ne; e gli ammonimenti di Sylos 'Labini sono anche denuncia dell'impatto antimeridionalistico della scala mobile. D'altra parte, il richiamo al senso della realtà, così come investe la questione del costo del lavoro, investe quella del gonfiamento della spesa pubblica di parte corrente: se i sindacati ed i partiti non lo contrastano, e anzi lo vanno propiziando, si sappia che ne derivano inflazione e recessione, si sappia che le compatibilità meridionaliste ne risultano sconvolte! Iniezione di senso della realtà, dunque, ma anche iniezione di senso dello Stato: retaggio del meridionalismo di Giovanni Amendola, rinverdito e arricchito da Ugo La Malfa. Dagli eccessi del pansindacalismo e del panregionalismo che hanno imperversato, anche legislativamente, in questi anni, il senso dello Stato ha subito molti maltrattamenti; e altri ne ha subiti per comportamenti dettati dal senso di partito, di corrente. E di questo non potevano non soffrire anche la trasparenza e la coerenza della politica meridionalista. E allora sono due le tradizioni che dobbiamo recuperare: quella del senso della realtà di Gaetano Salvemini e quella del senso dello Stato di Giovanni Amendola. Non credo che mi faccia velo la passione di parte, e neanche la memoria dell'amicizia, se dico che Ugo La Malfa ci ha indicato la soglia del passaggio che mette in comunicazione queste due tradizioni che nobilitano e attualizzano il meridionalismo democratico. È la soglia che dobbiamo varcare. La parabola dei tre fratelli, due occupati e uno disoccupato, meridionali, adduce al convincimento che - se non vogliamo che gli aumenti di retribuzione ai due fratelli occupati prevalgano sempre sulla pur proclamata esigenza di dare un lavoro al fratello disoccupato - una politica dei redditi di segno meridionalistico è necessaria. Ma i liberali che vogliono convergere con i socialisti, e che a Milano hanno sviluppato un discorso sulle linee possibili lungo le quali realizzare tale convergenza, come mai non si sono accorti che pochi giorni prima Sylos Labini aveva posto sul tappeto un grande problema di riorientamento delle politiche socialiste? E i socialisti che pure erano a Milano come mai non hanno collegato il Sylos Labini che oggi ci richiama a certe coerenze con il Salvemini che polemizzava anche con Filippo Turati sul protezionismo operaio di tanti anni or sono? Quello che i meridionalisti democratici si augurano è che sulla linea Salvemini-AmendolaLa Malfa sia possibile costruire una comune e rigorosa posizione meridionalista di tutti i partiti laici (e nello sforzo di costruirla potrebbero ben collaborare liberali che si richiamino a Giovanni Amendola, socialisti che si richiamino a Salvemini e repubblicani che hanno collaborato con La Malfa); credo che tale comune e rigorosa posizione sarebbe un'acquisizione più corposa che non quelle che di solito si perseguono con operazioni di ingegneria pre-elettorale. IL LEVIATANO CLASSISMO GIUSEPPE BEDESCHI Le due<<anime>> dellaDC PER LUNGHI ANNI - A PARTIRE DALLA rottura della politica di unità nazionale nel 1947 fino alle soglie del centro-sinistra .:.._ha avuto corso nell'ambito del PCI un giudizio sulla Democrazia cristiana che vedeva in essa la espressione immediata e organica, lo strumento politico diretto delle «classi dominanti». Ancora nel 1955 Togliatti presentava il rapporto tra la DC e «i grandi gruppi monopolistici e i grandi agrari» come un rapporto caratterizzato da un 'assoluta subalternità, che costringeva ilgruppo dirigente democristiano ad una sorta di ineliminabile «doppiezza», ad un atteggiamento puramente demagogico verso la propria base popolare contadina e piccolo-borghese. «Si tratta infatti di un partito - diceva Togliatti - che, per mantenere i suoi contatti con una parte importante delle masse popolari, ha bisogno di presentarsi come un partito riformatore, rinnovatore. Deve quindi far risuonare nei programmi da esso ispirati qualche nota nuova, affrontare problemi di ordine generale, prometterne la soluzione». Ma, aggiungeva subito Togliatti, sono le vecchie classi dirigenti capitalistiche, industriali e agrarie, che spingono questo partito al governo, che lo condizionano e lomanovrano. Negli anni successivi, quanto più si accelera la marcia del PCI verso un accordo di governo con la DC, tanto più si modifica ilgiudizio comunista sul partito cattolico, che viene presentato però come una specie di Giano bifronte: costituito, cioè, da una componente conservatrice e perfino reazionaria, e da una componente popolare e democratica. Secondo i comunisti, il problema fondamentale della situazione italiana era che sempre più si rafforzasse, nel partito democristiano, la seconda componente. Nel 1973, prospettando la politica del «compromesso storico» Berlinguer insisteva su questa visione «dualistica» della DC e sulla necessità che si modificassero gli equilibri al suo interno: «La nostra è la sollecitazione continua a far sì che nella DC vengano isolate e battute le tentazioni e le tendenze conservatrici e reazionarie e si affermi sempre di più il peso della sua componente popolare e delle sue energie e tradizioni genuinamente democratiche e antifasciste». E Chiaromonte, a sua volta, scriveva su «Rinascita» (sempre nel 1973) che la DC è un partito che «mantiene un rapporto non solo clientelare con la maggioranza delle masse contadine, che ha 17
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