Le stagioni del cuore), che guarda di nuovo alle desolate campagne della Depressione nella consapevolezza di un oggi per molti versi analogo; The River (Il fiume dell'ira), che aggiorna il tema della resistenza contadina di fronte alle calamità naturali e non; o, soprattutto, Country (incredibilmente ancora inedito in Italia, nonostante la presenza della coppia Jessica Lange/Sam Shepard), che narra una storia come tante, tra il fango, i debiti, la disperazione e la rabbia delle campagne del presente. Corro in auto attraverso queste pianure coltivate e davanti ai miei occhi scivolano steccati fienili silos macchine agricole, e la terra si stende nera e grassa fino all'orizzonte. Penso a questi film eloquenti e mi par di rivedere gli scenari letti nelle pagine di John Steinbeck o di Frank Norris. Soprattutto, mi torna in mente quella voce amara del Midwest di fine '800: quello Hamlin Garland che in Main-Travelled Roads narrò il sogno e la disillusione, lo splendore della terra e la brutale fatica del lavoro dei piccoli contadini schiacciati "sotto la zampa del leone", come dice il titolo d'uno dei suoi racconti più noti e traboccanti d'indignazione. Ho visitato due fattorie, nei dintorni di Sterling/Rock Falls. Una è una grande fattoria, con alcune centinaia di capi di bestiame, macchinari modernissimi, trattori imponenti con ruote alte due metri, silos giganteschi che miscelano il mangime e le vitamine secondo percentuali predeterminate al computer. Il padrone è certo un "grosso" agricoltore. Il successo e il guadagno sono evidenti in ogni cosa: nello sguardo sicuro e aggressivo, nella folta moquette che ricopre il pavimento della casa spaziosa, nell'imponente poltrona di cuoio che troneggia nell'ufficio luminoso (vengo poi a sapere che la sua fattoria gode di sovvenzioni particolari per non meglio definiti servigi resi al governo tanti anni fa ... ). L'altra fattoria è piccola, identica alle decine e decine che incontriamo lungo la strada: una trentina di mucche, macchinari non più modernissimi, un silos accanto al fienile dalle pareti di assi scheggiate, la vernice bianca che si scrosta tutt'intorno alle finestrelle quadrate, un'aia punteggiata di galline, i campi scuri con un soliario trattore in lontananza. E quel vento incessante.

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