Linea d'ombra - anno I - n. 1 - marzo 1983

raccontistranieri differenza, svelta si spogliava. Ora non volevo sentirmi confrontato con il corpo di un'altro, non volevo saperne di sforzarmi per farle capire che avevo voglia di lei. Avevamo bevuto, affrontato il viaggio e la nebbia, ci se11tivamopesanti dal tanto parlare e mangiare, avevamo diritto di essere stanchi e basta. Ora sentivamo di non aver la forza di fare l'amore, volevamo solamente dormire. Karin cominciò a fumare, si sedette sul letto e accese il registratore. Mi sedetti vicino a lei e ascoltai. Il registratore aveva un minuscolo altoparlante, e la musica poteva contrastare solo debolmente il rumore del vento. Voci elettronicamente distorte, accompagnate da un suonatore di sitar, fulminei messaggi da un altro pianeta, che solo noi potevamo captare, vicini com'eravamo al punto più elevato in tutta la zona circostante. Mi sdraiai appoggiando tutto il peso del corpo contro la parete. Un senso di indolenzimento mi stava prendendo, pian piano, braccia e gambe; cerchi di luce bianca attraversavano la stanza, danzando dal lampadario sul soffitto, e si posavano come linee luccicanti su ogni oggetto, sprofondando poi nel buio ai piedi del letto. Il viso di Karin era ora luminoso, sembrava quasi trasparente; sarebbe stato facile disegnarlo: una bocca scura, semispalancata sotto la fronte chiara, distesa, "ascolta, semplicemente, e cerca di capire le voci, non stare a guardarmi e a fare confronti con la donna che conosci; devi cercare soltanto, in questo momento, di essere qui, perché è adesso che viviamo, dopo non più''. Ci accarezzammo dolcemente e solo con la punta delle dita, i ricordi sembravano scivolare via con il tocco delle nostre mani, e, come i nostri sguardi, di nuovo, s'incrociarono, non ci riconoscemmo più. Quando la cassetta fini, spegnemmo la luce e ci sdraiammo l'uno accanto all'altra, senza alcun desiderio, se non quello di dormire. Sentii, all'improvviso, che Karin si era messa a sedere sul letto. L'avevo già capito prima di andare a letto, è tutto programmato fin dall'inizio, non so proprio perché ho accettato di fare questo viaggio, tre giorni in questo albergo osceno, in mezzo alla Foresta Nera, strozzata tra un tuo impegno e l'altro, non voglio dire che il tempo non ci basterà, ma è una situazione senza prospettive, e l'esito era già scontato prima ancora che m'incontrassi nel caffé. L'abbracciai per farla tacere. Ci accarezzammo nell'oscurità e cercammo di eccitarci tentando di ridar vita al presente perduto, ma le nostre dita erano, ora, guidate unicamente dalla voglia di scaricare la tensione, a qualsiasi costo. "Mai più, mai più questa lotta ridicola per il piacere: quando tu ce l'hai io non ce l'ho, e quando godo io non godi tu!", Karin mi spinse via le mani. Passata la paura del primo contatto, non voleva saperne, ora, di sottoporsi a una prova. Ci svegliammo tardi e ordinammo la colazione in camera. Il cameriere teneva gli occhi puntati, quasi con sospetto, sulla camicia da notte di Karin, come se sotto fosse nascosta un'arma. Il giorno prima aveva ostentato un'altezzosa indifferenza, ora, invece, sembrava volesse fare delle osservazioni. Qualcuno era stato arrestato, e ora era un altro a essere ricercato. Ma i panini erano freschi, la marmellata fatta in casa, e non c'era veleno nel caffé. Fuori il vento s'era calmato, il paesaggio coperto di neve, che sembrava stretto tra sentieri, ski-lift, alberghi e pali del telegrafo, irradiava un che di dolce e monotono. Appena fuori dall'albergo guardammo attraverso la vetrata della piscina: i visi ciechi erano appoggiati alle sedie a sdraio, i corpi nudi sembravano le ombre delle figure mummificate che, sul pendio della montagna di fronte a noi, venivano tirate su e giù dagli ski-lift. C'incamminammo, in salita, prendendo verso ovest e fiancheggiando il bosco. Le nuvole erano spinte verso valle da un 154 - Peter Schneider

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