Linea d'ombra - anno IV - n. 15/16 - ottobre 1986

118 SCHEDE/CLERICI e propria. In compenso, i due processi dell'autodeterminazione e della socializzazione non entrano in conflitto. Autonomia individuale e normalità sociale, interiorità e oggettivazione non si contraddicono a vicenda. È quello che Moretti chiama "l'agio della civiltà": se la crescita individuale è divenuto un fatto in sé difficoltoso e problematico, l'ordine sociale appare tuttavia sorretto da una intrinseca legittimazione culturale, che rende possibile la costruzione di una sintesi armoniosa, simbolicamente rappresentata dal matrimonio dell'eroe o dell'eroina. "Autosviluppo e integrazione sono percorsi complementari e convergenti, al cui punto d'incontro e di equilibrio si colloca quella piena e duplice epifania del senso che è la maturità". Ma all'interno di questa visione pacificata e serena della realtà si annidano contraddizioni profonde. Ad esempio, l'immagine del lavoro, che nel Meister svolge una funzione essenziale di coesione sociale solo in quanto finalizzato all'essere anzichè all'avere - un lavoro cioè che tende a identificarsi con l'arte, svincolandosi dalla logica economica. O la totale indifferenza del bildungsroman nei riguardi della storia, che proprio in quegli anni viene assumendo un corso sempre più impetuoso e travolgente. Con Stendhal e Puskin la sintesi si spezza. Il "grande mondo" ha fatto irruzione nella vita e nella psicologia del singolo, condizionandole in modo decisivo. Chiuso il ciclo rivoluzionario 17891815, l'eroe si trova alle prese con una realtà complessa, contraddittoria, in cui interessi e valori tendono a escludersi a vicenda. Il mondo della restaurazione non è compatibile con la fedeltà agli ideali sconfitti: la realtà smentisce gli ideali. Ma è vero anche il contrario: il reale, sprovvisto di qual si voglia idealità, appare sostanzialmente delegittimato, si degrada a mero dato di fatto. È il "paradosso di Waterloo": nel mondo dei fatti avviene una restaurazione, in quello dei valori no. Nasce cosi il tema del successo, con la sua tipica contraddittorietà simbolica: "il successo è inventiva, tenacia, decisione, lungimiranza: esercizio di libertà e capacità di controllo del reale. Ma anBibliotecaGino Bianco che freddo abbandono degli ideali che di volta in volta soccombono: complicità con l'esistente; accentuazione delle disuguaglianze". Gli eroi di Stendhal e di Puskin non sono però individui di successo, cosi come non sono campioni incor~ ruttibili di una causa. Sono personaggi ambigui, cupi, "strani", insieme ambiziosi e insofferenti, ipocriti e magnanimi, segnati da un'irriducibile duplicità - proprio perchè individualizzazione e socializzazione sono divenuti processi antietici. La continuità fra gioventù e età adulta si è interrotta: "La 'maturità' non consiste più nell'acquisire delle qualità: consiste, sostanzialmente, nel perderle. Non si diventa più adulti divenendo adulti, ma cessando di essere giovani: è un processo che si riassume in una perdita, in una rinuncia". A questa rinuncia si adattano perfettamente gli eroi di Balzac, che vivono come nel loro ambiente naturale in un mondo ridotto a movimento cieco e incessante, destituito di senso e di valori. Come dice Vautrin, "non esistono principi, esistono solo circostanze". La ricchezza e la varietà di queste circostanze stregano la fantasia visionaria di Balzac che vi si abbandona come di fronte a uno spettacolo terribile e meraviglioso. Ma non è certo lo spettacolo del conseguimento di una maturità - sia pur cinica e priva di scrupoli - da parte del protagonista (romanzesco). Il mondo in cui egli costruisce se stesso lo conduce infatti inevitabilmente all'autodistruzione: "Quella stessa duttilità che gli permette di essere costantemente 'al passo coi tempi' gli impedisce anche di costruirsi come individualità permanente: lo condanna a non poter mai essere se stesso". Con Flaubert assistiamo al capovolgimento conclusivo dell'idea di gioventù come formazione: anzichè preparare a qualcos'altro, cioè all'età adulta, la gioventù pretende di porsi come valore autonomo, e la sua massima aspirazione è quella di prolungarsi. Ma cosi facendo si svuota il significato: il destino dell'eroe dell'Educazione sentimentale è quello di trapassare da una gioventù sognante, codarda e artificiosamente protratta a una precoce e bolsa vecchiaia. Caratteri sensibilmente diversi ha il romanw di formazione inglese. Qui l'immagine della gioventù, intesa come indeterminazione, inquietudine, mobilità sociale e spirituale, viene radicalmente svalutata, sia rispetto alla solidità di comportamento e di giudizio dell'età matura sia rispetto all'ingenuità e all'innocenza infantile. L'eroe non ha nulla del fascino ambiguo e demoniaco dei suoi colleghi continentali: è solo una persona molto . comune, che commette degli errori (e perciò viene punito) o subisce dei torti (che gli verranno di regola risarciti). Dunque, una sorta di romanzo-fiaba, imperniato sulla figura di un protagonista anti-eroico, fondato su una schematica opposizione fra buoni e cattivi, e dotato di una peculiare vocazione umoristica, che dipende dalla fissità dei tipi umani e sociali che affollano lo sfondo della narrazione. Tutti caratteri, questi, che rinviano alla eccezionale stabilità dell'ordinamento sociale inglese e della gerarchia di valori su cui poggia. A riscattare almeno in parte questa melensa favola umoristica a lieto fine provvede un'altra decisiva componente: il vigore con cui viene affermato il principio dell'eguaglianza giuridica (essenziale per la civiltà liberal-democratica): "l'aspirazione a che l'universo del diritto sia accessibile, certo, universale, dotato di meccanismi di correzione e di controllo". Se il romanzo di formazione francese ha la drammaticità, l'incertezza, l'ambiguità ideale del duello, quello inglese ricalca la struttura di un processo, in cui "ognuno - bastardo bambino donna ubriaco evaso povero - ha diritto a raccontare la propria versione, essere ascoltato, e ricevere giustizia". Questo breve riassunto non rende ragione alla ricchezza di implicazioni e di riferimenti del discorso di Moretti. Cito, un po' a caso, fra i vari temi collaterali toccati: il confronto fra il bildungsroman e la trama del Flauto magico (ossia tra formazione e iniziazione); l'antitesi fra Rubembré e il Bel-Ami di Maupassant; le varie pagine dedicate al Faust; il . capitolo finale su George Eliot. E ancora, l'analisi del rapporto fra la categoria letteraria di realismo e il freudiano principio di realtà; la discussione del concetto bachtiniano di pluridiscorsività; le considerazioni sull'ironia; la disamina di celebri tesi

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