Il Leviatano - anno II - n. 16 - 6 maggio 1980

... ..-r~ .. •- ■.,.._.r~.,.• .... aiiii1111.1. 1l ■ - .... aiiii1111.1.1l ■ - le scelte sensate che sono imposte dalla realtà. Lo conferma, proprio dal versante sindacale, l'ultimo contratto nazionale dei chimici che, com'è stato fatto no-- tare, suddivide le varie categorie esclusivamente in base a parametri professonali e non ai titoli di studio. Se vogliamo infatti ridare efficienza alle nostre università, le strade sono due. O si mantengono le scelte fatte dopo il '69, ma allora occorre moltiplicare sforzi e finanziamenti, che dovrebbero essere enormi. per garantire tante nuove università tanti laboratori di ricerca, tanti nuovi professori, in modo da adeguare le nostre strutture alle dimensioni di massa della nostra università e da poter garantire a tutti gli studenti l'adeguata preparazione professionale che oggi non è possibile assicurare; oppure, si rinuncia al ruolo che finora troppi hanno attribuito all'università come ufficio di collocamento di lusso e si torna a farne quello che dovrebbe essere, cioè un centro di studio e di ricerca ed un'occasione per lo studente di investimento del proprio capitale umano. Alle due vie, l'alternativa è quella di continuare ad imbrogliare, come finora si è fatto, gli studenti, soprattutto quelli più poveri, ai quali si è fatto credere che bastasse andare all'università. e a questa università, per vedersi assicurato un più elevato status sociale: imbroglio del quale ci si sta accorgendo, come dimostra il calo delle iscrizioni. Gli errori di quest'ultima prospettiva sono almeno due: in primo luogo, si continua a credere, o far credere, che una maggiore scolarizzazione basti, da sola. a diminuire le diseguaglianze sociali dalle quali invece, com'è stato dimostrato, il sistema educativo continua ad essere segnato. Ovvero: la battaglia per diminuire le diseguaglianze non può aver inizio nella scuola, perché sarà questa ad adeguarsi. Tant'è vero che, pur dopo la liberalizzazione degli accessi. il proletariato continua a rappresentare solo il 26,5 della popolazione universitaria, contro il 20, I della alta ed il 51,9 della media borghesia. Il secondo errore è credere che la tendenza ad andare all'università solo per trovare il posto sia così diffusa: ancora le statistiche 6 effettuate in anni recenti mostrano che la motivazione principale è, in realtà, rappresentata dal desiderio di studiare. A questo punto, se le esigenze sono quella di garantire l'autonomia di decisione del singolo studente per quanto riguarda le sue scelte culturali (e questa in una società «aperta» dovrebbe essere la più importante) e l'altra di ridare efficienza all'università, liberandola dal carico di chi entra illuso ed esce deluso, la soluzione dell'abolizione del valore legale rimane la migliore alternativa a misure assai più illiberali come il numero chiuso. Un'università preceduta da corsi assai più professionalizzanti degli attuali (ed un buon segno è il progetto del primo governo Cossiga di istituire i corsi per «operatori tecnico-sanitari») e che non prometta se non un corso di studi seri che ciascuno si costruisce come vuole, assumendosi le proprie responsabilità, è forse un modello più scomodo: non offre certezze, ma almeno promette meno delusioni. Tra l'altro, un'effettiva liberalizzazione degli studi accompagnata dal riconoscimento dell'indipendenza e dell'autonomia anche organizzativa e finanziaria delle singole sedi universitarie, consentirebbe un'effettiva concorrenza tra di esse, ulteriore incentivo alla serietà della ricerca scientifica. Che i comunisti non concordino, è comprensibile: I-' attuale modello napoleonico ed accentratore continua ad essere il più rassicurante per tenere a bada e sotto controllo l'eresia che, per definizione, dall'università si dovrebbe diffondere. Ma da coloro i quali proprio dell'eresia dovrebbe essere i più tenaci difensori, come i partiti laici, ci si potrebbe attendere un maggiore impegno per una delle prime riforme veramente liberali, fatte non di nuove burocrazie, ma solo di nuove regole. Salvatore Carrubba ... ..-r~ .. • ... ■ aiiii■"' .. ■ UNIVERSITÀ Lo studio di mercato CnE L'UNTVERSITÀ ITALIAna soffra di un problema di sovraffollamento è unfatto che nessuno nega. Qualcuno, al massimo, aggiunge cinicamente che il sovraffollamento si è corretto da sé, scoraggiando la frequenza di una massa di iscritti «assenti», che, in quanto tali, evitano il collasso delle strutture. Come correttivo a questo sovraffollamento (eccesso di domanda del bene «istruzione universitaria,) la proposta più frequente, in questi anni di disoccupazione intellettuale è sta/a quella dell'introduzione del numero chiuso o programmato. li governo passato, per iniziativa del ministro Valillltti, ne ha deciso l'introduzione per la facoltà di medicina, incontrando una quasi unanimità di consensi, tutti motivati dalla stessa, lodevole buona intenzione: «razionare» un bene «scarso• in nome, di volta in volta, della efficiente utilizzazione delle risorse nazionali, della preparazione dei medici, della loro occupazione, e (detto in tono più basso) del loto reddito futuro. Lasciamo perdere le molte «perle» che si potrebbero trovare fra le ragioni addotte a favore della -proposta. Quando un granello di senso comune penetra nel 'ostrica dell'interesse corporativo il risultato è sempre uguale: perle che sono macigni pesantissimi, costosi, iniqui e molto poco liberali (per chi è imeressato <! questo pulllo di vista). E il caso del numero chiuso, presentato come l'unica risposta a una situazione altrimenti ingovernabile, che invece è la logica conseguenza di quel sistema di leggi che ha reso l'università ingovernabile, quando una delle sue basi, la limitazione degli accessi agli studenti proveniellli da certi ordini di studi, è stata eliminata nel '69. La verità è che nell'università 6 MAGGIO 1980

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