SAN SALVADOR Il programma dell'ERP L'AMERICA CENTRALE È ormai da tempo nell'occhio del ciclone. Prima il Nicaragua, poi il Guatemala, ora San Salvador. La diplomazia americana è in evidenti difficoltà, combattuta tra una tradizione di intervento militare più o meno mascherato, e quindi di appoggio ai settori più retrivi e reazionari, e una politica di non intervento, quale è stata quella praticata in questi ultimi anni; una politica che ha indebolito i vari regimi militari senza però essere sostituita da una politica diversa. In questi ultimi mesi si sono trovati dall'altra parte della barricata anche settori moderati e democratici (in particolare legati all'Internazionale socialista e aiutati dal governo della Germania federale) che hanno fatto in diverse occasioni fronte comune con le forze della guerriglia. Viene sempre più in chiaro così la difficoltà di una «terza via» latinoamericana, alternativa alle repressioni di de~ stra e all'estremismo delle forze della guerriglia. Le difficoltà della giunta attualmente al potere in San Salvador e del tentativo di riforma agraria da essa portato avanti insegnano molto a questo proposito. Senza voler entrare nei particolari delle diverse strategie contrapposte, riteniamo tuttavia che un'osservazione di principio vada fatta. Nel numero di «Le Monde• del 15marzo, l'ERP (armata rivoluzionaria del popolo del Salvador), che non rappresenta certo tutte le forze di resistenza, ma che ha oggi un ruolo determinante, ha pubblicato su due pagine un appello a tutti i popoli e il programma dello stesso ERP. Nella parte «politica» del manifesto, I' ERP chiede un esercito popolare, la abolizione della Costituzione attuale e del sistema giudtziario, una politica di «non allineamento», libertà d'espressione e, infine «forme nuove di esercizio del potere locale basate sulla partecipaU zione popolare diretta e permanente». In tutto il programma non si fa cenno alla necessità di indire libere e democratiche elezioni, aperte a tutti i movimenti politici, moderati o rivoluzionari, ma si prevedono solo forme di partecipazione popolare di tipo assembleare e plebiscitario. Non si tratta naturalmente di una dimenticanza casuale, perché lo stesso tipo di ostilità verso elezioni generali viene manifestato dal fronte sandinista al potere in Nicaragua che ha sempre rinviato la data di convocazione di eventuali elezioni e ha sempre respinto (l'ultima in questi giorni) le richieste degli Stati Uniti in questo senso come espressioni di indebite ingerenze nella politica interna del Nicaragua. Ci sembra che a questo proposito si ponga un problema di principio. Non si può essere democratici e antimperialisti a senso unico. Non si può essere contro la mancanza di libertà causata da una giunta militare reazionaria e non esserlo allo stesso modo quando è al potere una giunta rivoluzionaria. La richiesta degli Stati Uniti ai governanti di Managua, che condiziona le concessioni di aiuti economici alla convocazione di elezioni generali libere e aperte a tutti, al ristabilimento del pluralismo sindacale e politico e al rispetto dei diritti umani. non è una richiesta che ·può essere trascurata come strumentale da dei democratici senza determinare in essi una profonda contraddizione. L'Internazionale socialista che ha dimostrato recentemente un così vivo interesse per il futuro dell' America Latina e tutti i democratici che seguono con apprensione l'evoluzione degli avvenimenti in quella regione non può sottrarsi a un esame di coscienza su questa contraddizione. a.g.r. JUGOSLAVIA Una neutralità minacciata È DAL 1948,DAIL'ANNOCIOÈ della rottura con Mosca, che la Jugoslavia lotta caparbiamente contro ogni forma di ingerenza nell'indipendenza politica, economica e militare del Paese. Questa lotta ha portato a una serie di risultati di grande respiro, tutti legati, in misura maggiore o minore, al ruolo politico del presidente Tito. Anzitutto la politica di autogestione, nata in un certo senso per dare forma alla «diversità» jugoslava rispetto al modello sovietico (come ha ben notato Vietor Fay sul numero di marzo di «Le Monde diplomatique»), ma che ha fatto da allora molta strada diventando oramai un elemento essenziale della nuova Jugoslavia. Poi una politica di reale federalismo, che ha permesso di realizzare un'effettiva autonomia delle diverse repubbliche senza tuttavia oltrepassare mai un livello di guardia tale da compromettere le esigenze dell'unità nazionale. Infine una politica internazionale di «non allineamento•, vera e propria creazione del vecchio maresciallo, fattore dinamico e contemporaneamente di equilibrio per molti anni nella politica dei blocchi, e via obbligata per la sopravvivenza della Jugoslavia come Paese indipendente, sospeso tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Questo difficile equilibrio ha I APRILE /980
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