I Si tratta, continua Maldonado, «di ex-cittadini cubani fuggiti negli USA dopo la rivoluzione (per lo più residenti a Miami)• che tornano «per visitare le famiglie dopo la riapertura delle frontiere». Non si chiede, il nostro, perché le frontiere siano state aperte in una sola direzione: e cioè perché i cubani di Cuba non possono andare a «visitare le famiglie• che risiedono negli Stati Uniti, ma solo i residenti negli USA possano «visitare le famiglie• sull'isola., - L'unico modo di uscire da Cuba è dunque quello di andarsene definitivamente. li che è possibile, sia pure a prezzo di «esasperanti lungaggini burocratiche». Tutto qui: basta avere pazienza. Non dice ai suoi lettori, il Maldonado, che le lungaggini burocratiche sono più o meno le seguenti: il malaugurato cubano che decide di chiedere il visto di espatrio non ha la garanzia che il visto gli sarà effettivamente concesso: dipende dalla «burocrazia•. Forse il visto arriverà, tra un anno, due, tre anni, forse mai. Nel frattempo egli è automaticamente iscritto nell'immateriale, ma reale, libro dei «gusanos•, ovvero «vermi•, come graziosamente li chiama il governo, traditori del socialismo, della rivoluzione, della patria. Per ciò stesso cesserà di avere un lavoro regolare e uno stipendio regolare, diventerà preda di tutte le possibile angherie di tutta la burocrazia del regime. All'Avana - ci spiegava «L'Unità• in un articolo precedente - alcuni prodotti di consumo vengono distribuiti tramite l'autorizzazione dei comitati d'impresa, vengono cioè dati ai lavoratori più fedeli al regime. Il povero «gusano», naturalmente, questi beni di consumo può tranquillamente scordarseli. Chi decide di emigrare cessa di essere un cittadino di serie A (ammesso che cittadini di serie A in un Paese totalitario ce ne siano), mangia quando può, può essere fermato, arrestato, deportato al lavoro coatto, maltrattato - lui e la sua famiglia - senza che nessuno alzi un dito per difenderlo. È vero, ha ragione Maldonato, non esiste una proibizione di emigrare (ma qualche anno fa è esistita: e il fatto che si sia arrivati a questa proibizione nonostante il costo che gli aspiranti emigranti IL LEVIATANO sono disposti a pagare dice molto sulla reale volontà di buona parte del popolo cubano): ma il prezzo per emigrare (forse: non c'è alcuna certezza, va sottolineato) è elevatissimo, in termini materiali, morali, di umiliazione, di degradazione umana e civile, e non tutti, naturalmente, se la sentono di affrontare questa trafila. Stando così le cose, si comprende come, nell'attimo in cui si delinea una possibilità di emigrare al «modico• prezzo di trascorrere qualche giorno nelle condizioni inumane in cui vivono i rifugiati del giardino dell'ambasciata del Perù, tutti quelli che fanno in tempo a raggiungere il suddetto giardino vi si precipitino. Che diecimila persone decidano di lasciare una capitale di due milioni di abitanti non è di per sé significativo. Ma che lo decidano da un momento all'altro, senza salutare parenti, lasciando le loro povere cose e case abbandonate, disposti a ficcarsi uno accato all'altro in un giardinetto pieno di vomiticcio e di escrementi. apre uno squarcio sui sentimenti reali del popolo dell'Avana. FIDEL E RAUL CASTRO ~~-- lliiiiiii.. ■ lliiiiiii"' ii Eppure, prosegue Maldonado, la rivoluzione cubana di cose ne ha realizzate: l'alfabetizzazione, la fine della disoccupazione, la diminuzione della mortalità infantile. Certo. E perché mai si dovrebbero negare i risultati positivi acquisiti? Dimentica però il collaboratore dell' •Unità» di chiedersi a quale prezzo questi risultati sono stati ottenuti. Non perché, da parte nostra, si voglia proporre una diversa scala di priorità, non che non si voglia anche ammettere che forse è giusto pagare i prezzi che sono stati pagati per ottenere i risultati che sono stati acquisiti. Ma chi è giudice se i risultati giustificano il prezzo che si è pagato? Non dovrebbe essere il popolo cubano a decidere la propria via, il proprio «modello di sviluppo•, quali obiettivi siano da perseguire, al costo di quali sacrifici? Ma al popolo cubano, come ai popoli di tutti i Paesi socialisti, questa scelta è preclusa. A Cuba decide il «leader maximo•, e decide per tutti. Ai cubani un solo modo di votare è lasciato: quello di cogliere l'occasione propizia per andarsene. 9
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