.-..-.r .. -..■ - ... ._.~_.._.. ... ■ lliiii.i.... - ... ■ lliiii.i.... - italiana manca quasi completamente quel sistema vecchio, criticato ma insostituibile di a/locazione delle risorse, di razionamento, di decentramento delle decisioni che è il mercato. La necessità di risolvere 111110 con un allo del principe deriva da un fatto molto semplice: che il principe impedisce la nascita di soluzioni alternutive. Per rendersene conto basta esaminare il «ciclo produllivo• in cui entra lo studente di medicina ed esce il medico al lavoro: ad ogni livello mancano prezzi che indichino a chi sceglie se sta facendo qualcosa di razionale o no. A fronte di un atteso reddito elevato ci sono tasse di iscrizione ridicolmente basse, che non costringono chi si iscrive a compiere un minimo di «calcolo economico•. A fronte di una domanda crescente c'è un sistema di finanziamento della università che rende impossibile un suo comportamento imprenditoriale. Finanziata quasi compieIL LEVIATANO tamente dallo stato. pressoché priva di concorrenti, limitatamente autonoma, l'università pubblica non ha nessun interesse economico ad andare incontro al mercato che cambia, a innovarsi, a differenziare i suoi prodo11ie a sviluppare strut111re tecnologie. In fondo alla cate11a,poi, c'è un ogge110misterioso, chiamato «mercato dei servizi sanitari• dove una serie incredibile di distorsioni, impediscono che alla crescita del numero di medici corrispo11dauna riduzione sostanziale dei loro redditi, tale da scoraggiare i giovani decisi a seguire la strada di Ippocrate. Il risultato fi11ale è quello che abbiamo difronte t111tiU. no spreco di risorse, di sforzi, di speranze, che sembra possibile evitare con una bella limitazione del numero di iscritti a medicina, programmato dal centro, anno per anno, con un occhio al piano sanitario e uno alle indicazioni dell'ordine dei medici (che ha tu/- ■-..-.r .. -..■ ... ii lliiii.i.... lo l'interesse a tenere basso il numero dei suoi membri). Eppure, dicevamo, un'alternativa esiste. Si trai/a di introdurre alcuni princip'ì relativamente semplici. Il primo è che prezzi e concorrenza devono avere il più ampio spazio possibile nella produzione e nel consumo del bene «istruzione universitaria•. Ciò significa che le università devono essere costre11e a finanziarsi con le tane pagate dagli studenti, che deve essere possibile la nascita di università private, dnre chi investe nella sua .formazioni' deve paRt1re per ciò che riceve. Il secondo è che lo stato deve aholire quelle norme o quegli • llll<'gRillmenti • per cui il possesso cli 1111 titolo di studio universitario costituisce di per sé un privilegio. Il terzo principio è l' introduzione di prezzi e concorrenza che non implica asso/111amente l' abbando110di quegli obiellivi redistributivi co11cui implicitamente si vuole giustificare la gratuità di molti servizi, compresa l'istruzione universitaria. Al contrario si può benissimo pensare a schemi di prestiti e sussidi che vadano dire11amente agli studenti e che finalmente rendano trasparente (e non offensivamente inadeguati com'è il presalario) le politiche del dirillo allo studio. A chi teme che 11111c0iò renderebbe gli s111dentivi11ime della «anarchia del mercato• si può obiellare che, al contrario, per la prima volta essi avrebbero 1111 po' di potere, in quanto il loro comportamento e le loro scelte come «clienti» sarehhero determinanti per la sopravvivenza de/l'università, per l'occupazione dei professori, per le scelte educative. Scrive 1111 noto economista inglese. La sussistenza di professori ed insegnanti provenendo dai loro stipendi, deriva evidentemente da un fondo complewmente indipendente dal successo e dalla repli/azione nelle loro particolari professioni ... (dove) all'insegnante è proibito ricevere onorari o tasse dai suoi studenti, è lo stipendio costituisce 11111i0l reddito che gli proviene dal suo ufficio ... il suo interesse contrasta al massimo col suo dovere•. Peccato che gli orfani del '68 non abbiano letto Adamo Smith. Silvio Bencini 7
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