EPIGONI La caduta demenzia.le I S1 DEVE FARE UNA GRAN FAtica per capire come la famosa «legge della caduta tendenziale del saggio di profitto• evocata di recente dal prof. Galgano («Problemi della transizione•, nn. I e 2) possa essere di qualche utilità nello scoprire le cause «oggettive• del fenomeno italiano. Di nessuna delle contraddizioni che lo caratterizzano l'enunciazione di questa legge può offrire una spiegazione plausibile. Non della degenerazione del sistema economico. Non della sospensione dei meccanismi di mercato. Meno che mai del ristagno del sistema di governo e dell'elusione sistematica e diffusa delle regole del gioco. Qual è il nesso che lega queste circostanze e le avvolge in un perenne circolo vizioso? Incurante delle evidenze più prossime, la chiave di tutto Galgano la ricerca nelle leggi che governano i movimenti della grande catena capitalistica. L'Italia non ne è forse un anello? E, dunque, è così difficile capire che la degenerazione dell'economia capitalistica in capitalismo assistito, in un'economia che sopravvive in forza della dilagante espansione della mano pubblica, dei contributi statali, dei salvataggi, ecc, in breve in questa forma di socializzazione perversa, non è che la prova che l'impresa capitalistica• «volge universalmente al tramonto?» Non sono i limiti endogeni alla accumulazione a rendere progressivamente contraddittori democrazia e capitalismo, la sovranità popolare e la proprietà privata dei mezzi di produzione e quindi a mettere in discussione l'intero fondamento della società capitalistica? Allora è chiaro che siamo in presenza di «un momento necessario di transizione per la trasformazione del capitale in proprietà dei produttori» secondo una celebre pagina del Capitale. Di questo «processo storico de- ~11ato a investire l'intero Occiu dente•, dice Galgano, il nostro Paese è la «punta più avanzata•. Per questa via, secondo il nostro Sweezy aspirante degli «anelli intermedi•, la transizione a una società superiore che unifichi democrazia economica e democrazia politica è all'ordine del giorno. Del tutto irrealistica temo che sia l'impostazione di partenza. Non esistono nel nostro Paese i margini per tentare pindariche sperimentazioni, e neppure esistono progetti plausibili che diano forma alla terza via cui Galgano si richiama. Esiste invece, e clamoroso, il fallimento storico del socialismo reale. Tutta la differenza tra il modello leninista della transizione e quello eurocomunista, dice invece Galgano imperturbabile in Le istituzioni dell'economia di transizione (Roma, 1978)riguarda la «successione delle fasi», fermo restando il fine e cioè «la soppressione della proprietà privata•. Si tratta allora semplicemente di una transizione verso ordinamenti qualitativamente diversi da quelli che rientrano nei fini delle socialdemocrazie europee, e che quindi si risolve in un allontanamento dall'Europa. Riesumare la caduta tendenziale del saggio di profitto per spiegare la sopravvivenza relativa del capitalismo grazie all'imperialismo e nei Paesi «intermedi» grazie all'involuziOJJe «neomercantilista•, in relazione all'Italia è un vero e proprio rovesciamento di cause ed effetti. Il calo complessivo dei profitti dell'industria, il ristagno degli investimenti sono derivati da un'alterazione profonda e delle regole del mercato e della condizione di funzionamento del sistema delle imprese, di quella CLAUDIO NAPOLEONI «economicità della gestione• ch:-' secondo Galgano è invece un sogno imperseguibile. Se il principio è di non tenere conto delle «garanzie di incremento produttivo» secondo ilj'accuse di Giorgio Amendola, ne consegue tutta la patologia economica: ritirata del capitale privato, declino del mercato azionario, elefantiasi improduttiva della spesa pubblica e via di seguito fino alla decadenza anticompetitiva e alla sovvenzione bancarottiera. È piuttosto diffi cile confondere le difficoltà di autofinanziamento così accentuata nelle imprese italiane col declino inesorabile cui è destinato il profitto, questo «principio stimolante della produzione capitalistica» (Marx). A queste difficoltà ha certo contribuito invece la tendenza a invertire il rapporto, fondamentale in un'economia capitalistica, tra salario e profitto con tranquilla noncuranza della regola della produttività (la famigerata «logica» della libera impresa). In esse si esprire una relazione direttamente opposta a quella regolata dalla legge della caduta tendenziale che come è noto implica il progresso tecnico e dà per scontato l'aumento della produttività del lavoro. In breve, secondo la legge, le forze che deprimono il profitto sono insite e conseguenti al processo di accumulazione. La flessione dei profitti in Italia (che fra l'altro precede fenomeni analoghi in altri Paesi occidentali) deriva da un «blocco• dell'accumulazione ostacolato, secondo le analisi insospettabili di Claudio Napoleoni, dai difetti di gestione politica certamente, ma anche dalla natura dell'azione rivendicativa dei lavoratori. Perciò tentare di ricondurre la situazione italiana sotto questa celebre legge non ha altro significato che estrapolare dalla pura e semplice constatazione che il salario è stato tra le principali cause di erosione delle fonti interne di finanziamento, la conclusione che il sistema capitalistico è prossimo alla fine. Della stessa «legge» (di cui fra l'altro Galgano salta a pie' pari tutte le difficoltà intrinseche oggetto di dibattiti pluridecennali) non resta in piedi insomma che il suo significato più riposto: «l'ultima forma servile che l'attività umana assume, quella del lavoro salariato da una parte e del capitale dall'altra - dice Marx J 22 APRILE 1980
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