stabilito e riesce a stabilire rapporti molteplici (anche se contrastanti) con strati di lavoratori e anche di operai, che esercita una larga influenza su una parte ampia dei ceti medi urbani». e che al tempo stesso ha però come caratteristica di fondo quella di essere «il principale partito del.la borghesia capitalistica». Ora, come spiegare - sulla base di questo giudizio comunista - la presenza nella DC di due «anime» così diverse, la loro coesistenza e il loro rapporto reciproco? È di qui che prende l'avvio un recente pamphlet di Franco Cassano, un giovane sociologo e politologo comunista: // teorema democristiano (ed. De Donato), che ha suscitato vivaci discussioni. Non si può ridurre - egli dice - la politica trentennale della DC a strumento del predominio del capitale monopolistico italiano e dei grandi agrari; non si può sostenere che attraverso i governi centristi la Confindustria - secondo la nota formulazione di Togliatti - abbia «governato l'Italia». Questo giudizio, infatti, non riesce a dare ragione di quanto avvenne, proprio negli anni del centrismo, con la segreteria Fanfani, all'interno del partito di maggioranza e nel suo rapporto con lo Stato e la società. In contrasto con l'immagine stereotipata del partito democristiano come organo di governo del blocco industriale - agrario, si produssero alcuni importanti avvenimenti che avrebbero dovuto suggerire un'immagine ben più dinamica dell'azione politica della DC: a) la riforma agraria e la riduzione del peso politico (tradizionale nella storia dell'Italia unita) degli agrari attraverso la creazione di una piccola borghesia contadina; b) lo sviluppo dell'industria di Stato, che entrò in contraddizione con i settori più retrivi del padronato. e particolarmente con quell,; parte della borghesia finanziario-monopolistica concentrata nel campo della chimica; c) la scelta dell'inserimento dell'Italia nell'area di libero scambio europea, che privilegiò i settori più dinamici dell'industria a danno dei settori più legati a posizioni di rendita e di intermediazione. Negli anni cinquanta, dunque, il cosiddetto blocco industriale-agrario non è rimasto identico a se stesso (come postulerebbe la tesi togliattiana dell'immediata soggezione della politica democristiana ad esso), ma si è modificato profondamente, a dimostrazione del carattere «attivo» della mediazione democristiana. Rispetto agli interessi immediati delle «classi dominanti» l'azione politica della DC ha dimostrato di possedere autonomia e specifici criteri selettivi. Una volta documentata l'inconsistenza del modello esplicativo paleo-comunista della DC, Cassano propone un proprio modello esplicativo. La natura della DC, egli dice, è comprensibile solo tenendo presente quel fenomeno che, a partire dagli anni trenta, caratterizza, anche se con modalità diverse. tutti i paesi capitalistici: il processo di politicizzazionecrescente dell'econo- /8 mia. «Questo processo - scrive Cassano - che spezza i confini del vecchio Stato liberale, nasce dalla crisi di quest'ultimo, dalla crescente difficoltà con cui esso riesce ad assicurare la riproduzione del rapporto capitalistico di produzione. Sempre più questa riproduzione, che ha perso ormai ogni carattere automatico (ne sono sintomi le crisi sia ecQnomiche che politiche), viene affidata allo Stato che vede così ampliarsi il campo delle sue funzioni. La crescente politicizzazione dell'economia è quindi strettamente correlata all'esigenza di assicurare una riproduzione ormai impossibile dentro il vecchio quadro delle istituzioni liberali e della separazione tra politica ed economia. È in questo quadro teorico che si deve interpretare il ruolo e la natura del partito democristiano. Il compito di questo partito è ben più generale di quello di una tutela immediata degli interessi economici delle classi dominanti, che talvolta, dice Cassano, possono essere addirittura antagonistici rispetto all'interesse generale alla riproduzione dell'intera struttura sociale. Di qui la possibilità di tensioni anche acute tra la borghesia e il ceto politico, tra i capitalisti e lo Stato, tra gli interessi immediati dei primi e la funzione del secondo di assicurare la riproduzione del sistema sociale. Questa impostazione di Cassano meriterebbe un lungo discorso, che non possiamo fare in questa sede. Qui ci limitiamo a rilevare che, nella misura in cui I'A., per spiegare la «centralità» democristiana negli ultimi trent'anni, mette da parte categorie angustamente classiste (che non sono staté usate solo dai comunisti: basti pensare alla definizione di Riccardo Lombardi della DC come «forza di mediazione fra il capitalismo avanzato e gli interessi parassitari e arretrati») per insistere invece sui problemi della riproduzione sociale complessiva, del «consenso» e della «legittimazione», sembra muoversi nella direzione giusta. Si tratta di un'interpretazione tendenzialmente interclassista. che mette in cnsi (ne sia o no consapevole l'autore) gli schemi dell'ortodossia marxista. Senonché Cassano non vuole poi trarre tutte le conseguenze dalle premesse da lui poste. E infatti nella seconda parte del suo pamphlet egli ripropone una diagnosi, tanto avventurosa quanto oscura, della situazione italiana, nei termini tradizionali di uno scontro fra la DC e il Movimento Operaio (scritto proprio così, con le maiuscole). Quello che manca del tutto nella sua analisi è il giusto rilievo al fatto che la DC, proprio per il ruolo centrale che ha saputo svolgere nella vita sociale e politica italiana, abbraccia un ventaglio amplissimo di classi, di ceti e di gruppi della società civile. Secondo stime attendibili circa la distribuzione dei voti nelle elezioni del 1968, la DC vi raccolse quasi il 36% dei voti operai, contro il 40% raccolto dal PCI. Ora, ci si chiede, questo basta a fare del 25 DICEMBRE 1979
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