fronti dell'arretratezza o dell'austerità. Al di là di tutte le possibili «robinsonate», comuni a entrambe le tradizioni (lo «stato di natura• liberale o il «comunismo primitivo» del marxismo), non vi sono mai stati dubbi al loro interno sul fatto che la libertà moderna, comunque sia intesa, è legata inscindibilmente allo sviluppo economico e alla diffusione della ricchezza. Né vi sono mai stati dubbi sul fatto che la partita storica attualmente in corso era appunto quella che vedeva di fronte liberalismo e socialismo. borghesia e classe operaia, e che, rispetto a questo scontro storico fondamentale, tutte le altre contraddizioni rappresentavano un momento subordinato e secondario. Accomunate da quest'ottica eurocentrica, o forse sarebbe meglio dire «capitalisticocentrica», entrambe le tradizioni hanno sempre analizzato la storia del mondo in termini di tendenze generali e di omogeneità di percorsi e di obiettivi, ritenendosi entrambe depositarie e interpreti principali di un Progresso necessario e universale, e come tali modelli per tutte le altre «comparse» della vicenda storica, giudicate invece più o meno progredite secondo la loro maggiore o minore distanza rispetto ai modelli stessi. Questo ottimismo storico circa la possibilità di un progresso globale e uniforme comincia a entrare in crisi all'indomani della prima guerra mondiale, con il successo della Rivoluzione comunista in Russia. Sia il fatto che la rivoluzione si affermi in un Paese arretrato, sia il fatto che alla statizzazione dell'economia si accompagni una riduzione drastica delle libertà politiche e civili rappresentano entrambi elementi di profondo sconcerto per la tradizione socialista occidentale, mentre per l'opinione pubblica borghese costituiscono un campanello d'allarme sui pericoli della rivoluzione e la conferma di essere l'unica depositaria e custode della libertà e del progresso. Quale che ne sia la valutazione. è indubbio che la Rivoluzione russa ha rappresentato un punto di svolta non solo per il destino del socialismo occidentale, ma anche per l'evoluzione dei Paesi arretrati. Per il socialismo ha rappresentato una spinta decisiva a un maggiore radicamento nelle società occidentali e a una più completa identificazione con le loro strutture politiche ed economiche; per i Paesi arretrati ha rappresentato invece un modello di sviluppo economico forzato e di emancipazione nazionale portato avanti da una minoranza rivoluzionaria, decisa e organizzata, nei confronti della maggioranza della popolazione e in contrasto con il sistema economico mondiale. In assenza di strutture economiche, politiche e civili in grado di realizzare l'indipendenza nazionale del mondo coloniale o, una volta ottenuta l'indipendenza, lo sviluppo dei diversi Paesi, lo spazio di manovra restava aperto quasi esclusivamente all'azione delle minoranze rivoluzionarie, di qualunque formazione o sfumatura esse fossero, e alla perpetuazione del loro ruolo come classe dirigente unica e inamovibile dei nuovi Stati nazionali. Nata come patrimonio dello sviluppo economico e del progresso politico e civile, la rivoluzione socialista, ridimensionata in Occidente, si diffonde invece in forme radicalmente diverse nei Paesi arretrati come rivoluzione comunista o nazionalista e via di emancipazione nazionale. Sfumata oggi la teorizzazione che tutto questo ha avuto anche in Occidente nella seconda metà degli anni cinquanta, e poi durante tutti gli anni sessanta, 11 con l'idealizzazione del Terzo Mondo come portatore del socialismo e della rivoluzione purificatrice ai corrotti paesi capitalistici, resta tuttavia il fatto incontrovertibile che questi ultimi anni hanno visto il moltiplicarsi di rivoluzioni nazionali, guidate da minoranze ideologicamente motivate, che hanno poi, una volta preso il potere, portato avanti una politica tendenzialmente ostile nei confronti del mondo occidentale. Gli scontri recenti all'interno del mondo comunista (Cina-Russia; Vietnam-Cambogia) hanno certo reso più complesso il quadro generale, ma non hanno accresciuto, se non tatticamente, l'attrazione che l'Occidente esercita nei confronti di alcuni dei contendenti. La situazione si è oggi poi ulteriormente complicata con la comparsa e la rapida diffusione di un movimento rivoluzionario islamico, un movimento che ha fatto gridare di gioia i «rivoluzionari» di casa nostra in nome dell'antimperialismo, ma che, se è ora prevalentemente ostile nei confronti del mondo occidentale, non lo è certo di meno, potenzialmente, nei confronti dello stesso mondo comunista. Pur in questo quadro sempre più complesso della situazione mondiale, nel quale è estremamente difficile tracciare linee di tendenza uniformi e sicure, è comunque indubbio che il mondo comunista ha trovato e sta trovando, con buona parte dei Paesi arretrati in cui si sono realizzate rivoluzioni nazionali, un terreno di intesa assai più sicuro e stabile di quello del mondo occidentale. Anticapitalismo e antimperialismo, sostegno completo, incondizionato e ideologicamente motivato alle dittature rivoluzionarie, questo è il terreno di intesa che emerge ripetutamente. Altrettanto non può dirsi per l'Occidente. Privo ormai di fiducia sulla possibilità di un'evoluzione di questi Paesi verso la democrazia politica ed economica, restio tendenzialmente d'altra parte ad appoggiare sino in fondo dittature antipopolari che difendano i suoi interessi, l'Occidente non riesce ad utilizzare il suo enorme potenziale economico e di libertà politica e civile per favorire la formazione di modelli alternativi a quello dell_e dittature rivoluzionarie. Avviene così che i suoi spazi di manovra a livello internazionale risultino sempre più ristretti, come dimostrano in modo drammatico gli avvenimenti di queste ultime settimane, con le loro possibili ripercussioni sugli equilibri mondiali e sui rischi di una crisi negli approvvigionamenti di energia. Abituato a guardare il mondo dall'alto della sua potenza economica e militare e delle sue libertà, l'Occidente ha sempre creduto di poter far fronte a qualunque difficoltà. Le crisi lo infastidivano, ma non lo preoccupavano mai veramente. Oggi ci si comincia invece ad accorgere che il discorso si è complicato strada facendo. Non solo liberaldemocrazia e socialismo, entrambi prodotti della civiltà occidentale, non rappresentano più le due sole alternative del possibile sviluppo mondiale, ma questo appare invece indirizzato verso forme dittatoriali di tipo comunista o nazionalistico-rivoluzionarie, entrambe decisamente ostili nei confronti dell'Occidente e delle sue tradizioni di libertà economica e politica. Non solo il mondo non cammina quindi verso un progresso economico e democratico equilibrato, ma cammina piuttosto in tutt'altra direzione. O i Paesi occidentali riescono finalmente a tradurre in un'iniziativa politica mondiale concorde e coordinata la loro ancora prevalente potenza economica, o le crescenti contraddizioni metteranno in serio pericolo la loro «tranquillità», o addirittura l'esistenza stessa dei «santuari» della democrazia e della libertà. 25 DICEMBRE 1979
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