Linea d'ombra - anno IV - n. 14 - maggio 1986

LAREALTÀSFUGGENTE. NARRAZIONIDEGLIANNIOTTANTA Luca Clerici,Bruno Falcetto Una sommaria diagnosi sullo "stato di salute" della letteratura italiana degli anni ottanta potrebbe prendere le mosse da alcune osservazioni generali relative a quel costume - ormai radicato in quasi tutti gli esponenti della nostra civiltà letteraria -che ben si lasciava individuare già a partire dai "modi" di intervento nel dibattito culturale dello scorso decennio. Gli anni settanta sono stati infatti caratterizzati dall'assenza di una discussione critica sulla fisionomia della letteratura contemporanea, da una sistematica rinuncia non solo a identificare, quando vi fossero state, alcune linee di tendenza - presenti magari solo in nuce -, ma anche a ricostruire un panorama ragionato della produzione letteraria di quel periodo. I critici non hanno quasi mai cercato, dunque, di fornire un'immagine complessiva della situazione del sistema letterario di allora, che si sarebbe senz'altro rivelata utile non solo agli autori dei testi che quel sistema comunque costituiscono, ma anche al più ampio pubblico dei lettori, abbandonati di fronte a una serie di "pezzi" staccati di un puzzle che nessuno si è preso la briga di cercare di risolvere. Ecco allora la prima sicura eredità lasciataci dagli anni scorsi: da questo punto di vista non sembra essere cambiato proprio nulla. All'evidente disinteresse della critica accademica, si può avvicinare - quanto a incisività e a reale capacità di "presa sul problema" - la costante vacuità delle polemiche letterarie che di tanto in tanto cercano di vivacizzare le pagine culturali di quotidiani e periodici ad ampia diffusione, con l'effetto disarmante (e preoccupante) di offrire al pubblico lo spettacolo poco confortante di un dialogo tra sordi. Non sono mancate, e non mancano oggi, numerose recensioni a singole opere, ma tutte assimilabili per la loro contingente occasionalità: si passa allora dall'inconsistenza del commento convenzionalmente elogiativo, al tentativo - lodevole - di fare il punto sull'autore considerato partendo dal suo ultimo romanzo, che fornisce il pretesto per un discorso di maggior respiro sul percorso espresso da tutta la sua opera; ma a questo proposito è facile notare come l'operazione interpretativa sia riservata di preferenza ad autori "recentemente scomparsi": tra gli altri, per esempio, a Calvino e alla Morante. Ci troviamo quindi di fronte a una persistente incapacità - o non volontà - di contestualizzazione, che è poi il sintomo più evidente della rinuncia al tentativo di analizzare e descrivere la fisionomia complessiva dell'attuale sistema letterario nelle sue diverse implicazioni. La critica sembra così rinunciare a entrambi i suoi compiti fondamentali: non sa indicare al pubblico. le opere degne. di attenzione (soprattutto perché non vuole prendere apertamente partito contro i non pochi testi in circolazione privi di valore letterario), ed evita di rendere conto di come in effetti vengano soddisfatte le esigenze di esteticità dei diversi destinatari che, ben differenti tra loro, danno vita a molteplici orizzonti di attesa. Una tradizione non tradizionale Da sempre ogni autentico scrittore tende a riorganizzare nella propria memoria il patrimonio letterario che gli offre la tradizione da lui frequentata con maggiore interesse. Non è difficile notare come per scegliere i criteri di tale riorganizzazione personale i narratori contemporanei adottino, perloBibliotecaGino Bianco più inconsapevolmente, le categorie portanti di un certo "senso comune critico" oggi diffuso. Risulta allora abbastanza agevole verificare una non infrequente assimilazione di alcuni paradigmi interpretativi semplificati della tradizione narrativa non solo italiana, il più evidente dei quali prevede la rigida opposizione tra un modello di romanzo ottocentesco "classico" e un modello piuttosto povero e stereotipato di romanzo moderno. Le due "etichette" identificherebbero i due "tipi" in questione, definibili per mezzo di alcune coordinate parziali e privilegiate: al "classico romanzo ottocentesco" sarebbero costituzionalmente connaturati i personaggi a tutto tondo, la presenza di un intreccio movimentato a conclusione univoca e lo sguardo "dall'esterno" di un narratore onnisciente che fornisce al suo lettore un affresco sociale connotato realisticamente. In un rapporto antitetico e speculare si viene a trovare il romanzo del modernismo, costruito a partire dalla dissoluzione del personaggio ottocentesco, riconoscibile inoltre dalla abituale presenza di un finale "aperto" e da un'attenta e minuziosa introspezione psicologica: lo sguardo" dall'interno" del narratore comporterebbe anche l'affievolirsi delle coordinate spaziali e temporali del testo narrativo. Entrambi i modelli rivelano una comune astrattezza e genericità, e a ben vedere costituiscono l'uno l'antitesi e il ribaltamento dell'altro: due fisionomie che implicitamente si richiamano tra loro. L'impressione è confermata quando si consideri l'origine storica dei due paradigmi ormai entrati in quel senso comune critico al quale si accennava: si tratta infatti di una lettura del romanzo borghese ottocentesco e della narrati va decadente e post-decadente europea condotta a partire dagli intenti precisi e funzionali di una poetica dalle origini facilmente identificabili, e non più verificata sulla scorta di effettive considerazioni di ordine storico-letterario. L'operazione è stata avviata dalle cosiddette seconde avanguardie; si pensi, per fare qualche esempio preciso, al gruppo '63 in Italia e ai teorici del nouveau roman in Francia. Da questo momento è venuto perlopiù a mancare, da parte dei narratori italiani- soprattutto l'osservazione sembra valere per i più giovani - un ricorso diretto ai singoli esemplari che quei tipi tradizionali concretamente costituiscono e che rivelerebbe con immediatezza l'approssimazione e l'astrattezza di tale modello e, in definitiva, la sua inapplicabilità. Medesima ragione" storica" ha anche l'odierna evidente cristallizzazione di alcuni criteri privilegiati di valutazione del testo letterario, riconducibili al favore che viene accordato al principio secondo il quale molte forme di autoconsapevolezza da parte dell'autore rispetto all'operazione romanzesca che sta svolgendo - i modi cioè della riflessione sulla scrittura - si debbano interpretare alla stregua di chiare e univoche indicazioni di valore estetico del testo. Tale convinzione ha favorito la diffusione di quello che potremmo chiamare il "topos della metaletterarietà" o, in altre parole, il successo della figura assai diffusa del "libro che parla del libro e del suo farsi". Accanto al fenomeno dell'adozione implicita e non dichiarata di criteri di valutazione precostituiti, piuttosto ricorrente nella nostra civiltà letteraria, si può notare anche il propagarsi di un tipo superficiale di rapporto con la tradizione che si traduce in un facile

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