Il Leviatano - annno II - n.13 - 8 aprile 1980

NEOMARXISMO Lo Spirito corporanvo I &cENTEMENTE, DUE /Nterviste, a «Rinascita• e a «Il manifesto•, vari dibattiti tra cui uno a Roma con la partecipazione di Pietro Ingrao e Riccardo Lombardi, hanno contribuito a porre l'attenzione sugli studi del «neomarxista,. tedesco-occidentale Claus Offe. Del giovane autore ( 1940), allievo di Jurgen Habermas, sono stati tradotti in italiano Lo Stato nel capitalismo maturo (Etas, 1977)e con Gero Lehnardt Teoria dello Stato e politica sociale (Feltrinelli, 1979), di cui si erano già interessati gli ambienti della nuova sinistra. Ciò che Offe contesta al marxismo tradizionale è la categoria politica della dissociazione tra Stato e società civile applicata al capitalismo contemporaneo. Per lui è necessario al contrario muovere dall'ipotesi che esista tra il sistema politico e quello produttivo un rapporto di reciproca complementarità, in modo tale che gli interessi delle classi dominanti non si esprimono più con strategie imposte allo Stato dalI' «esterno•, bensì sulla base delle routines procedurali e delle strutture formali degli apparati dello Stato stesso nelle loro condizioni normali di funzionamento. Ne consegue che nel capitalismo maturo le differenze di classe non si determinano più tra· possessori dei mezzi di produzione e detentori della forza-lavoro. · Da ciò l'analisi di Offe conduce a considerazioni non prive di interesse. Egli ritiene che la mediazione e la selezione politica premi i titolari di funzioni tecniche ed economico-sociali caratterizzati sia da un elevato grado di specialità, che da un alto potenziale organizzativo e conflittuale. Capacità conflittuale che si basa - osserva l'allievo di Habermas - «sulla capacità di un'organizzazione, o del gruppo funzionale corrispondente, di rifiutare collettivamente la prestazione o di minacciare se- \.:.amente il rifiuto di una prestaIL LEVIATANO zione rilevante per il sistema. Una serie di gruppi di status e di funzione è indubbiamente capace di organizzazione, ma non di conflitto. Basti pensare ai gruppi delle casalinghe, degli scolari e degli studenti, dei disoccupati, dei pensionati, dei criminali, dei malati mentali e delle minoranze etniche. I bisogni di questi gruppi sono dotati di una minor forza di imposizione in quanto si trovano al limite o al di fuori del processo di valorizzazione delle prestazioni e quindi non hanno possibilità di rifiutare una prestazione importante•. · In tal modo il nuovo «Stato del benessere• è costretto a sacrificare il principio di legalità e di certezza del diritto (formalmente egualitario) a favore di vaste zone di privilegiamento giuridico degli interessi organizzati in corporazione anche sindacale. Le strutture politiche e amministrative finiscono per trascurare sempre più le istanze e le finalità politiche generali. Ciò dà luogo a crisi acute e a gravi problemi di governabilità. Infatti, il problema di ogni sistema politico è sempre quello di produrre decisioni che possano essere attuate. «Il sistema di governo parlamentare - dice Offe nell'intervista a "Rinascita" - non è più in grado da solo, attraverso il meccanismo di aggregazione dei partiti politici, il rapporto di rappresentanza e la divisione dei poteri tra parlamento e governo di assolvere questo compito di produzione e di esecuzione delle decisioni•. Quali possono essere allora le possibili soluzioni che la sinistra deve proporre? Per Offe si tratta di evitare quelle che per lui sono le due varianti di sinistra del corporativismo moderno. Da una parte, la variante radicale dell'autonomia sindacale dai partiti e, dall'altra, le posizioni che sostengono una politica secondo schemi che vanno «dal contratto sociale alla democrazia industriale, alla cogestione e all'austerità con il diretto coinvolgimento dei sindacati che diventano organi di controllo dei loro aderenti•. Quest'ultima linea - è noto - informata ai principi di compatibilità tra consumi (pubblici e privati) ed investimenti in relazione al reddito e ad una severa rigorosità in politica economica ed amministrativa, è stata sostenuta (ma disattesa) in Italia, per lungo tempo, dal «calvinismo• di Ugo La Malfa e ri~resa ultim=-l mente da Giorgio Amendola. Di contro, approfittando degli spazi offerti dal neocorporativismo - dice Offe nell'intervista a «Il manifesto• - la sinistra potrebbe puntare alla diffusione di nuovi poteri non statali. Salvo precisare tuttavia, su «Rinascita•, che è «impossibile rinunciare a istanze politiche di mediazione senza ricadere su posizioni anarchiche o di sindacalismo libertario•. D'altronde occorre secondo lui scongiurare i pericoli che deriverebbero - come già nel socialismo reale - da una statalizzazione dei mezzi di produzione tale da comportare il rafforzamento dell'aspetto burocratico e dispotico del potere statale. Si tratterebbe di trovare una forma istituzionale retta da norme di democrazia di base come espressone integrale della molteplicità dei bisogni e degli interessi delle masse, capace però di sfuggire alla «permanente tendenza verso la disgregazione che molto spesso prende il sopravvento•. Si potrebbe provare, tra l'altro, sostiene Offe, con il collegare «le lotte sindacali e politiche col sistema della scienza•. La soluzione consisterebbe in definitiva, a parere del Nostro, in una «terza via né autogestionaria né burocratica, in cui si realizzasse una combinazione di queste due possibilità: forme sindacalistiche e consiliari unite e guidate centralmente da un piano•. Senza voler apparire provocatorio - Offe è un sincero democratico - mi sembra che grosso modo un'idea simile di combinazione (pur con tutte le differenze dovute) era già venuta in mente al fascismo di sinistra. Penso soprattutto a quel corporativismo integrale, diffuso o di massa, proposto. da Ugo Spirito. Esso era per lui un «comunismo» che «nega lo Stato livellatore e insieme l'individuo anarchico, che nega la gestione burocratica burocratizzando tutta la Nazione, ossia facendo di ogni cittadino un funzionario e nega la gestione privata riconoscendo ad ogni individuo un valore e una funzione di carattere pubblico•. Fine ultimo del corporativismo integrale era superare il dualismo tra politica ed economia, pubblico e privato, assicurare le tecniche di razionalizzazione del mondo economico in modo da rendere possibile, aggiunge Spirito, «quell'economia programmatica con la qu3J 15

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