EDITORIALE l ■I Troppi favori alla DC NEL COMITATO CENTRALE DELLO SCORSO gennaio il Partito socialista, pressoché all'unanimità, propose un governo con i comunisti ed elesse come proprio presidente Riccardo Lombardi, capo riconosciuto della corrente di sinistra. A due mesi di distanza, Lombardi è dimissionario, il Comitato centrale prende atto dell'impossibilità di portare i comunisti al governo, vota a maggioranza la disponibilità del PSI a partecipare «senza pregiudiziali» a un governo con la Democrazia cristiana, ciò che, nella sostanza, significa a un governo di centrosinistra, anche se rende ancora un omaggio verbale alla formula dell' «unità nazionale». Inoltre questa volta non si parla, come vorrebbe Lombardi, di sostenere un governo per «spirito di servizio», come dicono i democristiani; vi è, al contrario, il senso di una scelta autonoma di un partito che si ritiene, a torto o a ragione, essenziale nell'equilibrio politico del Paese. Non si può tuttavia tacere il fatto che tutto questo è stato determinato più da un veto altrui, quello pronunciato dal congresso della Democrazia, che non da un dibattito e una maturazione interna. D'altra parte l'opinione prevalente nel mondo politico italiano, che sarebbe stata riassunta da Ferrari-Aggradi con la battuta: «peccato che sia arrivato l"Afghanistan, altrimenti i comunisti oggi sarebbero al governo», vera o falsa che sia, corrisponde alla tendenza a rinviare la questione della partecipazione comunista al governo con ragioni di opportunità contingente. Ciò che impedirebbe l'evento auspicato sarebbe solo la pur evidente «asimmetria» tra un certo avvicinamento dei comunisti italiani a posizioni genericamente occidentali e una recrudescenza dell'espansionismo sovietico. Si trascura invece il fatto che l'appartenenza del Partito comunista italiano al movimento internazionale guidato da Mosca è una opzione di fondo («Le Monde» ha giustamente osservato che la scelta tra Mosca e Pechino il PCI l'ha fatta da tempo); non si dice più nulla del problema della democrazia interna del partito; si tace sul modello di società che il PCI adombra con la tesi ribadita della necessità di una «fuoriuscita dal sistema»; si sottovalutano gli argomenti in favore del «controllo delle masse», della «democrazia consociativa», ecc. E invece dev'essere riportato in primo piano il fatto che ciò che impedisce la partecipazione dei comunisti al governo di un Paese occidentale è qualcosa di fondo, non di transitorio. Ciò che 2 non tiene è la proposta mitterandiana, il programma comune, il fronte unito delle sinistre. Il PSI uscì dal congresso di Torino con due proposte politiche, l'una a breve, l'altra a medio tempo, ambedue dominate dalla questione del rapporto con i comunisti. È ora di prendere atto che se i modelli di società che comunisti e socialisti propongono non coincidono, se i comportamenti rispettivi non collimano, queste due formule risultano marcate da una ambiguità di fondo. Da questa ambiguità nasce, tanto per fare qualche esempio, la spasmodica ricerca di «carristi» e «autonomisti» all'interno del PCI, la pretesa che i comunisti italiani si facciano rappresentare al governo dal PSI, siano benevoli e accomodanti di fronte a un governo a partecipazione socialista, la scelta autopunitiva e subalterna a proposito delle amministrazioni locali da formare sempre e comunque all'interno della formula ristretta e chiusa della «sinistra unita»; questo spiega una situazione in cui Lucio Magri può ergersi a custode e verificatore della coerenza a sinistra. Dietro la questione immediata della formula di governo, appare così l'esigenza di quel chiarimento di fondo che, prima o dopo, un congresso socialista dovrà, se non risolvere, almeno proporsi. La formula del pentapartito ha come sua filosofia implicita l'accorpamento su posizioni più avanzate delle forze laiche, socialiste socialdemocratiche e di tradizione liberale, è il tentativo di coagulare quest'area, per poi trattare con le forze moderate e conservatrici, in gran parte identificabili con la Democrazia cristiana, da posizioni non disperse, non frantumate. In questo sforzo si sono esercitate le migliori energie del nuovo corso socialista, dalla ripresa della tradizione di Carlo Rosselli alla rilettura di alcuni classici nell'estate del 1978, dalla frequentazione e dall'editoria Lib/Lab agli interessanti convegni milanesi. Si prenda il caso dei rapporti tra socialisti e socialdemocratici. Con il PSDI i socialisti sono insieme ovunque al di là di Chiasso, nel parlamento europeo con un gruppo unitario, nella Unione dei socialisti europei, nell'Internazionale socialista, nei rapporti con i massimi partiti socialisti europei. Ma c'è di più: c'è una comunanza evidente di retroterra culturale, di storia e di filosofia politica, lo stesso gruppo dirigente dei due P!li:titi,nellasua 1_>artpeiù giovane, ha quasi un' ongme comune; c1sono state anche iniziative I APRILE /980
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