Linea d'ombra - anno II - n. 9 - aprile 1985

62 STORIAE/RLORIO nono le sette del mattino. Sull'altipiano le ombre sono ~ancora lunghe. È esteso migliaia di chilometri. Si è formato nei millenni, in seguito alla preistorica bocciata di un'isola colossale e semovente contro il continente. Le montagne alle spalle dell'altipiano, prodotto di questo stesso scontro, hanno poi costituito una barriera pressoché invalicabile per una religione diffusa e dominante sino alle loro pendici. Una religione che disponeva di dromedari, ma non del cammello battriano adatto per oltrepassare queste montagne col loro freddo e i valichi ghiacciati ... E anche oggi, per noi, esse rimangono invalicabili; e orientano così il nostro viaggio rigidamente verso est. Il mattino presto il sole è radente. Uscendo dal lungo viale alberato della città degli Ari siamo entrati in aperta campagna, con un'immediata sensazione di sconfinatezza. Ma anche dell'improprietà di questa parola. Perché noi leghiamo l'aperta campagna al verde, mentre questo colore qui è assente, al di fuori delle oasi, dove poi è in realtà un altro verde. Si può dire: "un verde color polveroso"? Dove il colore sia la polvere. La carovana la vediamo ora penetrare nella stratigrafia delle rocce rosaviola. L'unica traccia immediata e sensibile del suo movimento è la nuvoletta di polvere sollevata dai piedi di dromedari e nomadi. Il vento subito la disperde, dopo aver suscitato quel piccolo vortice, restituendo alla loro immobilità uomini e animali. Adesso l'incanto del silenzio e della stasi è rotto dal rumore metallico di uno scorrimento. È la mano dalle unghie laccate del giovane seduto accanto a noi che ha messo il colpo in canna all'arrivo del nostro mezzo nell'aperta campagna ... Ora la nostra vicenda si colora del violento rosa viola delle paure immediate e reali: meno oscure di quelle rimaste a lungo nascoste nei nostri passati ideali ... Parlavamo con lui un inglesoide faticoso e approssimativo. Dopo aver messo il colpo in canna e aver estratto il binocolo per scrutare tra le colline circostanti, ci fece intendere di essere qualcosa come un combattente. "Un militante ... per la rivoluzione ... '', disse. "Well done, figlio di puttana: ottima idea perlustrare la 'zona nemica' di prima mattina, su un automezzo di turisti stranieri! ... Essere un guerrigliero e non averlo detto ... a spese della nostra ignoranza e buonafede ... ''. Ma abbiamo taciuto. Pensavamo parole come "mujaheddin" o "guerriglia". Un oggetto esterno volò contro il parabrezza accecato dal sole; si ruppe in diecimila frammenti; sempre più piccoli e talvolta perfino invisibili. I parabrezza si sbriciolano così per ragioni di sicurezza: per non ferire col vetro i passeggeri. I frammenti ci si sarebbero per l'intero viaggio conficcati nelle dita. Erano aghi invisibili che individuavamo grazie alla fitta e a una rossa piccola goccia di sangue sui polpastrelli. Questa goccia di sangue - unica di volta in volta - mi ha ricordato la goccia vista da bambino accanto al naso appuntito di un piccolo topo di campagna grigiochiaro. Era stato preso in trappola, aveva occhi strabuzzati e orecchie molto diritte, e aveva 'prodotto' sul pavimento a piastrelle biancoazzurre questo rosso punto isolato: la sua morte. n rrivammo in perfetto silenzio al forte isolato in mez- w zo al deserto, il posto di blocco governativo. Il nostro guerrigliero ci salutò e scese di corsa con qualche frettoloso ringraziamento. Dalla bocca scalcinata del forte usciva un autoblindo. Ci montò sopra e indicò con gesto perentorio dove erano annidati guerriglieri da combattere. L'autoblindo carico di armi partì a gran velocità nella direzione dalla quale eravamo appena arrivati assieme a lui. Noi siamo ripartiti in direzione opposta, continuando il nostro viaggio verso Aracosia. Il posto di blocco dei guerriglieri lo trovammo a circa novanta miglia dal forte. È a metà di un breve rettifilo. Dopo una curva alla fine di una serie di tornanti di un piccolo colle. Sono una trentina i colli da superare lungo questa strada. La postazione dei guerriglieri è "ideale per un agguato". Erano vestiti di verde pallido, in testa l'ampio straccio avvoltolato a turbante. Alla distanza di qualche centinaio di metri ci sembra biancastro, e vediamo un uomo dal turbante, un ginocchio piegato a terra, la carabina puntata contro di noi. Il proiettile sibilò inequivocabilmente accanto al nostro mezzo, e segnò la fine di un tempo in cui abbiamo potuto pensare che i guerriglieri sparassero in aria. " ... Dài, iron borse, che qui non moriremo: né per un fico secco né per la rivoluzione mondiale ... '' E il nostro cavallo di ferro, il muso squarciato da un proiettile, cominciò una veloce retromarcia. L'intenzione era: tornare dietro la curva, al riparo, e qui invertire il senso di marcia. La retromarcia fu a zigzag e alla cieca, qualcosa che sembrava del tutto priva d'intenzione. La manovra è complicata, con le tendine della nostra casa viaggiante chiuse, che impediscono di vedere. Do stesso percorso di prima, ora che lo stiamo percorrendo a ritroso e a distanza di pochissimo tempo, ci colpisce per la sua totale differenza. All'andata questa fettuccia di strada nel cuore del deserto c'era sembrata assolutamente rettilinea. Ora è tortuosa, come se dietro a ogni più piccola curva e rilievo fosse pronto un nuovo agguato. Siamo ritornati al forte nel deserto. Al posto di blocco tenuto dai guerriglieri antiguerriglia vogliono avere informazioni sull'accaduto. Gli occhi sbarrati, si stupiscono della presenza di guerriglieri che chiamano '.'banditi" nella zona dalla quale veniamo. Ci ospitano nel forte. La stanza è fatta di fango e sterco pressati. Ci accovacciamo su un tappeto nomade, splendido e incredibilmente polveroso. C'è sopra appoggiata una radio trasmittente. Trasmettono parole che non capiamo, e la loro concitazione ci sembra freddezza. Crediamo di capire quello che è stato detto quando, dopo pochi minuti, sentiamo sulle nostre teste il sibilo degli aerei da caccia. Poi tocca agli elicotteri. Volano oltre noi, minacciosi, i compagni d'arme dei no-

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