IL POTERDEEIVINTI Marino Sinibaldi Nel libro di Carmelo Samonà // custode un recluso sfugge almeno parzialmente il suo destino di segregazione con un frequente sogno notturno di libertà, di natura, di movimento, di viaggio. È la durezza della situazione di prigionia che provoca questo sdoppiamento della personalità; il sogno è il sintomo di un'ossessione nevrotica e folle. Forse allo zar Nicola 11, protagonista del romanzo di Roberto Pazzi Cercando /'impera/ore (Marietti, p. 175 L. 16.000) accade la stessa cosa: forse la vicenda che nella trama del libro si alterna alla sua, è solo un sogno, il suo sogno di prigioniero. La struttura del libro è assai affascinante: a capitoli alternati si intrecciano la storia dell'imprigionamento a Ekatcrinburg s:{iNicola Il durante la rivoluzione bolscevica e quella del tentativo del leggendario reggimento Preobrajcnskij - e soprattutto del suo comandante, il colonnello Ypsilanti - di ritrovare l'imperatore. La Siberia è sconfinata, Ypsilanti non troverà mai lo zar; la Storia è più crudele ancora e cancellerà l'intera famiglia dçi Romanov. Dentro questo nodo di avveni1penti storici, Pazzi gioca con grande abilità, d'altronde ha tra le mani storie e personaggi di incredibile suggestione: dalla figura di Nicola 11,tragica nella sua totale incapacità di vivere e pensare all'altezza degli avvenimenti; allo zarevic Alessio, l'erede che non regnerà mai, e che nella sua inguaribile malattia pare riassumere, come in una metafora fin troppo evidente. il destino della famiglia imperiale russa; all'intreccio di difesa dei valori tradizionali, di disperata vandea populista, di fedeltà cieca, di interessi reazionari che animò la resistenza "bianca" alla rivoluzione. Il primo dato che va subito riconosciuto è proprio l'intelligente intuizione che ha portato Pazzi a scegliere un orizzonte cosi ricco di suggestioni e di possibilità inventive. Ma con un'immediata e decisiva avvertenza: la ricostruzione di Pazzi, la sua ri-narrazione ha una chiave esclusivamente fantastica e lirica, non storica. Vuole raccontare la storia di un potere che declina, una sconfitta politica che diventa tragedia umana, la scomparsa di un mondo e dei suoi protagonisti; vuole raccontare la ferocia della storia e anche la sua insensatezza, giacché nemmeno la rivoluzione cancella il potere - e le figure di bolscevichi che Pazzi impietosamente e un po· faziosamente presenta prefigurano già il tragico destino della rivoluzione d'Ottobre. Costringendo la vicenda dell'imprigionamento e dell'eliminazione dei Romanov a trasformai in una lirica allegoria della tragedia del potere, Pazzi ha certamente falsato infiniti dati storici, ha completamente reinventato personaggi e situazioni con una libertà narrativa assoluta. E non si può negare che in qualche modo questa operazione sconcerti. Non che scandalizzi nessuno; persino il recensore dell""Unità" si è sentito in dovere di precisare: ·•attenzione: l'affetto di Pazzi {per lo zar) non va confuso con un'opzione di carattere storico o morale". Avvertenza addirittura pateticamente supernua, dati i tempi che corrono. Non c'è scandalo dunque, e se anche un'intenzione provocatoria avesse un qualche posto nell'operazione narrativa di Pazzi {un piccolo sospetto in questo senso è legittimo, credo) possiamo dire che è un obiettivo fallito. Tutto sommato che lo zar sia stato anch'esso un vimo -questo è il dato che più d'ogni altro ha attirato Pazzi, fino a suscitare una simpatia e un affetto che il recensore dell"'Unità'' tenta di ridurre alla dimensione puramente letteraria - a mente fredda è sempre apparso evidente: figura troppo esile e, benché feroce, troppo vacua per suscitare davvero grandi odi retrospettivi. I libri scritti sulla rivoluzione del '17 sono zeppi di annotazioni che ridimensionano la figura e il ruolo dello zar. Jakimov, che ne fu uno dei guardiani di Ekaterinburg (e fu dunque anche uno dei suoi uccisori) ne parlava così: "Aveva occhi buoni. Nell'insieme mi fece l'impressione di un uomo buono, sincero, semplice, comunicativo". Perfino dalle fredde pagine della Storia dl'lla rivoluzione russa di Trotzky traLo Zar Nicola Il prigioniero a Zarskoje Se/o, SCHEDE/STORIE spare, se non un sentimento di comprensione, almeno l'attenzione alla miseria psicologica dello zar, che appare in fondo una forma di innocenza che lo rende più vittima degli avvenimenti (e della Storia) che non un suo pro1agonista. Però Pazzi non si è limitato a disegnare, intorno ai caratteri che dello zar conoscevamo, i tratti di una figura sconfitta dalla sto• ria. on si è limitato cioè ad aggiungere questo ritratto alla corte dei vinti. dei personaggi che per il loro destino personale e storico la nostra sensibilità sente oggi vicinipersino oltre gli ovvi i e magari giusti steccati politici o ideologici. Lo zar di Pazzi assume invece progressivamente la dignità e la consapevolezza di chi dalla propria tragedia deriva una forma di saggezza o almeno di profondità; fino a riscattare in extremis persino quello che era stato, nonostante incombessero tragedie immani, il grande problema della sua vita, e cioè quella sorta di complesso di inferiorità nei confronti di Rasputin{la cui ombra attraversa oscuramente il racconto di Pazzi, come oscuramente ha attraversato la storia russa di quegli anni). Così nel lìbro di Pazzi lo zar senza qualità assume una certa affascinante grandezza. Fino aragionare come un dissidente di oggi (anzi, come un dissidente slavofilo: "La Russia era l'unico paese d'Europa salvo dall'Illuminismo, e questa era la sua forza ... "). C'è qualcosa di troppo letterario e insieme dì troppo meccanico in questo rovesciamento. Lo sconcerto deriva da questo, più che dall'evidente partito preso dello scrittore a favore dei Romanov e contro i bolscevichi. Pazzi, così apertamente sedotto dalla figura di un vinto, gli ha in realtà tolto tragicità, con l'attribuirgli una grandezza dignitosa che non aveva; con l'intento di rendere umano un personaggio storico lo ha privato di umanità, di quella fragile perdente umanità che gli apparteneva, e ha finito in qualche modo per omologarlo a una serie infinita di altri personaggi storici e letterari.L'esito è la tipizzazione - e cioè l'impoverimento - di una figura potenzialmente molto ricca: è un'operazione che rivela perfino una certa freddezza, dietro il lirismo profuso a piene mani (e spesso, comunque, felice). Non è qui in questione la libertà inventiva e narrativa. ma i suoi risultati. Spero che queste osservazioni non appaiano pedanti o gratuite: perché questo eccesso di ingegnosità - e forse di ideologia - penalizza in realtà un libro che ha molti pregi e un indubbio valore. Non solo per la novità - che è stata già sottolineala-di restituire al panorama della giovane narrativa italiana un elemento da lungo tempo assente, il romanzo fantastico di argomento 113
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