Linea d'ombra - anno II - n. 9 - aprile 1985

86 SCHEDE/STORIE di avventure o escursioni più accessibili. In sintonia con tale diffuso sentire, puntualmente, i "Caroselli" d'oggi propongono i nuovi consumi. Le auto risparmiano benzina (egli spots le mostrano correre tranquille su sfondi verdi) e per il resto è tutto un fiorire di prodotti genuini, risparmiasi, puliti (che rendono più sopportabile la vita di città, o favoriscono evasioni e sogni). Fra tutti, vale la pena di segnalare lo spot dei biscotti del Mulino Bianco. Vi si vede l'interno di una casa contadina: tutto è pulito, ordinato, un caminetto riscalda l'ambiente, mentre una giovane madre, beli.a e tranquilla, prepara dei dolci e alcuni bambini, ben pettinati e coi vestiti in ordine, le stanno intorno. È la vita di campagna come piacerebbe alla folla delle città d'oggi. Dopo aver rimosso la realtà delle nostre campagne di ieri (e anche di oggi: esse non sono meno inquinate, in ogni senso, delle città) il consumismo attuale di massa cerca di fagocitarle, descrivendole a misura dell'abbagliato e smarrito immaginario medio. L'anello fone fa terra bruciata di questi luoghi comuni. Descrivendo il complesso e contraddittorio rapporto tra vita contadina e vita "moderna" con le parole delle donne stesse che l'hanno subito rende impossibili mistificazioni e semplificazioni. Vi troviamo infatti sia il riconoscimento del cammino percorso in avanti (anche per l'impatto dell'industria e dell'urbanizzazione, certo) sia la descrizione viva e bruciante dei costi sopportati. "Fino a venti anni fa - racconta una donna - molte ragazze andavano da servente. Poi è arrivata la fabbrica ad interrompere quella trafila quasi obbligata. Mia cugina è una deJle prime che è andata a lavorare alla Ferrero, nel 1955, quando aveva diciotto anni. Oh, la sua era sembrata una scelta clamorosa. Poi è diventato normale che le ragazze andassero a lavorare in fabbrica ... " con i contraddittori effetti di questa nuova situazione, che liberava da un'antica subalternità e marginalità e però era fonte di nuovi contrasti, di altre oppressioni. Nelle parole di chi è rimasto la fuga dalla vita contadina - durante la stagione del boom economico - appare una specie di prova azzardata, un po' un cedimento e un po' una necessità che contiene un'emancipazione. Comunque, una migrazione quasi senza nostalgie. La vita di prima, cioè la vita di chi rimaneva, conosceva tali durezze, fatiche, limitazioni da far desiderare comunque un mutamento. Basterebbero i racconti sui bambini affittati sulle piazze come mano d'opera stagionale, a rendere l'idea. "Ci affittavano come vitelli - racconta Maria Laugero, della borgata Cucchiales di Stroppo, classe 1897. - I nostri genitori erano obbligati ad affittarci, c'era la miseria, non avevano nemmeno del pane da darci. Mi ricordo che ero lì sulla piazza con tanti altri, con il mio fagottino e i quattro stracci dentro. Che cosa mi passava per la testa? Piangevo, ero vergognata. Anche gli altri piangevano. Eravamo bambini da tenere a casa, e non da affittare. Sono andata a Marmora da gente che aveva tante bestie, quindici, venti vacche, ma che mi dava poco o niente da mangiare. Un po' di minestra, un pezzo di pane duro nel sachet, e poi tutto il giorno su al pascolo. (... ) Ah, era così una volta: i padroni si approfittavano. È meglio non averne dei bambini che fare come facevano allora che li mettevano a tribolare. Anche mio figlio Giusepin l'ho poi affittato quando ha avuto sei anni ... ". E crescendo, le cose non mutavano molto: per i maschi vi erano le grandi insidie della Storia - le guerre soprattutto - che le donne vivevano di riflesso, come eventi lontani che attraversano la vita ogni tanto, e poi le fatiche del lavoro. Per le donne, invece, la maturità, la crescita rappresentano il processo di selezione che produrrà infine gli "anelli forti", le vere protagoniste delle vere storie dei Mulini Bianchi. · In otto anni di ricerca, Revelli ha raccolto centinaia di testimonianze che insieme compongono questa storia di resistenze, di prove continue, di esperienze che non si rifiutano alle felicità possibili, ai momenti sereni, pur nel quadro di un anti-idillio, di un'anti-arcadia. Raramente le storie di vita contadina hanno avuto narrazioni così ricche e immediate. Esperienze che meglio sono state rese fuori dalle discipline storiche e sociali. La bellezza di un film come L'albero degli zoccoli di Olmi sta forse più nel fatto d1 mostrare i lati sgradevoli, difficili, crudeli, della vita contadina, e di mostrarli pur nel quadro di un amore intenso, di una nostalgia appassionata, come è possibile a chi l'ha conosciuta, o almeno osservata, davvero. Lo stesso può dirsi di un racconto splendido, ingiustamente poco noto, come Casa d'a//ri di Silvio D' Arzo, di Cristo si è fermato ad Ebo/i e delle pagine migliori di Meneghello, Jovine e - restando alle Langhe - di certo Fenoglio (più che di Pavese). Il lungo lavoro di Revelli, però, restituisce direttamente la voce ai protagonisti vivi. Un mondo lontano, dimenticato o mistificato, sembra animarsi rivelando una catena di esperienze al centro delle quali sta sempre un "anello forte". È la donna, che custodisce i segreti e gli strumenti della resistenza, anche quando non è la donna "indigena" ma quella, dapprima isolata e smarrita, venuta dal sud a sposare i contadini solitari delle Langhe (a centinaia ne sono arrivate dal sud, quasi reclutate da mediatori che facevano la spola con le foto di mogli e mariti potenziali). Il prezzo pagato per questo ruolo non scelto, imposto dalle circostanze, appare altissimo. In moltissimi racconti vi si fa riferimento, magari implicitamente, parlando della vita volata via in fatiche (compresa quella, distruttiva e ripetuta, del parto): "Nella vita cosa c'è stato per noi?- commenta Carlotta Nittardi- C'è stato un soffio ... ". Anello forte dell'esperienza contadina, la donna che narra di sé indulge raramente all'autocommiserazione, al vittimismo. A volte, anzi, sembra quasi compiacersi della propria capacità di tenùta di fronte a tante difficoltà, irridendo magari alle "ragazzette d'oggi" troppo deboli e viziate. Ma un'amarezza profonda percorre le storie, mitigata dai toni secchi che s'intuiscono, ravvivata dalla precisione e dal "colore" narrativi e, infine, condensata in riflessioni come questa, dedicate alla parte più intima e forse più difficile da accettare della propria esperienza. A parlare è Adele, classe I898: "Il più delle volte era la donna che aveva la testa sul collo; ma il difficile era mettere il buon senso sulla testa dell'uomo. Ahi, no, no. Io glielo dicevo al mio uomo: 'Conservati solo la salute, che tu viva a lungo. Ma se tu vieni a mancarmi nessun uomo viene più a cercarmi di sicuro, e non vado più a caricarmi di un uomo'. Perché se avessi saputo quello che so adesso, cosa è un uomo e cosa è una donna, stavo bene alla larga dallo sposarmi". VITAEMORTE DIUN'IDENTITÀ COMUNITAR Marino Sinibaldi Anguillara Sabazia è un bel paese su-Ile rive del lago di Bracciano. Da Roma ci si va · spesso a mangiare il pesce o a prendere il sole. Visto con l'occhio del turista domenicale ha tutte le caratteristiche dei paesi dove i pochi resti del passato sono sopraffatti da cemento recente; il turista domenicale immagina che lo stesso accada al carattere, alle tradizioni e alla memoria degli abitanti. Angela Zucconi ha provato a raccontare la storia di Angui'llara (Autobiografia di un paese. Unpiccolo comune del Lazio dall'Unità al fascismo, Comunità, pp. 3 I4, lire 30.000) indagando proprio ciò che resta di quella memoria. E quindi interrogando non solo i documenti, ma anche le persone; anzi scegliendo già tra le tante "carte" quelle "parlanti" (i referti medici, le relazioni dei mae-

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