PALMIRO TOGLIAITI PCI (anche a voler tenere presente il suo legarne organico col sindacato) il partito che ha la rappresentanza presso-ché esclusiva del movimento operaio, e della DC il partito che si fa carico della «riproduzione capitalistica»? E il PCI è veramente indenne da legami coi ceti medi «parassitari», avendo appoggiato pienamente in tutti questi anni una politica sindacale tra le più corporative e assistenziali? Sono domande elementari, che però esigono, per dare ad esse risposte adeguate, una visione laica e razionale (cioè esente da contrapposizioni manichee) della vicenda sociale e politica. Vero è che, come oggi tutti i partiti sono largamente interclassisti e impegnati a raccogliere, per aumentare il proprio seguito elettorale, consensi nei ceti e nei gruppi sociali più vari ed eterogenei, così l'elaborazione di un programma riformatore serio, che faccia leva sui ceti produttivi e tenda all'eliminazione del peso soffocante delle gestioni passive, incontra gravissime difficoltà. È chiaro allora che per un partito di sinistra, il quale, pur avendo iniziato un complesso e difficile cammino per inserirsi nel sistema occidentale, non ha ancora risolto i suoi legami col blocco totalitario sovietico, la via più facile per giungere al potere è quella del «compromesso» (più o meno storico). Ma questa soluzione vanificherebbe qualunque prospettiva di alternanza - la quale è vitale per un sistema democratico -, imporrebbe inevitabilmente la rinuncia a una vasta opera di razionalizzazione della società, aumentando le aree di emarginazione, e relegherebbe le riforme a provvedimenti controproducenti e demagogici, all'insegna dei più bassi interessi corporativi (l'università insegni). E ciò sarebbe non la vittoria, ma la definitiva sconfitta della democrazia in Italia. IL LEVIATANO FISH-EYE Finalmente il Codice penale! nUANTO STA AVVENENDO IN CINA IN QUESTI air.mi mesi può essere definito un gigantesco, complesso sforzo di normalizzazione. Normalizzazione nella produzione. ricondotta sotto le leggi dell'efficienza e della professionalità. Normalizzazione nell'insegnamento, affidato nuovamente agli esperti e disciplinato dalla selezione e dalla meritocrazia. Normalizzazione nei rapporti economici internazionali. abbandonando l'utopia autarchica-contadina per una politica chè favorisce invece investimenti internazionali di capitali. scambi di materie prime con tecnologia e giganteschi prestiti finanziari (come quello recentemente concesso dal Giappone). Normalizzazione diplomatica internazionale. che vede la Cina entrare in tutti gli organismi dai quali era stata precedentemente assente, accettandone pienamente regole, procedure e finalità; che la vede disapprovare il sequestro degli ostaggi americani in Iran non tanto per ovvi motivi ideologici, quanto perché sono state violate dagli studenti islamici appunto le regole del diritto internazionale; che la vede infine impegnata in difficili e defatiganti colloqui con gli odiati sovietici nel tentativo di dare una qualche stabilità anche al più difficile ed esplosivo dei suoi rapporti di vicinato. La stessa guerra contro il Vietnam, che dieci mesi fa sembrava aver condotto il mondo sulla soglia di un conflitto generalizzato, si presenta, a ben vedere (e anche forse un po' paradossalmente), come una guerra di «normalizzazione», mossa per riequilibrare una situazione alterata dal dinamismo militare vietnamita; in nome insomma della più tradizionale «politica delle cannoniere» di ottocentesca memoria e in contrasto invece con qualsiasi versione della guerra rivoluzionaria moderna. A conferma di questo carattere limitato del conflitto: la rapidità del suo rientro e la neutralità dell'Unione Sovietica. Unico risultato della «lezione» data dalla Cina al Vietnam è stata' appunto, la riaffermazione, appoggiata militarmente, degli interessi militari e politici cinesi nel Sudest asiatico. Un tentativo insomma di riequilibrare un equilibrio compromesso; un tentativo, quindi, di «normalizzazione». Anche gli ultimi avvenimenti interni cinesi possono, a ben vedere, essere letti in questa chiave. Lo stesso spostamento del «muro della democrazia» (al quale abbiamo accennato nel numero precedente) è stato giustificato dalle autorità locali di Pechino (che hanno abbandonato il nome di Comitato rivoluzionario per quello di Governo municipale) appunto in nome della normalizzazione e della necessità che le attività pubbliche vengano condotte secondo regole certe, valide per tutti e sottoposte al controllo delle autorità stesse. E' estremamente significativa, a questo proposito, l'enfasi che la stampa cinese ha posto sulla recrudescenza delle attività criminali e sui problemi di ordine pubblico. La parola d'ordine che circola più frequentamente sulla stampa è che le «Quattro modernizzazioni» non possono essere sabotate dalla delinquenza anarchica e teppista. Altre!- 19
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