mente andava benissimo. Per contro, le dichiarazioni di maggioranza Nenni le scriveva già la sera prima che cominciasse la discussione, e le tirava fuori di tasca alla fine di uno, due o tre giorni di bagarre. «Così risparmiamo tempo», diceva. Sempre a proposito di necessità meccaniche, Nenni non ebbe quasi mai un'auto di proprietà e soprattutto si guardò bene dal guidarla. Cifu solo una breve parentesi, se ben ricordo intorno al /953-54, in cui gli venne in mente di prendere la patente. Fu un periodo di estremo pericolo, per lui e per gli altri, e in generale per la causa del socialismo. Andai a trovarlo. quell'estate, in vacanza per pochi giorni a Montecatini. Volle darmi subito prova della sua valentìa e mi trascinò, con la moglie Carmen, a cenare a Montecatini alta. Era una salita ricca di curve e tornanti e la povera Carmen, perfettamente conscia dell'estrema labilità visiva del marito, lo avvertiva con urla soffocate prima di ogni curva. Viaggio breve, ma indimenticabile. Mi vendicai successivamente sulla figlia Giuliana, nei giri elettorali in Romagna, quando per decine di volte rischiammo di ruzzolare nella nebbia in aridi fiumastri romaRoli: le urla della figlia erano molto più stentoree di quelle della madre. Un altro contendente meccanico di Nenni era il microfono. «Maledetto aggeggio», «mettetemi a posto l'arnese», «bei tempi quando non ce n'era bisogno». In questo caso c'era un po' di civetteria, comune a tutti i vecchi oratori, che tuttavia sapevano benissimo quel che gli dovevano. Pertini mollava al microfono, nel mezzo del comizio, schiaffoni poderosi, ottenendo rimbombi di grande effetto, che deliziavano la platea socialista: insomma, la lite del tribuno con il microfono faceva parte dello spettacolo. L'ultimo conflitto di Pietro con il mezzo meccanico fu quando il medico gli ordinò, dopo il drammatico incidente della caduta in Valle d'Aosta, la cic/ette, per fare del movimento in casa. Lo sorpresi un mattino presto, che pedalava nel corridoio, vicino allo studio. «Vai meglio di Coppi», dissi per fargli coraggio. Triste, un romagnolo su· una bicicletta finta: infatti fu l'inizio della decadenza fisica. Nenni, come altri anziani d'idee aperte, apprezzò invece l'aeroplano. Gli piaceva, anche se forse non l'amava. Cinque minuti dopo il decollo dormiva, e si svegliava regolarmente con la voce della hostess, a/l'arrivo. Non dormiva perché era vecchio, ma perché aveva dei nervi d'acciaio, anzi di gomma. Non c'è mai stato stress né disgrazia politica, che gli abbia fatto perdere un'ora di sonno; e perciò ha durato tanto a 111111;0. Una volta, mentre l'aereo si ahava su Stoccolma, lo spettacolo di neve, sole e mare era così bello, che per qualche minuto Nenni stette a guardare: «Che peccato - disse alla fine - che mia moglie non sia più qui». Venerio Cattani IL LEVIATANO BLOCKNOTES All'ombra della, Madonnina LE RECENTI RIVELAZIONI DI CARW FIORONI hanno confermato quanto già si sapeva, e cioè che il brigatismo rosso è nato a suo tempo a Milano, figlio della contestazione studentesca del 1968 e dell'autunno caldo del 1969. È questo il suo retroterra in termini politico-culturali e cronologici. Lasciata la facoltà di sociologia a Trento, è infatti sul finire del 1969 che Renato Curcio fonda, nella Milano delle convulse agitazioni sindacali e dell'attivismo di Feltrinelli, il Collettivo politico metropolitano, dal quale. nel giro di due anni, si arriverà direttamente alle Brigate Rosse. È in quegli anni, è in quel clima, che in tutta Italia, ma soprattutto a Milano (non a caso assiduamente frequentata da Toni Negri), si è sparso nelle scuole, nelle fabbriche e nelle piazze il germe dell'odio e della violenza, all'insegna del mito guerrigliero dei Che-Guevara e dei vietcong. Resterebbe da chiedersi, a questo punto. perché in tutta Italia e soprattutto a Milano, si sia consentito in quegli anni che nell'ambito dell'estrema sinistra fiorissero indisturbati gruppi, organizzazioni, giornali e riviste le cui attività erano chiaramente finalizzate alla guerra civile, allo scontro fisico (non era solo l'on. Almirante a parlarne), allo sfascio dello Stato e delle sue istituzioni. Responsabilità gravissime pesano sui partiti di sinistra. sui sindacati, sulla stampa, sugli uomini di governo (basterebbe pensare, a quest'ultimo proposito, all'accoglienza riservata dal ministro dell'interno di quel fosco periodo al rapporto col quale l'allora prefetto di Milano, Libero Mazza. denunciava l'esistenza nella sua città di ventimila attivisti-guerriglieri); ma responsabilità altrettanto pesanti gravano su certi settori della magistratura. Non va infatti dimenticato che al Tribunale di Milano. proprio in quegli anni in cui andava nascendo alla luce del sole il terrorismo brigatista. operava un folto gruppo di giovani magistrati di fortissima caratterizzazione politica (ovviamente di sinistra). attivissimi e infaticabili nell'andare a caccia di piste nere. a volte vere a volte immaginarie. ma del tutto ciechi e sordi di fronte a quel che stava tragicamente maturando sul versante opposto. Al riguardo, la casistica è impressionante. Ricordiamo, di quegli anni, il giudice Ugo Paolillo. che rifiutò ostinatamente di concedere alla polizia un mandato di perquisizione per l'abitazione di G.G. Feltrinelli. nei confronti del quale già nel 1969esistevano fondati sospetti in materia di terrorismo. Proseguiamo col giudice Antonio Bevere. che quando i carabinieri. subito dopo la morte di Feltrinelli. gli portarono l'ultraindiziato Fioroni. si affrettò a rimetterlo in libertà consentendogli così di darsi alla latitanza (si tratta dello stesso magistrato che nella estate del 1978 organizzò con la collaborazione di una giornalista del «Manifesto» la famosa cena tra Toni Negri e il giudice Alessandrini. assassinato pochi mesi dopo sembra proprio dai seguaci del professore padovano). Ricordiamo ancora il giudice Ciro De Vincenzo, al quale era stata affidata la prima inchiesta sulle Brigate Rosse: a mano a mano che le 13
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