ché non vieni anche tu?». Così sono andato da Massimo. E là, l'ho incontrata. Non vi dico che sia particolarmente bella. li fatto è che, appena l'ho vista, zac! ci sono cascato come un collegiale. E sì che i miei annetti ce li ho, ve lo posso assicurare. Sarà stato il suo sorriso, la sua voce, il suo modo di muoversi: me ne sono innamorato. Quando le ho chiesto il numero di telefono, me ne ha dati due: quello di casa e quello del posto di lavoro. Che mi sembrava stranamente familiare. «Ma tu che cosa fai?•, le ho chiesto con un'ombra di rattenuto sgomento nella voce. «Sono giornalista», mi ha risposto con un sorriso dolce, melanconico quel tanto che piace a me, ma anche abbastanza sicuro di sé. «Lavoro al TG 3». Ho dovuto confessarle che la terza rete non l'avevo vista mai. Lei non se l'è presa. Ci è abituata. Sa bene che la sua bravura di giornalista la esercita per pochi intimi. Le cifre di ascolto parlano chiaro. E poi lei si occupa, in particolare, del telegiornale locale, regionale. Così come, adesso, me ne occupo io. Vedendolo. Soltanto che lei lo fa per lavoro, io per amore. I nostri incontri sono stati piuttosto scarsini. Così, per provare il piacere di vederla, io da quel momento, mi sono incollato alla televisione. Rete tre, sintonizzata sul decimo canale del mio CGE a sedici canali «precostituiti». lo scrivo, piLÌo meno quando voglio, non ho orari di ufficio. O, almeno, non li avevo. Adesso sì. Dalle /8,30 alle 22. So benissimo che lei compare soltanto nel telegiornale quando intervista il sindaco di una cittadina del Lazio sulla speculazione edilizia o la direttrice di una scuola di danza che sostiene che la danza è grazia del corpo e purezza dell'anima ed è il migliore antidoto contro la violenza. Ma io sono innamorato sul serio, non si sa mai, potrebbe sempre accadere un miracolo. Così non ho perso una sola immagine. Mi sono visti vecchi film noiosissimi, mi sono visto il Cartesio di Rossellini (sono sopravvissuto: omnia vinci/ amor!), mi sono visto le quattrocentosessantanove puntate sulla storia dei «butteri, ultimo paradiso», mi sono visto il «teatrino» e la sua immancabile replica. E mi sono aggiornato. Adesso so tutto sui problemi delle massaie rurali (ah, no! questo è un termine di altri tempi); dicevo sui problemi delle coltivatrici di bietole del sud viterbese, e della lotta per la difesa del 'occupazione della provincia a nord di Gaeta. Ho visto le facce di presidi di istituti magistrali, di presidenti del 'associazione macellai, di istruttori di squadre regionali di schermitori, ho visto parrucchieri e poliziotti, gente del popolo e assessori. Ho visto il ministro Preti in metropolitana (è l'unico a viaggiare con questo mezzo), e ho visto negozianti e camerieri, operai in sciopero e burocrati. Dico «visto» perché anche l'amore pitì puro ha 1111 suo limite. li sonoro l'ho abolito. Ciò che si dice sulla terza rete, il linguaggio che si usa, è peggio, perfino, di quello delle altre due. Cosi io guardo soltanto. Ogni tanto compare il volto di lei. E tutto torna a sorridere. Perfino la mia vita senza avvenire. Relegato per sempre nell'universo dei mercatini rionali, degli assessori alla Nettezza Urbana e delle mostre dei minerali del Lazio. Recentemente L'Espresso ha attaccato violentemente la terza rete televisiva. E ha parlato dei miliardi che sono stati spesi. Ha scritto che «a Roma, la struttura centrale ha un organico di 76 persone, di cui 14 dirigenti e 55 funzionari e programmisti delegati alla ideazione e alla realizzazione delle trasmissioni•. Francamente 55 persone che pigliano uno stipendio per «pensare» u ai butteri e ordinare ad altre-quattrocento di filmarli in tutte le possibili salse, a puntate, con suspence, mi sembrano troppi anche per 1111 paese come il nostro. Ma soprattutto mi sembrano troppe tre reti televisive. Basterebbe offrire a «lei» il posto dell'ineguagliabile Ruggero Orlando, la RAI acquisterebbe lustro e risparmierebbe un sacco di soldi. E tutti i funzionari, dirigenti, giornalisti, praticanti.fonici, giraffisti, cameramen, truccatori, parrucchiere della Terza Rete, tutti sul lastrico? Ma neppure per idea. Tutti a casa. A prendere lo stipendio e a non far danni. A lasciare i butteri al loro paradiso e i maestri di scherma ai loro fioretti. E, soprattutto, i poveri italiani ai tanto disprezzati pornofilm delle private (che, tra parentesi, non sono mai riuscito a vedere). Perché, vedete, il guaio della Terza Rete non è come è fatta. È che esiste. È che soltanto degli imbecilli malati di demagogia potevano credere di poter fare qualcosa di valido mostrando l'Italia «sommersa». Buona, al piLÌ, per qualche festival domenica/e di cinema subacqueo, l'Italia sommersa non fa spettaco(o. Fa sbadigli. Che cavolo significa spendere ottanta miliardi per impianti che, fra l'altro, sono difettosi ed emettono un segnale (come si dice in gergo) troppo forte, il che significa che si vede male e si sente peggio? Che cosa significa fare tutto questo e spendere altri soldi per fare la pubblicità alla RAI, mandare quella bionda nei supermercati a chiedere alle comparse travestite da pescivendole se pagano l'abbonamento, che cosa significa aumentare il canone e la pubblicità, per poi non arrivare a un milione e mezzo di telespettatori in tutta Italia? L'Italia sommersa non ha voglia di vedersi. È troppo bagnata per avere voglia di vedersi. L'Italia sommersa vuole vedere quella emersa, vuole vedere film americani, telefilm polizieschi, vuole vedere le Charlie's Angels. magari il Commissario De Vincenzi, ma non borgate, semafori, fermate d'autobus, acquedotti e laboratori di ceramiche. L'Italia sommersa è come la campagna. Quando vai a farci un picnic ti accorgi che l'erba punge, che le formiche nel formaggio non sono igieniche e che la cacca delle vacche puzza. Ma queste sono cose che i boy scout hanno scoperto ottanta anni fa. Possibile che i dirigenti della RAI non ci abbiano pensato, possibile che davvero abbiano creduto che le trasmissioni regionali a cura del dipartimento della scuola potessero interessare qualcuno? Se si trattava di sistemare un migliaio di aderenti ai vari partiti, per crearsi delle benemerenze elettorali, eh. via, costava meno assumerli e mettere in qualche residence decentrato (tanto per nonfar torto a questa parola e a questo concetto così pregnanti) a giocare alla battaglia navale. Lasciando i butteri al loro destino e i teleutenti al loro vecchio e già fin troppo iniquo canone. Ma, direte voi, dovevano pure salvare la faccia! Appunto, rispondo io. Al 'infuori del dolce, giustamente, romanticamente malinconico, visino di lei, qui non c'è nessuna faccia da salvare. In viale Mazzini e vie adiacenti, l'hanno persa tutti da un pezzo! P.S. Non mi firmo per vigliaccheria. Ho paura che lei s,e la prenda a male e non mi voglia più vedere. E giovane, entusiasta. E non sa che questo articolo l'ho scritto per lei: per non vederla seppellire per sempre, tra le tuberose che vendono ai crocicchi i giovani sfruttati dal lavoro nero e le caciotte della Ciociaria. E me con lei. Come Giulietta e Romeo. /9 FEBBRAIO /980
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==