Linea d'ombra - anno II - n. 9 - aprile 1985

APRILE 1985/NUMERO 9 LIRE 5.000 I rivistabimestraledi storie, immagini, discussioni CAPITINI EDONMILANI L'EPISTOLARIO ROTH/ZWE SCHNIT JARMUS

ff .·MONTEDISON • PROGETTOCULTURA ;t CARME E ILDONO DI MONTEDISONALLAMUSICA. A~M~ ietà Italiana ai9vl.usicadàCam La Società Italiana di Musica da Camera, Carme, nasce per il desiderio di Montedison di ricordare creativamente il centenario della sua antesignana, la Edison. Che si presentò all'Europa con la storica illuminazione del Teatro alla Scala, net dicembre del 1883. I componenti di Carme ne gestiscono l'attività e il programma. Sono fra i più prestigiosi strumentisti delle istituzioni milanesi, animati da uno spirito di studio e ricerca musicale. Ad essi si affiancano via via i giovani musicisti italiani più interessanti. Il 10 aprile 1984, Carme inaugura la sua prima stagione al Ridotto della Scala di Milano. Il Sindaco Tognoli e il Presidente della Montedison, Schimberni, tengono a battesimo l'evento rinnovando così l'antico legame tra Montedison e Milano. U MONTEDISON • PROGETTD CULTURA U Cento anni di9\1usica daCamem s!nunenta!eita[iana 'Peter'.l(,euscfuiig 1884 U CENIDANNIDIMONTEDISON U l'l84 Questo è il cofanetto dell'album di presentazione di Carme, diretta per l'occasione dal maestro Peter Keuschnig. Carme è un complesso strumentale stabile. Vi sono presenti archi, fiati, tastiere e percussioni. Una struttura che permette di far fronte al repertorio antico, classico e contemporaneo. fl monTEDISOn Significativa è la scelta del repertorio inaugurale: Cento anni di musica da camera strumentale italiana. Da Verdi a Puccini, da Catalani a Mascagni, da Respighi a Casella. E poi Dallapiccola, Maderna, Clementi, Malipiero, Nono, Berio, Petrassi, Dona toni, Sciarrino. CARM~ nauto: Glaucu Camln,~nu, Al,:~~1111<lrul'u,w. -\n,lr.•11 Rorriaru f.larinetto: v:~,~:t~;~'.~'.:'. ~ :: •;':~:; ;:,:;::·~.;,~•i::;, ..,, T,r,11,·111111 f"agotto Q,,tliv Danii, 0:M-ar \lc11n11.Va«·u \";uTh1 corno: St.,fanu .MMCundt1. Anji:f:'luHutturu. \ al,:nu \l;uno tromba: G,u..,pp,: Bo<lanu. Sandro \lal111r~1a trombone: G,anurlu Con101. K,:nalu fil,~m pi ■ noforu:: \!ano,dla D., Cari,. Srr~•u La11~ p,,nu11ioni: \lauru1u B,:n Omar, Vah~, \lurdl, violino: .-\nah, CarlìA~,~~~n~: \ 1: 1 ~~::; .. ~'i~~'~s!'i'~;rt·iu. G,~111<,\lm!n. viola, O,·,d,;i~~;~;;~~; !; 1 ~~~•-~~::~!~•~~~" .. i';.:_':~ 0 Lu 1 !!1 T,,n,lo contrabbasso: Co,u,., \ly~~o,nzani Montedison è onorata di aver promosso e di sostenere, con Carme, il primo tentativo del genere che si effettua in Italia. Un fatto di rilievo nel panorama musicale milanese e italiano, e in generale nella cultura musicale.

Direttore Goffredo Fof( - Comitato di redazione Alfonso Berardinelli, Gianfranco Bettin, Severino Cesari, Grazia Cherchi, Pino Corrias, Piergiorgio Giacché, Filippo La Porta, Claudio Lolli, Maria Maderna, Claudio Piersanti, Marino Sinibaldi, Paola Splendore, Giorgio van 1Straten Direzione editoriale Lia Sacerdote Progetto Grafico Andrea Rauch/Graphiti Ricerche fotografiche Fulvia Farassino Hanno collaborato alla preparazione di questo numero: Giancarlo Ascari, Fiorenza Auriemma, Gabriella Cantoni, Paolo De Benedetti, Stefano De Matteis, Ernesto Franco, Pilin Hutter, Vanna Massarotti, Jerry Moriarty, Grazia Neri, Maria Nadotti, Marina Saviotti, Franco Serra, Art Spiegelman, Mariolina Vatta, Francesca Zànnese, la libreria Feltrinelli di via Manzoni (Milano). Editore Media Edizioni (staff editoriale: Edoardo Fleischner, Lia Sacerdote) Via Gaffurio, 4 - 20124Milano Telefono 02/2711209-27389I Pubblicità Media Edizioni Abbonamenti Paola Barchi Composizione e montaggi Monica Ariazzi Distribuzione nelle edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. Via Giulio Carcano, 32 - Milano Telefono 02/8438141-2-3 Distribuzione nelle librerie PDE - Viale Manfredo Fanti, 91 50137 Firenze - Te!. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini, 6 Buccinasco (MI) - Te!. 02/4473146 LINEA D'OMBRA rivista bimestrale di storie, immagini, discussioni Iscrizione al tribunale di Milano in data 5.2.1983 numero 55 Direttore responsabile Severino Cesari Sped. Abb. Post. Gruppo IV/700/o Numero 9 - lire 5.000 Abbonamento annuale a sei numeri: ITALIA: L. 30.000 da versare sul c/c p. n. 25871203 intestato a "Linea d'Ombra" o a mezzo ass. banc. intestato a Media Edizioni. EUROPA: L. 50.000 - ALTRI PAESI: L. 60.000 a mezzo ass. banc. intestato· a Media Edizioni. . .,. ..,. I manosc,:itti non vengono restituiti. Si lisponde a discrezione della redaz"?vne. Si pubblicano poesie solo su richiesta. LINEA D'OMBRA anno II aprile 1985 numero 9 Sommario APERfURA 6 Aldo Capitini, don Lorenzo Mi/ani STORIE 26 29 45 56 61 De/more Schwartz Marie Luise Kaschnitz fohn Berger Claudio Piersanti Piero Arlorio POESIA 32 79 80 Bianca Tarozzi Gregorio Scalise Giovanna Sicari Eugenio De Signoribus BOTTEGA 18 42 64 Mario VargasLlosa Tadeusz Kantor Jim Jarmush DISCUSSIONE 12 14 17 35 70 75 Luigi Manconi Gad Lerner Piergiorgio Giacchè Gershon Shaked Giovanni Jervis Paola Splendore CARArTERI 81 82 Grazia Cherchi Filippo La Porta SCHEDE Scuola pubblica e scuola privata a cura di Lanfranco Mencaroni e Santina Mobiglia Nei sogni cominciano le responsabilità · Orsi polari Boris La moglie di Angelo Alessandria degli Ari Variazioni sul tema di Penelope Le erbe Poesie La recita Il paese dai mille volti Illusione e rappresentazione Non si può fuggire se non si cambia a cura di Maria Nadotti Il "racconto" del terrorismo Uri l'intellettuale e Uri il sottoproletario Colpi di tosse Il bene della ragione e il bene dell'infelicità. La corrispondenza tra Roth e Zweig Uguali e diversi (ovvero: la biologia è reazionaria?) Narcisismo e narrativa L'arte del romanzo I sogni del Dueottocinque 84 Storie - K.S. Karol (G. Fofi), Nuto Revelli (G. Bettin), Angela Zucconi (M. Sinibaldi), H. J. von Moltke (R. De/era), Irmgard Keun (M. Maderna). Saggi - Enzo Tiezzi (F. Pedrocchi), Herbert Marcuse (P. Battista), Irving Howe (B. Cartosio). Cinema - Alain Resnais (G. Fofi), Jim Jarmush (G. Volpi). Fumetto - Gérard Lauzier (F. Serra). IMMAGINI . · " ' L'immagine di copertina è di Jerry Moriarty. Le immagini da pag. 13 a pag. 17 sono di Giuseppe Ducrot. 97 Libri da leggere 98 Gli autori di questo numero

.. t· ' ' ··-,., . : •.. ·. , - ~ • ·è .. , - ~ .i_: ..... •;.,-: ,i, J,-\.-; ....: ~ .l;,~•.v;,..: 'f , . ... ·f ,I'- ' ,,, .... !\,·' ' ' ~ .. > .~. ,• ~ :-~ ...... ,,, . ·,,:, ..... ~ /. > t-,:~-i. . ~~t~ ~~ ... ~,;._.r... ,... p • ... ·.,~, .. •" ,. , \, , . ..: .. , ... -· .... ,.. ·, • ;lt J -= ' ;"6..,.•, -~ .'.t..,.~· /1 • ··-'· • • :",> ...., • :-.'-•, • :e .. '.J.,•.-~- ·,_.. /':(,, • • ;...-,,4:~::··t:~. i -~'~ ·~•;. •~•t:" •:: ► I"· ~~• .._:•"..... ,•, r • '- , ..f" ~"1"1. • ·'•r,.,.e._.. .. --~--. . ., - ,. • j ,..., l ,/:; l.,. ,._ ~ !.-.ò,":-~ f ~ . . . -. . , r • ~ '\f ;:: ,,!_,jr.. ? .. I r . ,.

SCUOLAPUBBLICAESCUOLAPRIVATA Aldo Capitini e don Lorenzo Mi/ani Nel 1959 Aldo Capitini lesse sulla rivista "Il Mondo" una recensione che diceva molto bene del libro Esperienze pastorali di don Lorenzo Mi/ani. Lesse il libro e, come ebbe a scriverepiù tardi allo stesso don Mi/ani, lo trovò "cosìfresco, vivo, sincero, schietto, che conferma nella certezza che ci sono persone bene orientate". Ne consigliò a tutti la lettura e ne parlò a più riprese nelle riunioni del suo Centro di orientamento religioso, a Perugia. Nel gennaio del 1960 scrisse a don Mi/ani per chiedere notizie sulla sua scuola e sul suo funzionamento, affermando che "era una mia vecchia idea quella della scuola che insegnava a capire ciò che è testo, leparole, la lingua". In effetti dai C. O.S. (Centri di orientamento sociale) del 1945 agli articoli di "Il potere è di tutti" degli anni '64-'65 il socialismo di Capitini si è venuto sviluppando sempre più chiaramente sul tema del legame fra potere esercitato da tutti e dal basso, e pos.sibilitàculturale e pratica per tutti di esercitare questo potere democratico. Con quella lettera cominciava tra Capitini e don Mi/ani un dialogo e un'amicizia troncati solo dalla morte. Capitini nel gennaio '60 chiedeva a don Mi/ani un incontro a Firenze o a Barbiana. Nel giugno dello stesso anno don Mi/ani scriveva che avrebbe gradito la visita di Capitini in qualsiasiperiodo e in qualsiasi giorno. Un giorno dell'estate successiva, 1961, insieme a Pio Baldelli accompagnai Capitini nella sua prima visita a Barbiana. Don Mi/ani viveva I[ dal 1954, ma dovemmo fare a piedi l'ultimo chilometro perché non c'era ancora una strada carrozzabilefino alla chiesa e allascuola di Barbiana. Come succedeva con tutti i visitatori, la nostra visita si trasformò in un interrogatorio a Capitini da parte di tutti gli allievi della scuola, che erano stati informati da don Mi/ani sulle sue idee religiose, sui libri che aveva scritto, sulla sua posizione di non-violento e vegetariano. Il colloquio avvenne all'aperto, sotto l'ombra dei grandi alberi di Barbiana e prosegui'durante ilpranzo e la siesta, fino alla partenza. Capitini e noi fummo molto impressionati dalla personalità di don Lorenzo, dallo spirito e dall'organizzazione della scuola di Barbiana: prima di partire chiedemmo a don Mi/ani cosa ci suggeriva di fare nella nostra Umbria, che potesse riflettere la nostra adesione ai principi guida della scuola di Barbiana. Don Mi- /ani ci propose di stampare un giornale destinato ai lavoratori umbri, contenente un solo articoloper numero, insieme a tutte le notizie di carattere linguistico e culturale necessarieper farlo capire a tutti. L'idea ci piacque e tornati a Perugia chiedemmo ai partiti di sinistra e ai sindacati i mezzi per realizzarla. Il Partito comunista, quello socialista e la Camera del lavoro di Perugia accettarono di aiutarci con soldi e indirizzi per la diffusione. Capitini organizzò un comitato di redazione e nel novembre del 1961 uscì ilprimo numero del "Giornale Scuola", "periodico di lotta contro l'analfabetismo", stampato presso la Tipografia Tuderte a Todi, come supplemento del "Solco" organo della Federterra umbra, diretto da Umberto Cava/aglio. Era un piccolo foglio a due facciate, con un solo articolo scritto da Capitini sulla Liberazione dei popoli coloniali, uno dei grandi temi di quegli anni, con al centro dell'interesse la Conferenza di Bandung, organizzata pochi anni prima, nel 1955. Il resto del giornale conteneva quattro rubriche: "un po' d'italiano" per spiegare le parole più difficili, scritte in corsivo nell'articolo; "un po' di storia" sulla conferenza di Bandung, "un po' di geografia" che parlava dell'India, uno dei grandi paesi liberatisi di recente; "problemi dell'istruzione" dedicato a notizie sull'educazione dei popoli coloniali. Nel dicembre del 1960 uscì il Umbria anni '50 (foto di Fulvio Roiter). secondo numero dedicato a Stampa e giornali con la solita rubrica di lingua italiana, un po' di storia e geografia dei giornali italiani e stranieri, un panorama dei giornali sportivi, dei giornali di destra e di sinistra in Italia. Il terzo numero, gennaio 1961, affrontava un altro grosso tema di attualità, La lotta per l'indipendenza del popolo algerino; il quarto numero, de/febbraio 1961, riportava l'articolo di Capitini sulla scuola con una difesa delle scuole pubbliche contro le scuole clericali, "che impongono agli scolari le loro idee reazionarie". Il "Giornale Scuola": che era gratuito e accettava solo offerte dai suoi lettori, suscitò apprezzamenti e interessefra i contadini e gli operai umbri che lo ricevevano, fu diffuso anche fuori dell'Umbria e ricevette numerose adesioni e richieste di invio da molte parti d'Italia. Dopo il quarto numero, per ragioni che non ricordo, ven 1 ne a mancare i/finanziamento e l'appoggio deipartiti e dei sindacati, per cui fummo costretti a sospendere lepubblicazioni, con grande dispiacere di Aldo Capitini, che si è sempre rammaricato di non aver potuto proseguire l'esperienza. Don Mi/ani riceveva naturalmente il "Giornale Scuola". L 'attacco di Capitini alle scuole clericali, contenuto nel quarto numero, non lo trovò d'accordo. Scrisse a me, che fungevo da responsabile della redazione, una lunga lettera in cui riaffermava la superiorità della scuola "clericale" di Barbiana sulla scuola statale, contestando il fatto che "milioni di contribuenti cristiani e poveri siano costretti a finanziare una scuola di stato profondamente anticristiana, profondamente antioperaia e anticontadina ... ". Temi che di lì a non molto sarebbero tornati nella Lettera a una professoressa. Non ricordo se Capitini, cui feci vedere la lettera, rispose privatamente a don Mi/ani: comunque "Giornale Scuola" e la lettera di don Mi/ani sono un esempio del grande contributo che alla cultura italiana venne in quegli anni dall'incontro di due uomini, fra i migliori che l'Italia abbia mai avuto. Il testo di Capitini su I nemici della scuola pubblica è inedito e risale agli stessi tempi. LASCUOLA Aldo Capitini Lanfranco Mencaroni Quando le scuole erano nei conventi e nelle parrocchie, pochi erano gli scolari ed essi imparavano poco. La civiltà moderna vuole che lo Stato apra SCUOLE PUBBLICHE per tutti. Questo è un bene per tutti perché: 1 ° - ogni uomo e ogni donna, se sa leggere e scrivere, non fa brutta figura davanti agli altri, quasi scusandosi di essere analfabeta; 2° - ogni uomo e ogni donna deve poter leggere libri e giornalai; deve imparare per chi votare nelle elezioni, nell'interesse di tutti i lavoratori; deve conoscere le grandi questioni dell'umanità, perché tutti i popoli devono essere fratelli, conoscersi, aiutarsi; 3 ° - ogni uomo e ogni donna deve imparare una professione e conoscerla benissimo per trovare lavoro e guadagnare dignitosamente; · 4 ° - ogni uomo e ogni donna deve sviluppare la sua intelligenza e le sue capacità di studio, di lavoro e di creazione culturale. Nelle scuole pubbliche deve esserci libertà d'idee per tutti, insegnanti e scolari. Bisogna imparare nella scuola a ri-

8 APERTURA/DOMNILANI-CAPITINI spettare chi ha idee diverse dalle nostre. Quando la scuola è nelle mani dei clericali, essi impongono agli scolari le loro idee reazionarie. Fino al secolo scorso i proprietari in Sicilia e i "pope" in Russia erano contrari alle scuole, perché dicevano che svegliavano i popoli. In Italia ci sono ancora milioni di analfabeti; ancora non è attuata la Costituzione repubblicana che vuole che tutti i ragazzi, maschi e femmine, vadano a scuola fino a quattordici anni; ancora le spese statali per l'istruzione sono inferiori a quelle di tanti Stati in Europa, America, Asia. La scuola in Italia è fondata sulla divisione di classi sociali, perché ai figli degli operai, dei contadini e degli impiegati con piccolo stipendio sono impediti gli studi superiori: così la classe dirigente italiana tiene nelle sue mani il dominio della società italiana. Rinnoviamo la società e rinnoviamo la scuola. Un po' d'Italiano per capire insieme le parole difficili. Scuole pubbliche - Libertà d'idee. Le scuole pubbliche sono le scuole di tutti, dove tutti possono studiare insieme: figli di "rossi" e figli di "bianchi", cattolici e protestanti, ebrei e socialisti. Lavorando nella scuola fianco a fianco, i ragazzi imparano una cosa importante: il rispetto per il prossimo e la difesa per la libertà di idee. Che significa libertà d'idee? Se parla l'ebreo, il protestante, il liberale, oppure se parla il comunista e l'anarchico non lo ascolteremo mai; gli impediremo di dire le sue idee: così pensano alcuni. Ma sbagliano. Perché bisogna ascoltare gli altri e ripensare a quello che hanno detto, in modo che la propria scelta (politica, morale, ecc.) sia cosciente, precisa, forte. Nella scuola pubblica il ragazzo si accorge che gli altri possono anche avere idee diverse dalle idee sue e dei suoi familiari: e essere lo stesso persone oneste e capaci. Chi difende idee serie e giuste non ha niente da temere dal confronto delle idee nella scuola di tutti: le idee giuste ci guadagnano. I clericali e il partito dei preti (la Democrazia Cristiana) sono nemici della scuola pubblica e ia colpiscono con ogni mezzo. Vogliono scuole private, dirette da preti, ma pagate con i soldi dello Stato (cioè con i soldi di tutti i cittadini italiani). Le sinistre invece difendono la scuola pubblica. Se i clericali desiderano aprire scuole private, padronissimi: ma se le paghino con i loro soldi o con i soldi di quelle persone che pretendono per i propri figlioli scuole speciali e separate, come se gli altri ragazzi avessero la lebbra. I soldi dello Stato devono servire solo per i bisogni della scuola pubblica dove mancano aule, laboratori, biblioteche, banchi. Dignitosamente. In modo degno di un uomo: il quale non ha bisogno solo di un pane e di una abitazione, ma anche di libri, di vestiti, di riposo, di svago e di indipendenza. Creazione culturale. È quella di poeti come Dante Alighieri, di scienziati come Alessandro Volta che scoprì l'elettricità della pila, o Marconi che ha inventato il telegrafo senza fili, di musicisti come Giuseppe Verdi che ha composto tante e belle opere di musica. Pochissimi di questi creatori provengono dalla classe operaia e dalla massa contadina: millenni di miseria, di schiavitù, di mancanza di istruzione e di scuole hanno soffocato le energie creative culturali degli operai e dei contadini. Ma ormai anche questa situazione sta cambiando nel mondo. Sta per finire l'inferiorità culturale del proletariato: scrittori, scienziati, artisti escono sempre più numerosi dalle file contadine e operarie. La battaglia per una scuola pubblica e moderna è fondamentale anche per questa ragione. Clericali. Persone del clero e persone che fanno tutto a vantaggio del clero; il clero è l'insieme dei preti e di quei frati che possono dir messa (si può anche spiegare così: il complesso delle persone che appartengono all'ordine sacro). Pope. Prete della chiesa russa. Analfabeti. Che non sanno leggere e scrivere. Persone che non frequentarono mai la scuola, oppure l'hanno abbandonata troppo presto e hanno finito per scordarsi di quel poco che avevano imparato. In Italia gli analfabeti sono milioni. I governi passati hanno preso gli analfabeti e invece di mandarli a scuola, li hanno mandati in guerra. Ogni volta promettevano scuole e benessere al ritorno dalla guerra vittoriosa. E ogni volta i poveri trovavano morte, ferite, e poi ancora miseria e tribolazioni, e niente scuole. Mai come nella nostra epoca è stato tanto necessario vincere la piaga dell'analfabetismo. Saper leggere e scrivere non basta più: l'operaio d'oggi con il suo diploma di quinta elementare è in stato di maggior minorazione sociale (cioè: conta meno nella società e nel campo del lavoro) che non il bracciante analfabeta del 1841. Attuata. Attuare: eseguire, mettere in pratica, passare dalle parole ai fatti. Spese statali. Non sono regali del governo perché il governo prende i soldi dalle tasche dei cittadini con le tasse. I miliardi che vengono spesi per la scuola servono solo a tirare avanti: infatti la maggior parte dei soldi destinati alla Pubblica Istruzione (quasi il 95 per cento) serve solo a pagare gli stipendi al personale. E tutti sanno quanto sia misero e incivile lo stipendio dei nostri maestri e dei nostri professori. LOSCANDALDOELLASCUOLAPUBBLICA don Lorenzo Mi/ani Barbiana, 6 marzo '61 Caro dottore, sono a letto da tre mesi con una coxite di origine e causa ignote per ora. Ho poi avuto da mandare avanti egualmente la scuola che è quest'anno molto più complessa per numero di classi e di ragazzi e diverse altre pittoresche attività per cui m'è toccato trascurare gli amici e la corrispondenza. L'ultima questione cui mi sono dedicato vi metterebbe in grande imbarazzo. M'è toccato opporre in due diverse vertenze la scuola privata a quella di stato e ha naturalmente ragione la mia. Nella prima vertenza (contro l'INPS) si tratta di riconoscere ai barbianesi il diritto di mandare i ragazzi a scuola qui e riscuotere egualmente gli assegni. Il più accanito laicista, messasi una mano sul petto, dovrebbe battersi in questo caso per la scuola del prete. La seconda vertenza è ora al suo punto di maggior incandescenza e attende la prova di forza per lunedì prossimo. I miei ragazzi organizzano lo sciopero della scuola elementare di stato ogni qual volta

la supplente arriva in ritardo a scuola. Lo sciopero consiste nel far venire i bambini a Barbiana dove uno dei miei ragazzetti di 14 anni s'inwrovvisa maestro. Verso le 9,30-10 arriva la supplente e viene a cercare i ragazzi. I bambini imperturbabili seguitano le loro lezioni senza alzare la testa. Il direttore ha minacciato il 6 in condotta e conseguente bocciatura e l'intervento dei carabinieri contro gli organizzatori. Il pretore (che è quel Marco Ramat che scrive spesso sul "Mondo") nobilissima figura di laicista è stato qui ieri ed è costretto a darci ragione, purtroppo non vede come si possa portar la cosa davanti alla magistratura finché non ci scappa l'incidente. E vengo così all'ultimo numero del Giornale Scuola. Non si può esaltare l'idea della scuola di stato senza descrivere la realtà così come non si può denigrare la realtà della scuola dei preti senza citarne l'idea. A Firenze per esempio non è neanche da mettersi in discussione il dato di fatto che I ·• Don Lorenzo Mi/ani a BarJ;,iafla(Agenzia Fotocronache, 1959). APERTURA/DON MILANI-CAPITINI l'unica scuola tecnicamente e socialmente progredita è una scuola di preti: la Madonnina del Grappa. Il fatto che lo stato coi soldi dei contribuenti non l'aiuta è semplicemente scandaloso. La Madonnina del Grappa ha 1200 allievi dei quali non un solo figlio di papà. La scuola di Barbiaha ha 20 allievi, nessun figlio di papà, è dei prèti, non ha dallo stato nessuna sovvenzione, ma anzi aperta opposizione ed è senza ombra di dubbio l'unica scuola funzionante di tutto il territorio della Repubblica. Scandalose sono le scuole clericali di lusso di Firenze, ma non quanto la scuola di stato che non solo da quando la D.C. è al potere, ma fin dal lontano 1860 quando guardava in cagnesco i preti, è stata sempre una fogna di propaganda padronale per nessun rispetto migliore delle equivalenti fogne ecclesiastiche. Non muoverei dunque oggi un dito in favore della scuola di stato dove non regna nessuna "libertà di idee", ma solo conformismo e corruzione e se invece della Aldo Capitini. 9

IO APERTURA/DON MILANI-CAPITINI scuola di stato come è -'>ggisi parla di come dovrebbe essere allora vorrei non parlare più delle scuole di preti come sono oggi (molte) ma come sono alcune (poche) o meglio come dovrebbero essere. E in tal caso non c'è dubbio per me che sarebbero migliori quelle dei preti perché l'amore di Dio è in sé migliore che la coscienza laica o l'idea dello stato o del bene comune. Ma questi sono sogni senza costrutto perché né i preti né i laici potranno mai fare nulla di perfettamente puro e sarà dunque meglio lasciare che si perfezionino quanto · possano gli uni e gli altri possibilmente senza difficoltà economiche in libera e realmente pari concorrenza. Certo è che. oggi lo scandalo più grosso non è che pochi ebrei o protestanti come contribuenti siano costretti ad aiutare qualche scuola di preti, ma piuttosto che milioni di contribuenti cristiani e poveri siano costretti come contribuenti a finanziare una scuola di stato profondamente anticristiana profondamente antioperaia e anticontadina e che non lo è per opera dei governi cattolici (i quali l'hanno, da quei perfetti imbecilli e conservatori che sono, ereditata così com'è e conservata sotto vetrina, dai ricchi borghesi anticlericali dell'800). Vede dunque che per me l'ultimo numero del Giornale Scuola è disonesto. Nella mia scuola i poveri vengono educati con più "laicismo" (se laicismo significa rispetto della verità) di quel che non abbia questo numero del giornale. Restiamo naturalmente amici come prima e mi interesserà sempre vedere il giornale (anzi mi pare di non averne visto un numero. Ho avuto il Patto n. 1, la Scuola n. 2, la Stampa n. 4, cos'era il n. 3?). A Firenze non potrò venire per la ragione che ho detto. Spero dunque che vi farete vivi voi quassù. Qualche volta vado a Firenze per la V.E.S. o per la radiografia in tal caso sono dalla Mamma, 588491. Se non son lì sono sempre quassù. Un saluto affettuoso a tutti, vostro LERAGIONIDEINOSTRIAVVERSARI Aldo Capitini Lorenzo Milani 1. Quando si parla delle proposte dell'uno o dell'altro onorevole democristiano rivolte contro la scuola pubblica, bisogna tener presente che la fonte ispiratrice di tali proposte sta semplicemente, e autorevolmente, nell'Enciclica di Pio XI, del 31 dicembre 1929, intitolata Divini illius Magistri (chi non la conosca per intero, farà bene a leggerla, per es. nel libro La Chiesa e l'educazione, curato dal Casalotti per l'editore Armando di Roma). Il Papa disse: "La frequenza delle scuole acattoliche, o neutre, o miste, quelle cioè aperte indifferentemente ai cattolici e agli acattolici senza distinzione, è vietata ai fanciulli cattolici, e può essere solo tollerata, unicamente a giudizio dell'Ordinario, in determinate circostanze di luogo e di tempo e sotto speciali cautele. E non può neanche ammettersi per i cattolici quella ., scuola mista (peggio, se unica e a tutti obbligatoria) in cui, pur provvedendosi loro a parte l'istruzione religiosa, essi ricevono il restante insegnamento da maestri non cattolici in comune con gli alunni acattolici ... È necessario che tutto l'insegnamento e tutto l'ordinamento della scuola: insegnanti, programmi e libri, in ogni disciplina, siano governati dallo spirito sotto la direzione e vigilanza materna della Chiesa". Il Papa, applicando il canone 1372 (del diritto canonico) per cui "tutti i fedeli devono fin dalla fanciullezza essere educati in modo che nulla sia loro insegnato che sia contrario alla religione cattolica ecc.", combatteva, dunque, la scuola pubblica, uscita dal Risorgimento, convivenza di diversi e dialogo, sostenendo, al suo posto, una "scuola interamente cattolica per i cattolici" "con l'aiuto finanziario da parte dello Stato". È evidente che tale scuola, dominata da un'ideologia unica e affidata a gerarchie autoritarie, una scuola da cui restino esclusi - come dai seminari ecclesiastici - i nove decimi della cultura moderna e i cui alunni siano sottratti alla compagnia di adolescenti di altre ideologie e sottoposti a insegnanti conformisti a quell'unica ideologia, sarebbe una fabbrica di fanatici, oltreché la dissoluzione, per rriancanza di mezzi e di alunni, della comune scuola pubblica. 2. Lo Stato, dicono i clericali e dice l'Enciclica, deve dare i mezzi per le scuole private, perché ci sia la "libertà" nella scelta della scuola. È molto noto, ma bisogna ripeterlo, che i clericali danno alla parola "libertà" un significato diverso dal nostro. Mariano Cordovani, domenicano autorevolissimo nel Vaticano, ha scritto sull'Enciclopedia cattolica, alla voce "Chiesa": "Perché ad un eretico non dovrebbe esser tolta la libertà di propaganda, quando attentasse alla fede dei cristiani?" Possono questi tali far riconoscere che la loro scuola è ispirata alla libertà, come quella pubblica ispirata alla Costituzione repubblicana, e perciò meritevole, come la pubblica, di essere finanziata? 3. Si deve - dicono ancora i clericali e dice l'Enciclica - riconoscere il diritto dei genitori ad educare, come vogliono, i propri figli. Anche qui essi non vedono che un aspetto, mentre i diritti dell'uomo sono un insieme che colpisce l'autoritarismo dell'istituzione religiosa tradiziQnale. Anche i diritti del fanciullo. La Dichiarazione dei diritti de/fanciullo (derivante dai diritti dell'uomo riaffermati nel 1958), approvata all'unanimità all'Assemblea dell'O.N.U. il 20 novembre 1959 dice al n. 10: "Il fanciullo deve essere protetto da comportamenti o influenze che possono indurlo a qualsiasi forma di discriminazione razzia1e, religiosa o d_ialtro genere. Egli deve essere educato in uno spirito di comprensione, di tolleranza, di amicizia tra tutti i popoli, di pace e fraternità universale e nella consapevolezza che dovrà porre le proprie energie e i propri talenti al servizio dei suoi simili". Come si concilia questo diritto, contrario ad ogni forma di discriminazione religiosa, che anche i rappresentanti della Nazione italiana hanno approvato, con l'educazione che i clericali danno, e per cui vogliono anche denari (oltre quelli, abbondantissimi, che per altre ragioni traggono dalle casse dello

Stato, così dure, invece, verso gli stipendi degli insegnanti e l'ediltzia di proprie scuole)? 4. Anche per il problema dello studio dei migliori, cioè per il problema delle "borse di studio", le ragioni degli avversari non possono essere accettate, e bisogna essere fermissimi anche in questo. Si sa che le borse di studio vanno controllate, possibilmente anno per anno, esigendo una certa media nei voti. Finché questo avviene nell'ambito di una sola scuola, aperta a tutti (come dice la Costituzione), è possibile che la cosa sia seria e il borsista studi seriamente per avere la media richiesta per conservare la borsa. Ma quando la fruizione di borse è anche per studenti di scuole private, è evidente che lo Stato scava la fossa per la propria scuola, perché le scuole private, per attrarre e mantenere sotto la propria ideologia, daranno più facilmente quella media che professori e scuole, immuni dalla concorrenza, potrebbero non assegnare. Con questi due risultati: o scende il livello di studio anche nella scuola pubblica, o questa si svuota dei migliori, che è ciò che vuole la scuola confessionale. OSSERVAZIOANTITUALI Santina Mobiglia Nel clima di disgelo politico-culturale e di diffusi fermenti riformatori e militanti dei primi anni sessanta, un laico democratico, come Aldo Capitini, al di fuori degli schieramenti consolidati, e un prete anticonformista come don Lorenzo Mi/ani, che radicalizzava in senso sociale le aperture postconciliari, individuavano entrambi un terreno d'impegno nella trasformazione della scuola. Uniti da una comune attiva critica contro la chiusura, l'arretratezza, la discriminazione sociale perpetuate dal sistema scolastico rispetto alla crescita democratica, avvenuta e auspicata, della realtà italiana, i loro punti di vista divergono radicalmente di fronte al ruolo da attribuire alla scuola pubblica e alla scuola privata. Su questo tema le testimonianze riportate sono un 'occasione per ridiscutere orientamenti ideologici che, oltre a illuminare i profili degli autori, si prestano a considerazioni attuali. Dopo i successi della mobilitazione clerical-conservatrice in Francia contro i tagli alla spesa pubblica per le scuole private decisi dal governo socialista, anche in Italia la difesa delle scuole private è stata rilanciata da parte democristiana, con una proposta di legge cheprevede a loro favo re massicci finanziamenti pubblici informa di servizi, aiuti e addirittura (per gli istituti parificati) pagamento integrale da parte dello stato degli stipendi per il personale, e in aggiunta privilegi di autonomia - negati al settore pubblico dell'istruzione - nella definizione di strutture e programmi, oltre che ovviamente nella scelta degli insegnanti omogenei alle finalità educative della scuola medesima. La bandiera ideologica dei promotori dell'iniziativa, che riflettono le spinte dei movimenti più integralistici e woityliani dell'area cattolica, come ComuAPERTURA/DOMNILANI-CAPITINI nione e Liberazione e i Cattolici Popolari, è ancora una volta quella della "libertà nella scelta della scuola". Contro quest'idea della libertà educativa non c'è molto da aggiungere allafermezza e al rigore di Capitini nel sostenere e promuovere l'espansione di una scuola pubblica, laica, pluralistica e aconfessionale. E va anche detto che nella scuola italiana di oggUI pluralismo degli orientamenti culturali e la libertà di idee sono un dato reale incomparabile con il conf ormismo degli anni cinquanta, che suscitava l'accesa indignazione di don Mi/ani e il suo rifiuto della scuola di stato "fogna di propaganda padronale". · Lo sviluppo e la difesa della scuola pubblica, per quanto mobilitino ormai scarse energie, sono ancora temi di piena attualità. La scuola privata copre complessivamente oggi circa il 10% del sistema scolastico italiano, con punte però che sfiorano il 20% in alcune fasce scolari delle grandi città come Torino, Milano, Genova, Roma, Napoli, Palermo, dove soprattutto non sono soddisfatte dall'intervento pubblico particolari domande degli utenti (orari prolungati e fissi nella fascia dell'obbligo, tipi di specializzazioni tecniche, recupero di anni) su cui si inserisce una pronta iniziativa privata. Si potrebbe avanzare qualche dubbio sul fatto che ilprogetto democristiano a sostegno delle scuole private corrisponda oggi esclusivamente alla tradizionale salvaguardia degli interessi ecclesiastici in campo scolastico. Essi certo persistono e potrebbero cercare, nel loro rilancio, una rivalsa o un terreno di scambio politico rispetto al ridimensionamento della presenza cattolica nella scuola pubblica sancito dalla recente revisione del Concordato. Ma il dato interessante di questi anni, a leggere l'ultimo Rapporto Censis, è la relativa maggiore crescitapercentuale degli istituti gestiti da laici rispetto a quelli gestiti da ecclesiastici nell'insieme dell'istruzione privata. I/finanziamento pubblico alle scuole private in questo quadro si configurerebbe dunque largamente come sovvenzione a imprese a tutti gli effetti finalizzate al profitto, assistite a scapito del potenziamento delle scuole statali. Vasottolineato infine che la scuola privata in nome della quale Lorenzo Mi/ani conduce la sua polemica non è certo quella istituzionalmente diffusa e protetta dagli onorevoli democristiani, ma erapiuttosto quell'idea di scuola popolare che si realizzava in isolate iniziative spontanee dei gruppi di base, come la sua comunità di Barbiana. L'autore di Lettere a una professoressa, destinata a diventare col '68 quasi il manifesto della lotta contro la scuola di classe, esprime comunque una concezione integralistica, evangelica ma pur sempre totalizzante della scuola, che ha al centro un 'idea di educazione alla verità, che precede e ricomprende in sé la libertà. Il solco che separa don Mi/ani dall'integralismo clericale, di allora e di sempre, è il suo radicale classismo, la scelta di stare dalla parte dei poveri e degli sfruttati contro i padroni e i potenti, dentro una visione etico-religiosa di testimonianza apostolica che identifica il compito educativo con il dovere di contribuire alla trasformazione sociale, a partire dai deboli e dagli ultimi. 11

12 DISCUSSIONE/MANCONI IL''RACCONTO'' DELTERRORISMO Luigi Manconi È un fatto incontestabile che il movimento della dissociazione ha, da subito, affidato gran parte del suo discorso, della sua capacità persuasiva e della sua iniziativa politica al racconto. Il primo documento, quasi un "manifesto", quel Do you remember revolution? del febbraio di due anni fa, sin dal titolo evocava un linguaggio /e11erario, un andamento proprio della narrazione più che della saggistica - dove il do you remember richiama il c'era una volta delle favole (anche se qui usato ai fini di un rovesciamento ironico, non di uno straniamento temporale). Successivamente, la figura del racconto si è affermata come la più rilevante, e frequentata, nel complesso della comunicazione prodotta dalla "popolazione detenuta", e la cosa non stupisce. La rottura con la "cultura armata", infatti, comporta, tra l'altro, due conseguenze: a) la recessione dall'omertà linguistica del discorso delle armi, dal suo "dialetto" circoscritto e autarchico e, dunque, l'urgenza della sua traduzione "in italiano"; del terrorismo parla, finalmente, chi ne ha avuto diretta esperienza; b) l'uscita dalla setta terroristica produce una fortissima pulsione a comunicare con chi non ha fatto parte della setta: "gli altri". Ebbene, se quella "traduzione" e quella "comunicazione" adottano, come si diceva, la figura del racconto, ciò avviene per molti motivi: perché più forte e radicale risulta, anche in virtù del suo linguaggio, la cesura col genere letterario del terrorismo che è (era) esattamente l'opposto, dal punto di vista lessicale, ma anche sintattico: il linguaggio narrativo-descrittivo contrapposto, dunque, a quello didascalico-apodittico. Perché il racconto appare come la forma di comunicazione più efficace per raggiungere una audience estesa. Perché, infine, la struttura del racconto -propria della pratica analitica, della sua logica e del suo ordine interno - ha a che fare, evidentemente, con quel percorso della memoria e nella memoria, con quel procedimento aritroso, con quel "ritrovare" esperienze, condizioni e traumi del passato, altre età e, in qualche misura, altre "vite": tutti effetti che la dissociazione, con ciò che comporta di "metanoia" e di ridefinizione del sé, inevitabilmente produce. Se c'è del vero in quanto finora si è detto, è agevole rintracciarne i segni in molte e differenziate forme di produzione culturale che il carcere ci invia e che ripartirei in tre diverse "correnti": I) la narrativa come specifico genere letterario; 2) la narrativa come espressione del processo di ricostruzione storico-biografica degli anni '70; 3) la narrativa come linguaggio del dibattimento processuale. Della prima "corrente" fanno parte i racconti di Lanfranco Caminiti, presentati da 'Linea d'Ombra" e dal "Manifesto", quelli di Andrea Leoni, Paolo Lapponi e Valerio Morucci (L'idea fissa edita dalla Lerici), e le favole di Giuliano Nari a, che la Cooperativa Manifesto Anni '80 sta per dare alla stampa; ma fa parte, soprattutto, quella sterminata produzione "sommersa", anonima o semianonima che impegna un numero crescente di detenuti (politici, ma anche comuni) e che ha alle spalle una lunga tradizione e, persino, qualche successo editoriale (Ceccherini, Bonazzi). Nella seconda "corrente" troviamo la gran parte dei documenti, individuali e collettivi, della dissociazione: essi hanno, spesso, un andamento narrativo, modulato sulla necessità di ripercorrere eventi della storia e della cronaca che hanno una loro intonazione "epica" - come tali vengono, comunque, vissuti - e percorsi psicologici e soggettivi intensamente "drammatici". A questo "indirizzo" può essere assimilato - con qualche forzatura - anche il libro di Renato Curcio, WKHY (Fatamorgana, Roma 1984). Vi appartiene innanzitutto per ragioni politiche. Certo, Curcio non è un dissociato nel senso convenzionale del termine: non si è mai dichiarato tale, non ha mai fatto parte di quello che è stato il "movimento" della dissociazione, non ha mai mostrato simpatia per esso. E tuttavia, non si può ignorare che la ripartizione interna all'area della detenzione politica non ammette - proprio per l'acutezza e la radicalità dei conflitti che l'attraversano - molte alternative alla polarità della ·contrapposizione pentiti/irriducibili. Per la verità, ne ammette una sola. Che è, appunto, quella della dissociazione. La quale, come dice la sua stessa etimologia, è una condizione che si esprime essenzialmente attraverso gesti in negativo: rifiuto, recessione, autocritica, separazione ... Non prevede, dunque, perlomeno in prima istanza, progettualità e strategia. È questo che consente di riunire sotto l'unica definizione di dissociati comportamenti molto diversi - fin quasi ad apparire come divaricati - e atteggiamenti che pure, soggettivamente, rifiutano quella definizione. E infatti, se consideriamo attraverso un procedimento in negativo la posizione di Curcio, non si possono avere dubbi sulla sua "dissociazione": non rivendica il suo passato (anche se non lo abiura), non afferma una qualche continuità tra esso e il suo presente, né una sua proiezione in una strategia futura; non ripropone la lotta armata come strumento di emancipazione né come mezzo di difesa: per meglio dire, non ne parla affatto. Il che equivale né più né meno che a una separazione netta e radicale e, fino a prova contraria, irreversibile dalla propria esperienza precedente, e dalle motivazioni politiche e teoriche che la determinarono. Equesto significa, appunto, dissociarsi. A ciò corrisponde, in Curcio, una forma letteraria che non è quella del saggio politico, né dell'analisi sociologica o politologica, né - tantomeno - del pamphlet polemico del programma di lotta o del progetto strategico: ma è, appunto, quella del racconto. Un racconto dove la trasgressione sintattica, non solo nelle sezioni in versi, si rifà più a Nanni Balestrini che ad Alain Robbe-Gillet, e dove la riflessione saggistica, quando c'è, ricorre più alla scrittura di Baudrillard (citatissimo) che a quella di Canetti (citatissimo anche lui). Ne risulta un linguaggio misto, complesso e a più strati - del cui valore letterario non spetta a me giudicare - che racconta un viaggio (cui corrisponde un ripensamento molto ampio, e per certi versi assai radicale) nella politica e nella cultura del minoritarismo di sinistra del nostro paese, e nei suoi "punti di catastrofe". Dentro quella scrittura gonfia, si aprono degli squarci improvvisi, che introducono drastiche rotture di linguaggio e di genere, dove la presenza del protagonista, WKHY, diventa più palpabile e fisicamente avvertibile: sono i versi d'amore delle ultime venti pagine; sono le righe sul sesso ("Nella sua

gabbia cubicolare WKHY brucia di solitudine ... "); e sono soprattutto le "Scene di film", riferite ai "pentiti": o meglio, alla percezione traumatica che ne\ha chi fu loro compagno di lotta. Qui, è come se WKHY, nome impronunciabile - forse, nell'intenzione di Cutcio, l'indicibile, oppure l'anonimo - scoprisse con stupefazione l'ineffabilità dell'unica rottura non prevista (e perciò, non dicibile) del proprio universo: quella con i propri "fratelli", con i compagni di lotta che infrangono non solo il "vincolo associativo", ma anche il legame di solidarietà. Ferito da tale scoperta, WKHY riprende a balbettare nell'antico linguaggio: quello didascalico - e rozzo, approssimativo, "sporco" -del discorso politico. Con due innovazioni: innanzitutto, la sua interpretazione del "pentitismo" non è certo quella che gli "irriducibili" danno, ma ne costituisce proprio l'esatto contrario ("Un po' d'infame c'è dentro ciascuno di noi ... Dentro di me. Dentro di te"); e d'altra parte, per comunicare quella interpretazione, Curcio ricorre al linguaggio di una sceneggiatura cinematografica: quasi ritenesse questa - nella società dei media - la forma più veloce ed efficace per far passare un messaggio politico diretto. Infine, il terzo "indirizzo" del racconto all'interno della fitta produzione proveniente dal carcere, è quello proprio del dibattimento processuale. Chi ha assistito anche solo a un'udienza di un processo per "fatti di terrorismo", sa quale sensazione di penoso imbarazzo si prova ad ascoltare il dialogo tra sordi che lì si svolge. È anche, evidentemente, un problema di linguaggio. Quello degli imputati è fitto di allusioni, riferimenti o -=----- ~ ~ - \ '-)i~ ~~) . .,. .,, ,; " ,. .. e rimandi a un universo ideologico e semantico difficilmente traducibile "in italiano". Ci sarebbe davvero bisogno di un interprete: di un interprete, nel senso letterale della parola, che non solo chiosasse ciò che viene detto - fornendo le relative legende storiche, politiche, sociologiche - ma che anche ne curasse la versione in un vocabolario accessibile. Insomma, qualcuno che, quando l'imputato dice "comando d'impresa", spieghi in simultanea: "direzione della politica industriale di una fabbrica, o di un settore produttivo". E così via. E poi, naturalmente, anche "interpreti" in grado di illustrare il contesto e lo scenario, le cause e le implicazioni delle vicende dibattute: sociologi e sindacalisti, antropologi ed economisti; magari, anche teologi e moralisti. Cosa vogliono dire, infatti, termini (uditi nel corso di deposizioni di imputati di Prima Linea) come procedimenti for·mali e tecnicopolitici, livel!i di operatività, comando di sede, quadro politico-militare, forzare il dibattito sul/a forza ...? A quali parole di uso comune corrispondono per i giudici popolari? A quale realtà identificabile e familiare possono essere riferiti? Qui sta la tragedia di un racconto che - con l'abbandono del processo-guerriglia da parte della stragrande maggioranza degli imputati per "fatti di terrorismo" - potrebbe costituire la forma privilegiata di comunicazione tra carcere e società civile; e tra detenuti che in varie forme recedono dalla lotta armata e i loro possibili interlocutori. Potrebbe: dal momento che quel racconto ancora non riesce a farsi dialogo, e proprio in ragione dell'intraducibilità del suo linguaggio. La qual cosa non è solo lo strascico estremo di vizi culturali resistenti: è anche, e soprattutto, l'espressione di filtri ideologici - beninteso, dell'una come dell'altra parte - che non vogliono allentarsi. È questo, credo, a rendere difficile la circolazione e la lettura di un libro come Frammenti (Quaderno di Controinformazione n. 4, Milano 1984) che raccoglie parte delle testimonianze rese in tribunale da componenti della Brigata Walter Alasia delle Brigate Rosse. Attraverso le deposizioni di alcuni imputati (che non si dichiarano dissociati) emerge uno spaccato vivissimo della Milano della seconda metà degli anni 70 e dei primi anni '80. La Milano della "resistenza operaia" alla ristrutturazione industriale - con tutto ciò che di minoritario e di irreparabilmente perdente quel termine resistenza evocava e comportava - e della soggettività collettiva (il senso comune, la mentalità) degli operai di fabbrica, frantumata dai processi di "riconversione" produttiva, sociale DISCUSSIONE/LERNER e culturale di quegli anni. Per ricostruire la storia di quella Milano, la storia materiale, non si può fare a meno di ascoltare le voci di quei "resistenti" fatalmente votati alla sconfitta: se questo è vero, il confronto in tribunale tra l'ingegnere dell'Alfa Rorn"eò Renzo Sandrucci e il suo rapitore Vittorio Alfieri, operaio dell'Alfa Romeo, è un "documento storico" - e d'altra parte, un racconto - impressionante e ineludibile. URIl' INTELLETTUALE EURIIl SOTTOPROLElARIO Gad Lerner Ed eccoci qua - noi, critici ipersensibili di tutto ciò che puzza di "realismo socialista", acerrimi nemici di qualsiasi tono predicatorio e didascalico e di ogni manicheismo politico applicato all'arte - eccoci qua commossi e plaudenti di fronte a Oltre le sbarre dell'israeliano Uri Barbash, cioè di fronte al film più manicheo, didascalico, predicatorio che ci sia capitato di vedere da molto tempo. Pronti, oltretutto, a riconoscergli un significato e un valore non esclusivamente legati all'efficacia del suo messaggio politico pacifista. Per quanto paradossale possa sembrare, ho l'impressione che il fascino del film risieda proprio nell'ingenuità con cui ci si presenta come metafora minuziosissima, quasi pignola, iper-conseguente fin nei dettagli. Chi meglio conosce la società israeliana di oggi, la storia degli ebrei orientali e del loro rapporto con gli arabi (prima e doLe illustrazioni di questa sezione sono di Giuseppe Ducrot. 13

14 DISCUSSIONE/LERNER po l'immigrazione in Israele), è conseguen- .temente meglio in grado di svelare uno dopo l'altro i particolari che compongono tale metafora. La quale si rivela tutt'altro che scontata e appare, anzi, provocatoria e au- . dacissima. Di quel particolare tipo d'audacia capace di afferrare e di penetrare individualmente molte coscienze sedimentate da una storia secolare, rivelandosi dunque assai efficace (come dimostra il successo del film proprio in Israele). La metafora di Oltre le sbarre, cioè, pretende di agire attraverso meccanismi e argomentazioni ben più articolati di quelli che, per esempio, originarono l'enorme impatto emotivo di The day after. Il regista Uri Barbash, intellettuale aderente a un movimento quale "Peace now" - nato non a caso nelle università e fra i quadri medio-alti dell'esercito, quindi caratterizzato da un'impronta europea oltre che progressista - nel film sceglie invece di trasmettere il suo nome, Uri, e alla fine anche la sua speranza, a un rapinatore di origini yemenite o giù di lì, che nel fisico nessuno sarebbe in grado di distinguere da un arabo ma che proprio per questo più degli altri odia gli arabi, che aspira e contrae le lettere dell'alfabeto ebraico in un amalgama tutto mediorientale. Quasi un'altra razza, verrebbe da dire, se l'ebraismo fosse definibile in termini specificamente razziali. L"'illuminato" Barbash sa bene come Uri-il sottoproletario e i suoi simili non solo costituiscono la base di massa della destra israeliana, ma ancor più incarnano nella loro povera sottocultura tutta l'intolleranza, il razzismo, la bellicosità contro cui il suo movimento cerca di battersi. Ma Uri-l'intellettuale (Barbash) non dimentica altresì l'antico paradosso sociale per cui, purtroppo, è spesso la maggioranza dei diseredati, sono gli abitanti dei sovraffollati ghetti urbani, gli oppressi che subiscono più direttamente il peso della guerra, sono spesso proprio loro i più accesi sostenitori della guer-· ra. Ciò è sempre più vero man mano che ci si sposta a Oriente, eppure Uri-l'intellettuale, utilizzando i più classici strumenti occidentali dell'analisi di classe, indica come la pace possa nascere esattamente là dove oggi trova alimento la guerra. Come proprio ciò che appare impossibile, alla fine si riveli quale l'unica soluzione possibile. In tempi e luoghi dominati da ideologie ed integralismi religiosi sempre risorgenti, questo richiamo all'urgenza degli interessi materiali che accomunano i proletari ebrei e i proletari palestinesi (oltretutto enfatizzata con la scelta del film di rappresentarli nell'abisso di un carcere di massima sicurezza) potrà forse apparire velleitario. Quante volte, purtroppo, si è rivelato tale! Racconterò fra poco alcune delle illusioni e ~ .t delle delusioni che Oltre le sbarre mi ha riportato alla mente. Eppure resto dell'idea che l'intelligenza di Barbash è proprio quella di insistere su questa e non sulle altre strade che pure nella sua esperienza diretta egli ha praticato. Ricordiamo, all'inizio del film, il giovane intellettuale ebreo sensibile alla causa palestinese, l'ex paracadutista Assaf condannato a cinque anni per i suoi rapporti con i fedayn. Cosa può lui, da solo, dentro al supercarcere della disperazione mediorientale, in balìa di dinamiche, traffici e interessi incontrollabili? È già ·molto se salva la pelle e se, alla fine, riconquista la fiducia degli altri detenuti. Solo la presa di coscienza di Uri-il sottoproletario può invece modificare la situazione. Lui è l'unico vero protagonista del film (mentre - come vedremo - la figura perfetta del palestinese lssam assolve a una funzione prevalentemente simbolica). Potremmo aggiungere che lo stesso movimento di "Peace now" - pur avendo esercitato in alcune fasi un notevole peso politico - non è di per se stesso strutturalmente in grado di toccare al cuore, con il suo messaggio, il nucleo maggioritario della società israeliana in guerra. Cosa di cui Uri-l'intellettuale mostra di essere consapevole. Detto questo, resta vero che un approccio prevalentemente "classista" alle contraddizioni della società israeliana e più in generale al conflitto mediorientale si è già rivelato in varie occasioni assai deludente. Per tutta la durata del film, assistendo alla progressiva maturazione di Uri-il sottoproletario, non potevo fare a meno di ricordare l'avventurosa storia delle Pantere nere israeliane, cioè di quel movimento di rivolta degli ebrei orientali contro l'establishment askenazita che all'inizio degli anni '70 sollevò non poche speranze. Quanto ci appariva limpida e lineare, quella rivolta! Nasceva da un vecchio quartiere cadente di Gerusalemme, Musrara, posto quasi di fronte alla Porta di Damasco, a mezza strada fra lazona degli ebrei ortodossi e la città araba (verso la quale, naturalmente, dopo ogni attentato terroristico, partiva da Musrara qualche squadraccia di picchiatori, assai simile a quelle çhe·prima di emigra_regli ebrei marocchini, jrakeni, yemeniti erano abituati a vedersi arrivare in casa, magari dopo un'in·- cursione aerea dei Mirage israeliani). A Musrara abitavano famiglie molto povere e molto numerose, arrivate quasi tutte dopo la proclamazione dello Stato nel '48. Quelli delle Pantere nere raccontavano come l'establishment askenazita si mostrasse lieto e anzi sollecitasse quel tasso di natalità particolarmente alto. Il primo ministro Ben

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