Il Leviatano - anno I - n. 8 - 25 dicembre 1979

EUROCENTRISMO ALDO G. RICCI R <<terzomondo>> • non ci segue LA TRADIZIONE LIBERAI.DEMOCRATICA E LA tradizione socialista, e poi in parte anche quella comunista. hanno sempre ritenuto che la storia del mondo moderno si risolvesse nella contrapposizione tra queste due grandi correnti politiche, economiche e ideali. In altri termini, pur contrapposte nell'analisi dei valori e dei fini della nostra epoca, entrambe queste tradizioni hanno proceduto, nelle loro analisi, a stabilire una sorta di monopolio ideale sul futuro storico dell'umanità. Per la· tradizione liberaldemocratica era un fatto pacifico e scontato non solo che gli sviluppi di libertà economica, politica e civile degli Stati capitalistici dell'Europa Occidentale e degli Stati Uniti fossero il risultato di un'evoluzione complessa ed esclusiva di alcuni Paese storicamente avvantaggiati e dotati di alcune condizioni indispensabili per ottenere tali risultati: ma era anche pacifico e scontato che tali sviluppi rappresentassero in qualche modo un modello ideale e pratico al quale gli altri Paesi, «meno fortunati», potevano guardare e verso il quale erano sospinti dall'evoluzione generale della situazione storica. Se i Paesi non capitalistici hanno rappresentato per secoli dei serbatoi di mano d'opera e di materie prime a buon prezzo per i paesi capitalistici, tuttavia questi ultimi non li hanno mai considerati, almeno nell'ambito dell'analisi politica, esclusivamente in termini di dominio e di sfruttamento. Anche prescindendo dalle battaglie e dalle polemiche condotte da minoranze illuminate nel corso dell'Ottocento in favore della concessione di maggiori libertà politiche ed economiche ai paesi coloniali, tuttavia di certo nel nostro secolo queste voci si sono moltiplicate e rafforzate fino a comprendere, dopo la seconda guerra mondiale, la maggioranza dell'opinione pubblica e della classe dirigente dei Paesi Occidentali. Sottoposto alla duplice pressione dei movimenti nazionali per l'indipendenza nelle colonie, e del confronto planetario con il movimento comunista internazionale, l'Occidente ha accettato questa duplice sfida riallacciandosi alla sua tradizione ideale di libertà economica, politica e civile, proiettando sui Paesi arretrati i propri modelli storici e operando per la loro applicazione. Convinto per secoli che il futuro dell'umanità fosse fatto di sviluppo economico e di sviluppo democratico, ma convinto anche che questo futuro potesse essere affidato ai meccanismi spontanei di un «Progresso» tanto provvidenziale quanto indeterminato, l'Occidente si è trovato costretto improvvisamele nel corso di questi ultimi decenni, a tradurre in pratica sonante questa sua utopia. Questo ha posto, naturalmente, numerosi e delicati problemi di principio alle classi dirigenti dei Paesi Occidentali impegnati nell'opera di decolonizzazione: problemi in primo luogo di IL LEVIATANO compatibilità tra i fini da raggiungere e i mezzi da impiegare. Credere nella democrazia e nel progresso economico e trovarsi a scegliere tra minoranze rivoluzionarie e intransigenti, e altre minoranze feudali o militari, ma comunque sempre autoritarie. conservatrici e repressive è stata spesso l'alternativa di fronte alla quale si sono trovati i dirigenti occidentali nella loro azione politica e diplomatica nell'ambito di quello che viene genericamente definito come Terzo Mondo. Molti dei drammi delle sconfitte, o semplicemente delle «impasse» della politica estera occidentale di questi ultimi anni hanno le loro radici in questa contraddizione fondamentale. Analoghe difficoltà di principio ha incontrato la tradizione del socialismo classico di fronte ai problemi sollevati dall'inserimento dei Paesi arretrati nel quadro della Storia del mondo. Marx scrisse che il . modello di sviluppo dell'Inghilterra indicava agli altri Paesi meno sviluppati il cammino che avrebbero percorso. Analogamente alla tradizione culturale liberaldemocratica di cui era figlio, anche egli riteneva che questo cammino fosse quello dello sviluppo del capitalismo e, parallelamente, delle libertà politiche e civili che con esso si erano realizzate. A differenza di quella stessa tradizione liberaldemocratica. Marx riteneva poi che lo sviluppo del capitalismo e della democrazia «borghese» non rappresentasse il punto più elevato del cammino della Storia. ma solo la premessa per la realizzazione del socialismo. Che questa premessa (il capitalismo) fosse indispensabile per raggiungere la meta finale dello sviluppo storico (il socialismo e poi il comunismo) era per Marx una considerazione del tulio ovvia. e anche quando. negli ultimi anni della sua vita, egli dedicò un'attenzione crescente ai problemi dei Paesi non capitalistici (per es. la Russia) e alle loro chances rivoluzionarie. lo fece sempre per esaminare la possibilità di un'accelerazione dello sviluppo verso il socialismo nei Paesi arretrati in presenza di un parallelo e «normale» sviluppo verso il socialismo nei Paesi capitalisticamente sviluppati. La stessa impostazione di Marx e del socialismo classico venne seguita dalla socialdemocrazia europea nei decenni successivi. con una indifferenza anzi accentuata nei confronti dei problemi del mondo non capitalistico. Questa singolare coincidenza tra la Ìradizione liberaldemocratica e quella socialsta non deve stupire: entrambe sono figlie dello stesso sviluppo economico e civile, del quale accentuano l'una o l'altra componente; entrambe ritengono che la caratteristica specifica dell'epoca moderna sia rappresentata dall'allargamento degli spazi di libertà, che entrambe vedono legati. sia pure secondo ottiche diverse. a un incremento vertiginoso della produttività e, di conseguenza, dei livelli produttivi. Per Marx, il comunismo, e quindi la fase più alta del cammino della libertà, richiede che le fonti della produzione scorrano senza ostacoli e impetuosamente. in modo che a ciascuno possa essere dato «secondo i suoi bisogni». In termini di produzione, prescindendo quindi dall'analisi del meccanismo dell'alienazione, il suo ottimismo storico sulle possibilità di un allargamento indeterminato della ricchezza e quindi della soddisfazione dei bisogni, fa il paio con l'ottimismo dei classici dell'economia e poi con quello di tutti quegli autori che, tra una crisi e l'altra del sistema capitalistico, hanno sempre riaffermato le sue possibilità di espansione illimitata. Né nel socialismo classico, né nella tradizione economica e politica della liberaldemocrazia vi sono mai state concessioni nei con11

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