84 SCHEDE/STOlHE STORIE SOLIK,RAGAZZOBUFFO Goffredo Fofi Il nome di K.S. Karol è ben noto ai lettori di sinistra, e non solo. Gli articoli che va periodicamente pubblicando in Francia e in Italia (sul "Manifesto"), sono di un attentissimo studioso di cose sovietiche e dei paesi dell'Est, politicamente informati e solidissimi ma allo stesso tempo guidati da saggezza e ironia, cioè da quelle che, si diceva in un vecchio film, sono le principali virtù di un vero rivoluzionario. L'ironia e la saggezza, la voglia di capire e il rifiuto della menzogna (dell'aggiustamento di una realtà a delle idee, fossero anche dei principi) non nascondono bensì la passione. Spesso nei suoi articoli Karol si lascia andare a qualche disgressione o aneddoto di tipo autobiografico, e ora si è finalmente deciso a dedicare alla sua storia tutto un libro (Solik, Feltrinelli, pp. 281, lire 20.000; traduzione di R. Rossanda). Nonostante la stima per l'autore, una certa reticenza al momento di prenderlo in mano e cominciare a sfogliarlo chi scrive queste note l'ha avuta: affrontava questa lettura come una sorta di dovere, di debito nei confronti dell'autore e della funzione chiarificatrice da lui svolta in tante occasioni, ma col timore di trovarsi di fronte a un libro "palloso", benché certamente utile e importante. Solik ha un sottotitolo che già contrasta e nega questo timore (Peripezie di un giovane polacco nella Russia in guerra; la parola "peripezie" traduce l'originale francese tribulations, che richiama le antiche Tribolazioni di un cinese in Cina di Verne), ma evidentemente non era sufficiente ... Ebbene, sin dalle prime righe ("Mi chiamavano Solik, al liceo di Rostov sul Don. È il diminutivo di sale.") si è catturati e trascinati dalla vivacità di una narrazione che: a) riguarda un giovanissimo (15 anni all'inizio delle "tribolazioni" russe, 22 alla fine; 1939-1946); b) descrive la vita quotidiana in URSS anche con la coscienza del dopo, ma soprattutto con un senso di immediatezza e di presenza. Solik ricostruisce le esperienze di un giovane, il suo apprendistato alla vita in situazioni eccezionali, con la freschezza della "prima impressione" e della "prima esperienza". Solik è una storia picaresca, è un romanzo di iniziazione, in cui però l'iniziazione non è ristretta a un avvenimento cruciale, o a dilemmi psicologici, ma corre sull'arco di sette lunghi anni e mette il protagonista a confronto con dozzine di persone, di scenari, di fatti. Iniziazioni di questo genere ce ne sono ancora molte, nel mondo, ma certamente sono rarissime in Europa occidentale, e nei suoi privilegiatissimi quarant'anni di pace. Ce n'erano ancora prima dell'omologazione delle esperienze portata dal boom, anche in Italia, e le persone della mia età hanno vissuto direttamente o conosciuto molte persone, se intellettuali o analfabeti non cambia, che hanno avuto "tribolazioni" meno grandiose ma comunque di grande varietà. Oggi, forse, se ne trovano ancora in ambienti e personaggi sottoproletari e marginali, ma c'è da dubitarne, e sono comunque più rare. Il ragazzo Solik è figlio di un rièco ebreo di Rostov decaduto dopo la rivoluzione e finito in Polonia. Richiamato in guerra a quindici anni, perde un occhio in un bombardamento tedesco, è fatto prigioniero, fugge con l'aiuto della madre in Russia e di lì è deportato dopo poco in Siberia. Fugge dalla Siberia e giunge da parenti a Mosca che lo spingono verso Rostov, dove con un po' di menzogne è accolto, può studiare ed è poi arruolato e spedito nel sud, a Kislovodsk. Partecipa alla guerra nel Caucaso, è ferito, è sospettato dalla Ceka per la sua origine e per banali sciocchezze, è deportato in un gulag, dove fa il pozardnik (pompiere) in baraccamenti di donne. Rilasciato, attraversa grandi spazi a piedi, finisce a Saratov, lungo il Volga, poi a Chvalynsk e infine di nuovo a Rostov. Nel '46 può tornare in Polonia, e con l'arrivo in Polonia (un paese allora dilaniato dalla guerra civile e già sottoposto alla logica di Yalta) le sue memorie finiscono. Ho provato a seguire questo percorso su una cartina: le distanze sono enormi. E il tutto accade in uno dei periodi più tragici della storia del secolo, e della storia russa in particolare. La materia è dunque, per forza di cose, "romanzesca", la realtà è "romanzesca". E il libro è affascinante perché l'autore ne accetta, con un briciolo di ironia, tutte le conseguenze. Fosse stato un protagonista "politico", ancorché secondario, di quegli anni, il suo libro sarebbe risultato meno affascinante, forse più tragico. Ma qui l'arte del narratore sta tutta nel non nascondere, e anzi esaltare, una condizione di adolescente che affronta con baldanza i casi più duri sorretto più da un naturale fiorire di vita che dai principi e dalla coscienza che sono di solito dell'idealista politico. E cosa è più importante, biologicamente importante nella vita di un adolescente, dell'amoI, re e dell'amicizia? Ecco dunque che, a fianco della descrizione di personaggi di adulti che restano tuttavia marginali campeggiano ed esplodono ritratti di ragazze (Nievka la leningradese, Klava la cosacca e, dopo tante altre, la più commovente di tutte, Katja la cekista incontrata da ultimo sul treno che riporta Solik in Polonia, emblema di contraddizioni massime, nel suo sottomesso dolore e nella sua qualifica "politica") e di ragazzi (i "moschettieri di Mecotka" Vasja, Volodja, Kostja e Kola, e il quinto moschettiere è lui, Solik). Con i loro entusiasmi, le loro illusioni politiche, le loro amare esperienze, ma soprattutto con la loro voglia di vivere. Il "romanzesco" della vita porta Solik a perderli e a volte a·ritrovarli. "Anche nella vita si fanno incontri miracolosi, come nei film," ma una differenza c'è: "sono più emozionanti" (p. 184). E ci sono cose che "solo al cinema succedono, nei film ben fatti, dove non ci sono tempi morti" (p. 140). Nel libro di Karol si citano spesso, anzi spessissimo, eroi e titoli di romanzi, attori e titoli di film - russi, francesi, americani, e a un certo punto il giovane Karol dichiara la sua ammirazione per due registi sovietici, Kozincey e Trauberg, al cui brio "populistico" già molte pagine di Solik avevano fatto pensare. Il confronto con la letteratura e col cinema è costante - come in ogni giovane, forse - ma non estraniante; serve anzi a rendere più chiaro il modo in cui un giovane vive la vita e gli incontri e a dilatarne le riflessioni, in qualche modo attenua l'epica naturale di molta parte di queste vicende e la conduce sul terreno del "romanzo d'avventura" più che su quello del "romanzo storico". Quando Solik narra a puntate ai suoi amici di carcere, per ingannare le lunghe giornate, Il conte di Montecristo, e di fronte all'obiezione dei suoi ascoltatori che "c'è poca fica", reinventa il romanzo a loro uso e fa comparire una compagna di Dantès che chiama Natascia e che assume via via il carattere dell'eroina di Guerra e pace, si abbandona a quella capacità di "narratore orale" che pervade ora tutto il suo libro, vigile bensì e fedele alla realtà, ma col gusto dei suoi colori e della sua ·linfa: Questo grande· "slalom tra le trappole' dell'esistenza" (p_- 179) non appiattisce le varietà dell'esistenza, e non le ideologizza. Ci ricorda, in definitiva, che neppure Stalin, neppure le peggiori della dittature riescono a fermare la vita e le sue esigenze. . In alcuni articoli recenti, molto belli, Karol ha raccontato la vita quotidiana nella Russia di oggi, con la stessa verve e con la
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