Il Leviatano - anno II - n. 5 - 12 febbraio 1980

MARILYN MONROE rendevano conto della immensa turlupinatura che si giocava ai loro danni, dell'oppio dei popoli che veniva loro somministrato in quelle nuove chiese profane che erano i cinematografi! Ma adesso, grazie a Dio, Hollywood è morta (così dicono, anche se a Hollywood si continuano a fare ottimi film). E sono morti i miti, scomparsi i Beatles, scomparsi i grandi divi. sì ci si entusiasma per John Travolta, ci si infiamma alla •febbre del sabato sera» (o magari a quella di Renato Zero), ma è tutto artificioso, non davvero partecipe, perfino la violenza fanatica degli ammiratori e dei contestatori. Proviamo. invece a leggere questo Hollywood Babilonia, una sorta di dossier nero sui crimini, i misfatti, le impudicizie della Mecca del Cinema, che Kenneth Anger ha raccolto in anni di paziente lavoro e che l'Adelphi ha recentemente stampato in Italia in un bel volume ricco di illustrazioni quasi tutte inedite. Anni di paziente lavoro, per Kenneth Anger (che a soli quindici anni scandalizzò l'America, producendo e dirigendo il primo film pomo underground, deliberatamente e sfacciatamente omosessuale): perIL LEVIATANO ché Anger di questo suo saggio ne scrisse una prima edizione anni fa in francese per la casa editrice Pauvert (e se ne fece, se non andiamo errati, una traduzione da parte della Sugar), e poi, lo riscrisse ampliandolo e approfondendolo in inglese nel 1975: la stesura, di cui, appunto, ora ci occupiamo. Orge, delitti, suicidi, droga, alcoolismo; sembra che i divi e le dive siano sottoposti a una sorte di maledizione, come Sodoma e Gomorra, come Babilonia, appunto il loro denaro è destinato a trasformarsi in piombo, la loro felicità in dramma, la loro spensierata e disinibita sessualità in follìa perversa, apportatrice di morte, di distruzione, di rovina, perfino, anche se sembra impossibile in un ambiente così sfarzoso, di squallore. Gli esempi sono tanti: da Fatty Arbuckle, il comico ciccione, che ha letteralmente «sventrato• una sorgente stellina in un'orgia in cui erano coinvolte una cinquantina di persone, non si è mai saputo bene se con il peso del suo corpo massiccio e dei suoi salti acrobatici, o con una bottiglia di Coca Cola, che avrebbe dovuto sostituire la sua virilità immiserita dal troppo alcool, allo stesso Chaplin, coinvolto in più di uno scandalo. E tanti, tanti altri, altre. Dive e divine, travolte dall'avvento del sonoro, dalla crisi del '29, dalla loro incapacità a reggere il peso del mito stesso che dovevano impersonare. Tante storie, tristi, desolate, buie, senza un filo di grandezza o di splendore, storie di gelosìe, di ripicchi, di incapacità, di debolezze, perfino di impotenze (ne fu sospettato lo stesso Rodolfo Valentino). Eppure, alla fine della «bobina» (secondo la dicitura voluta dallo stesso Anger, con un pizzico di ingenuità), cioè del volume, si ha come l'impressione di aver perduto una occasione unica e irripetibile, si sente, insidioso e quasi inspiegabile, il rammarico per quel mondo ormai irraggiungibile e disfatto, di •belli e dannati• ... Straordinariamente, proprio quella pacchianeria costruita sulle palafitte_grame di montagne di dollari fruscianti. irrorati da fiumi di champagne, di whisky e, magari, di più viscidi ma non meno palpabili umori seminali, riuscì, a sua volta, a destare la nostra capacità di meraviglia. A destarla in modo talmente viscerale e uterino che molti, alla fine, se ne vergognarono, la ripudiarono, la sentirono, la bollarono, la condannarono come una colpa o, nella migliore delle ipotesi, un peccato di imbecillità. Una sporca trama capitalistica. Senza capire che colpa, imbecillità trama capitalistica, non impedivano al mito di avere il suo coito proficuo con la parte «imaginale• di noi, della nostra anima inaridita. Un coito un poco abbietto, un poco infimo, ma pur sempre preferibile all'attuale inappetenza, all'attuale solidificata, codificata, ingloriosa e comunque meschina «incapacità• di meraviglia. A che punto siamo arrivati! Nel gorgogliante, ma forse salutare rigurdito nel privato, siamo in qualche modo costretti a riabilitare le •catene• e i «cuori infranti• dell'amore individuale e a rimpiangere le case, le facce, gli amplessi, l'allegria di cartapesta che Kenneth Anger ci sciorina davanti con ammiccante complicità! Ovviamente il passato non può tornare, e ~r fortuna; non si stava meglio quando si stava peggio. Ma è bene prender coscienza una volta per tutte che l'anima immaginale dell'uomo non può fare a meno del mito, che poi, significa, tautologicamente che, non può fare a meno della sua possibilità di esprimersi imaginalmente! Di creare e poetare. Di vivere il mito e mitizzare (non miticizzare, che sarebbe altra cosa) la vita ... Franco Valobra 13

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