Il Leviatano - anno II - n. 12 - 1 aprile 1980

..... ~ .... _ ...... ~ .. .. ■ . .. .. - . ■ ... .. - ...... ~ ... ........ tossicodipendenza, offrire ai tossicodipendenti condizioni di vita non ossessionate dalla angoscia e pericolosa ricerca della droga. Non si tratta di dare spazio a una presunta e discutibilissima «cultura della droga•, ma di valutare scientificamente, razionalmente, al di fuori di facili condizionamenti emotivi, i danni effettivi, psichici e fisici, prodotti dall'uso di certe sostanze, e gli effetti sociali, più o meno deleteri, di un regime proibizionista. In questo senso, occorre saper prendere le distanze da certi modelli della nostra cultura, che consentono la tranquilla accettazione dell'alcool e del tabacco di cui tutti conoscono l'alto grado di nocività, mentre impongono il rifiuto irrazionale e demonizzante dei derivati della canapa indiana. Sull'uso dell'hashish e della marijuana molti Paesi e organismi scientifici hanno creato commissioni d'inchiesta interdisciplinariè nata, così, una serie di rapporti (India, Stati Uniti, Inghilterra, Olanda, Australia) che sono arrivati, sulla base di una larghissima documentazione, a questa comune conclusione: non c'è rapporto causale fra l'uso di queste sostanze e compQrt::menii criminali, malaitie mentali o il passaggio all'uso di droghe pes~nti. D'altra parte, esse non generano dipendenza fisica e la dipendenza psichica è minore di quella determinata dall'alcool e dal tabacco; anche la tossicità è minore di quella dell'alcool e del tabacco. I guai più grossi sono provocati, invece, dai •meccanismi perversi• del proibizionismo che peggiora la situazione sanitaria e porta alla criminalizzazione per affrontare i prezzi del mercato nero. In queste condizioni prosperano e si estendono •potenti organizzazioni criminali• che penetrano perfino nelle istituzioni. Diverso è, naturalmente, il discorso che riguarda le droghe derivate dall'oppio e che producono assuefazione: qui si tratta. sulla falsariga di quanto già proposto dal ministro Altissimo, di arrivare ad una distribuzione controllata délle sostanze per sottrarre i tossicodipendenti (che in Italia oscillano dai 50.000ai 100.000)ad«una spirale che conduce con alta probabilità alla morte•. Ripeto: non IL LEVUT!.NO si tratta di dare un pubblico riconoscimento alla morale o antimorale della droga, ma di tentare di mettere un argine razionale al fenomeno, per poi cercare di eliminarlo con più radicali interventi sul tessuto sociale. Certo, nessuno può essere sicuro dei risultati di un provvedimento del genere, ma la nostra etica di laici, legata allo spirito della sperimentazione scientifica, non può che essere fondata su ipotesi di lavoro da sottoporre a una continua correzione. I tromboni del moralismo non hanno molto di meglio da offrire. In presenza di una proposta legislativa che dovrebbe vedere la convergenza in parlamento di tutte le forze laiche (anche se lascia dubbiosi la posizione dei comunisti), la richiesta di referendum abrogativo della tabella 2 dell'art. 12della legge 685 sulla coltivazione, il commercio, la detenzione e il consumo dell'hashish e della marijuana, rischia di estremizzare il problema, di scatenare reazioni violente ed ottusamente moralistiche attraverso una demonizzazione della droga e dei drogati che ha radici profonde nella psicologia collettiva. Coloro che hanno proposto il referendum pensano che «una vasta campagna di informazione ci darà la possibilità di incidere sulla coscienza della gente•. Sarà veramente così? O non assisteremo piuttosto, attraverso gli schermi delle televisioni pubbliche e private. nonché sulle prime pagine compiacenti di certi giornali, ad una virulenta esplosione di demagogia e di bigottismo, capace di travolgere anche la possibilità di varare una legge più umana ed efficace? Paolo Bonetti ERGASTOW Il momento meno adatto Nel pn>porff l'abropzione della pena dell'erpstolo I radka1i si Ispirano al Sllpttametdo della C0DttDoDe retributiva della pma, dllanmente enllllCialo nell'art. rT della Cost~. La scelta di proporn, ora q- rel'erendum è ~ta a motivi politlc:i: per I radicali e proprio nd momenti di dJsonllne che si -- alla prova I prindpl In c:ul si crede: la logica della ragione illuminata al posto della logica del potere. NoN ABBIAMO MAI AVUTO ragione di scostarci dalle conclusioni alle quali Croce giunse una quarantina d'anni fa in materia di «giustizia dei tribunali•. Quando uomini si erigono a giudici di altri uomini, non è tanto questione di giustizia quanto di difesa della società, minacciata dagli autori di delitti o da altri che potrebbero essere indotti ad imitarli se restassero impuniti. Giusto ed ingiusto sono già difficili da distinguere nella teoria: nella pratica, la pretesa di farsi portatori e rappresentanti di principi cosi delicati e di così grande portata etica può solo manifestare la scarsa saggezza di chi ha dimenticato l'ammonimento antico del noli iudicare. Troppo ignoriamo dei meccanismi della responsabilità individuale, dei suoi legami con fatti biologici e strutture sociali per osare di distinguere con tanta nettezza il diritto e il torto senza ricordarci della cautela manzoniana. A pane il disagio etico intrinseco al fatto stesso di erigersi a giudice della altrui moralità da parte di chi dovrebbe essere consapevole dei limiti della propria. Quando, però. la difesa sociale sia assicurata con la custodia dei colpevoli, resta da vedere se sia lecito dichiarare degli esseri umani irrecuperabili per sempre, e se d'altra pane una pena detentiva a termine possa avere un potenziale di deterrenza sufficiente. Pene come l'ergastolo sembrerebbero sconsigliate da ragioni umanitarie, e non necessarie alla difesa sociale. La dichiarazione della de9

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