EDITORIALE Socialisti e governo M. INSOMMA, QUAND'È CHE LA CLASSE politica comprenderà di doversi, essa, adeguare alle esigenze del Paese e non pretendere che la gente ne segua le incomprensibili evoluzioni, i giochi sottili, le astruse manovre? Le cose, dal punto di vista del cittadino, sono semplici. L'economia del mondo occidentale attraversa una grave crisi: all'interno di questa, la crisi dell'economia italiana si distingue per il più alto tasso di inflazione, il più alto grado di conflittualità in fabbrica, il più elevato livello, in assoluto e in percentuale, del deficit della spesa pubblica, la più evidente inefficienza dell'apparato pubblico, i più acuti contrasti regionali e sociali. Tutto il mondo occidentale è stato attraversato da molti ribellistici ed esplosioni di violenza: ma il terrorismo è una piaga più difficile da sradicare in Italia che altrove, il rifiuto del «sistema» coinvolge da noi più larghe masse, la naturale dialettica sindacale rischia sempre, più che altrove, di debordare nella «contestazione globale». Quali possano essere i rimedi a questo stato di cose non è altrettanto facile a dirsi, a meno che non si voglia procedere a colpi d'accetta, con semplificazioni eccessive, magari senza tener conto dell'esigenza di avanzare con il consenso della maggioranza della popolazione. Per nostro conto riteniamo obiettivi prioritari la lotta all'inflazione e l'ordine pubblico. La causa principale dell'inflazione è il deficit pubblico che non può essere ridotto aumentando il ·carico fiscale, già a livelli stratosferici, soprattutto se confrontato con quanto lo Stato offre in cambio delle ingenti risorse che fagocita, sia perché un suo ulteriore aumento comprometterebbe definitivamene la attività economica, sia perché le famiglie non potrebbero sostenere ulteriori decurtazioni nei consumi. L'unica via appare quella della .compressione delle spese, rinunciando o ridimef!sionando ulteriori progetti faraonici, che attribuiscono allo Stato nuovi compiti sociali. Per quanto riguarda l'ordine pubblico, l'importante, dal punto di vista politico, è, per un verso, la piena consapevolezza della gravità della minaccia che incombe sulle istituzioni, la fine della complicità ideologica, dell'innocentismo mascherato da garantismo, del fiancheggiamento degli «autonomi• nelle scuole e nei luoghi di lavoro; per altro verso l'efficienza dello Stato democratico, l'aumento della sua credibilità e della sua saldezza, il dare agli estremisti la sensazione precisa che la loro strada è senza sbocchi e porta alla loro .sicura rovina. Il resto è tecnica: è miglioramento dei servizi di polizia e di informazione, per i quali il generale Dalla Chiesa è mille volte più adatto di noi a suggerire la via, è adeguamento delle leggi, nel rispetto delle garanzie costituzionali fondamentali, alle esigenze della lotta a un terrorismo più agguerrito. IL LEVIATANO Ma sulle tecniche per combattere il terrorismo si può discutere, una volta che ne venga accettata, fino in fondo, l'assoluta priorità. Come si può discutere sulle tecniche di intervento per risollevare le sorti della nostra economia, vagliando, precisando i tempi e i modi della necessaria «destatalizzazione•, utilizzando diversi strumenti per dare ossigeno (e non sovvenzioni) a un'impresa che fatica sempre più a tenere il passo della concorrenza internazionale, impostando una strategia che renda più efficiente il servizio pubblico e meno oppressivo il vincolo alla libera iniziativa. Si possono studiare tempi e modi per ridare credito alle imprese attive e per sottrarne alle spese parassitarie, per rimettere in moto l'industria edilizia placando la fame di case che l'improvvida legge sull'equo canone ha prodotto, per ricreare nuovi posti di lavoro, per ridare ordine alla scuola e _all'università. Di tutto si può discutere e, nella consapevolezza che non esistono ricette miracolistiche, ogni provvedimento governativo, ogni decreto, ogni legge può essere raffinato, precisato, migliorato sulla base di una più puntuale conoscenza della realtà del Paese e soprattutto in seguito all'esperienza. Ciò, però, su cui non c'è da discutere è che qualsiasi programma, qualsiasi stra.tegia, qualsiasi linea politica ha bisogno di un governo, stabile ed efficiente grazie a una solida maggioranza parlamentare, per essere portata avanti. Al Paese, forse, occorrono anche nuove idee, spregiudicati capovolgimenti di consolidati conformismi, coraggio nel prendere atto delle impasse in cui ci si è cacciati. E occorre anche una classe dirigente rinnovata, moralmente e politicamente presentabile, sensibile al malcontento della società civile verso il Palazzo, capace di scrollare dalle istituzioni le incrostazioni e anche il marciume che vi si annida. E occorre poi, forse, un progetto di più ampio respiro, di riforma costituzionale, di nuovi valori di convivenza, di nuove mete di giustizia e di libertà per l'Italia e per l'Europa. Tutto questo occorre. Ma soprattutto, e subito, occorre un governo. È ora di finirla con i governi di tregua, le attese dei congressi, dei consigli nazionali, dei comitati centrali, delle elezioni amministrative, delle evoluzioni dei rapporti di forza interni, degli spostamenti di corrente di un doroteo o di un giolittiano, di ritmi e scadenze imposti da capifazione e manutengoli. Il Paese vuole un governo che governi, con prestigio e autorità, con poche idee, magari rettificabili, ma intanto chiare. La mediazione politica è necessaria, lo diciamo anche noi. Ma non può essere fine a se stessa, non può esaurirsi nel tessere una fragile trama senza costrutto. Che si possa formare oggi un governo autorevole dipende in larga parte dall'orientamento che prenderà il Partito socialista: ebbene il Paese non può più accettare che le indecisioni di questo partito contribuiscano ad accrescere le disfunzioni, il marasma, lo sfascio. Non può più accettare di rimanere senza guida in attesa che si sciolga il dilemma tra Craxi e Lombardi, tra riformismo e massimalismo, tra atlantismo e filocomunismo, un dilemma che i socialisti, storicamente non sono stati capaci di sciogliere. Ora non è tempo di rinvii. Scelga dunque il PSI, e presto. Altrimenti si vada ancora, e purtroppo, alle elezioni politiche anticipate. J
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