Il Leviatano - anno I - n. 8 - 25 dicembre 1979

di Salvemini sull'antimeridionalismo non solo dei massimalisti. ma anche dei riformisti, non ha trovato fra i liberali e fra i socialisti la corrispondenza che, a mio giudizio, ci avrebbe avvicinati tutti, gli uni agli altri. E avverto pure un certo disagio quando sento che liberali e socialisti si corrispondono sulle prospettive della autogestione, rimanendo chiusi al discorso sulla politica dei redditi. Ripeto, quindi, la domanda che posi già al congresso nazionale del PRI, nel giugno del '78: ma a che serve l'autogestione per la questione meridionale? La risposta può essere cercata in Macedonia e Montenegro. Ma la politica dei redditi, nella versione lamalfiana, dedotta dall'eresia salveminiana, può servire molto per la questione meridionale. Sennonché quando i meridionalisti democratici la propongono, dalle sponde liberali e dalle sponde socialiste pervengono risposte impertinenti o, peggio, nessuna risposta. lo non sono fra quelli che addebitano all'attuale gruppo dirigente del PLI una volontà perversa di restaurazione liberista. Dico, anzi, che anche al Mezzogiorno tornerebbe utile una introduzione di elementi di liberismo in un sistema appesantito dai troppi elementi di assistenzialismo che vi sono stati introdotti nel corso degli ultimi anni. Si tratta soprattutto di ripristinare gradi accettabili di mobilità. perché senza mobilità non c'è sviluppo, e meno che mai sviluppo del Mezzogiorno. Proprio perché abbiamo lasciato che la rigidità si sovrapponesse alla mobilità (delle forze di lavoro, delle case, della terra), abbiamo bloccato la via dell'ulteriore sviluppo del nostro Paese. Ma ripristino della mobilità, e quindi liberazione della dinamica dei valori che ne derivano, non significa restaurazione liberista nel senso di rinuncia alla programmazione. I liberali non chiedono la restaurazione liberi- /6 sta, e meno che mai la rinuncia alla programmazione: d'altra parte, se la chiedessero, entrerebbero in collisione con i socialisti. Ma alla programmazione si rinuncia egualmente (e a questo proposito mi rivolgo ai socialisti) se non la si vuole fondare su precondizioni di compatibilità, garantite da una politica di controllo della dinamica di tutti i redditi. E allora, amici socialisti, quelli di voi che, alla proposta repubblicana di politica dei redditi, avete reagito con irritazione, credendo di ravvisarvi una proposta di blocco dei salari, è su questo che ci dobbiamo chiarire (e mi auguro che il chiarimento interessi anche i liberali): pretendere che gli aumenti del costo del lavoro siano compatibili con gli aumenti della produttività, significa chiedere il blocco dei salari, o non significa, piuttosto, recuperare, in tutto il suo valore, la critica salveminiana, ricavandone le condizioni necessarie per una programmazione non oratoria, guidata da una concezione meridionalista dello sviluppo italiano? Altro che «scala mobile non si tocca»! Se non la si vuole toccare, si penalizza il Mezzogiorno, a danno del quale l'inflazione incrudelisce assai più di quanto non incrudelisca a danno del Nord. È più che mai necessaria una iniezione di quel senso della realtà che è retaggio del meridionalismo classico. da Fortunato a Salvemini. E a questo senso della realtà ci hanno recentemente richiamato non solo le sortite polemiche di Giorgio Amendola, ma anche gli ammonimenti di Sylos Labini (non a caso allievo di Salvemini, oltre che nipote di Giustino Fortunato). È sui temi di Sylos Labini che liberali e repubblicani possiamo costruire una piattaforma di incontro con i socialisti; non andando a inseguire farfalle sotto l'arco di Tito (proprio il maresciallo Tito). Il richiamo al senso della realtà è anzitutto richiamo alla necessità di contrastare l'inflazio15 DICEMBRE 1979

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