82 CARATTERI/LAPORTA l'oggetto libro la causa dell'ilarità? Altra cosa curiosa è che pur emettendo dei suoni così laceranti i loro volti restano pressoché immobili. "Devono essere dei mutanti", dice Francesco. "Niente paura: sicuramente non scriveranno mai dei romanzi". "Ci vorrebbe un altro caffè", dico. "Bisogna vedere se il cameriere verrà. Non mi sembra ben disposto". Già in precedenza lo sprezzante garçon si era fatto sorpirare. Alla fine ci porta, seccatissimo, i due caffè. Senza lo zucchero. "Generalmente non lo metto. Ma vorrei avere la possibilità di rifiutarlo", dice Francesco. I nostri vicini si stanno alzando. Nel passarci accanto urtano il dattiloscritto maledetto di Francesco che cade a terra sparpagliandosi. Con maligna vita autonoma le cartelle svolazzano dappertutto. Il fatto suscita uno scoppio rabbioso di ilarità che si spegne di colpo. Dopo aver indugiato ad osservare i fogli sparsi qua e là, i quattro se ne vanno in silenzio. Anche il cameriere decide di non trattenersi oltre. Meglio contare sulle nostre forze. "È andata ancora bene che non li hanno calpestati", dice Francesco chino a raccogliere i fogli. "Il degrado umano è contagioso quant'altri mai. L'altro giorno sono inciampata malamente per strada e sono finita lunga distesa. Da terra ho visto due anziani signori rientrare precipitosamente nel negozio da cui stavano uscendo nel timore di dovermi essere d'aiuto", dico acciuffando le ultime cartelle. "Ah, i vecchi d'oggi!" Francesco mi accompagna a un taxi. Scaravento tutto quanto sul sedile. "Quanta carta!" dice il tassità. "Che roba è?" "Romanzi che devo leggere". "Cristo, che fortuna! Anch'io ho scritto un libro: la mia vita. Eccolo qui". La sua manona sventola un grosso plico. Apro il portone e sfreccio davanti al portiere. Mi assale il dubbio che nella sua esigua guardiola anziché dedicarsi a un'innocente inattività stia finendo di scrivere "Vita di portiere". In casa sta suonando il telefono. "No, signora, non ho ancora letto il suo romanzo. Mi dispiace, ma non è mia abitudine conoscere gli autori, meno che mai alla vigilia di un premio ... La prego di non insistere ... Cosa dice? Mi offrirebbe una cioccolata con panna?" Che sia questo il mio prezzo sul mercato? I SOGNIDELDUEOTTOCINQUE Filippo La Porta No a sto' punto mollo tutto, mi licenzio ... è una vergogna ... prima ci prendono con la ridondante qualifica di operatori culturali ... ci fanno sperare, ci fanno sognare ... poi ce fanno fa' gli impiegati". Il suo morbido romanesco, un po' querulo ma uniformemente impastato, culla con un effetto quasi irresistibile. Fuori c'è un sole che fa pensare già all'estate, a luoghi di vacanza, a progetti di viaggio. Qggi poi è domenica. Non si lavora ... "Ma il nostro se po' chiamà lavoro? Eh?". Il suo interrogativo, tante volte ripetuto, ma ora diventato chissà perché drammaticamente urgente, fa vibrare la cornetta del telefono e interrompe le mie quiete fantasticherie. "No certo, che scoperta.,. ma a che serve ripetere tra di noi e per l'ennesima volta che non è un vero lavoro, che è puro assistenzialismo, appena mascherato da una iprocrisia e demagogia tipicamente italiane. In un paese civile ci darebbero un sussidio di disoccupazione, senza farla troppo lunga ..." Quasi senza accorgermene continuo a ruota libera, attingendo pigramente a un repertorio familiare. Piero avverte subito nel mio tono qualcosa di automatico, di impersonale, come uno specchio impietoso che gli rinvia la sua stessa immagine. Sente il disagio di una comunicazione finta, svuotata, simulata, proprio come è il nostro lavoro. Tenta allora di andare al sodo con una domanda improvvisa e molto diretta, di quelle che non ammettono risposte ambigue o eleganti sofismi: "Ma insomma, a te te sta bene o no la nostra situazione?" Prendo istintivamente un po' di tempo. Ma non per elaborare qualcosa. Ho infatti a disposizione due risposte prefabbricate, ciascuna con una sua sequenza logica. La risposta n. 1 è: Sì, questo lavoro mi va bene, mi permette di fare tante altre cose. A fine mese ritiro la mia prebenda. Mica è colpa nostra se non ci hanno dato un lavoro "socialmente utile". La risposta n. 2 è: No, questo lavoro non mi va bene affatto, è un'attività così priva di motivazioni e di finalità che alla fine toglie ogni energia, dà un senso penoso di inutilità e di parassitismo, fa diventare l'intera esistenza oziosa, irreale. Scelgo, del tutto casualmente, la n. I. Subito Piero mi apostrofa gravemente: "Ci risiamo col tuo rassegnato qualunquismo, con la tua inerzia ... eppure credimi, se tutti insieme riuscissimo a mobilitarci di nuovo, a invertire la tendenza generale ..." "Senti Piero - interrompo un po' spazientito la sua poco convinta predica - sarò fatalista, ma a volte ho la sensazione che i nostri comportamenti, le nostre idee, perfino le nostre emozioni appartengano a una vera e propria retorica, a un codice prevedibile, convenzionale, come se non riuscissero a trovare parole o gesti nuovi per esprimersi". "Questo non cambia la sostanza, anzi ... è una conseguenza del fatto che hanno mandato a puttane un'intera generazione ... io mi sento così sprecato, così sottoutilizzato ... "
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