Era questo il senso profondo della quotidiana polemica del "Mondo" contro la prassi di governo democristiana, contro l'affarismo e il sottogoverno che disintegravano lo Stato e lo riducevano ad una costellazione di feudi manovrati dalle varie correnti del partito di maggioranza. A questo modo abnorme di governare- privo di un sostanziale ricambio a causa della presenza di un fortissimo partito comunista ancorato ad un'ideologia antidemocratica e strettamente legato alla politica estera dell'Unione sovieticagli uomini del "Mondo" cercarono prima di opporre la proposta di una terza forza e, poi, il progetto politico del centro-sinistra, con l'alleanza dei gruppi laico-socialisti in funzione riequilibratrice nei confronti della Democrazia cristiana. Bisognava, mostrando con i fatti la superiorità del sistema liberaldemocratico, schiodare i comunisti dal loro persistente leninismo, costringendoli a porsi senza equivoci - come disse Vittorio de Caprariis - "la questione della libertà politica, delle garanzie costituzionali della libertà e della inevitabilità, a tale fine, del pluralismo dei partiti politici. Dovunque: in Italia come in Russia". Il sostanziale fallimento di quel progetto riformatore non cancella, però, la validità delle diagnosi del vecchio "Mondo": la n·ecessità di una politica di piano senza mortificare le forze economiche private, l'urgenza di una riforma profonda del costume politico e amministrativo, il superamento dell'arroganza dei partiti e delle loro oligarchie nei confronti della società civile, la soluzione, senza furbizie e compromessi più o meno storici, della questione comunista. ERNESTO ROSSI IL LEV(ATANO NORD E SUD FRANCESCO COMPAGNA. Mezzogiorno e politica dei redditi nuANDO A MII.ANO, NEL CONVEGNO ORlifnizzato da" Alleanza" e da "Critica sociale", si è discusso della storia e delle idee dei partiti di democrazia laica e socialista, io mi sono chiesto come si colloca la questione meridionale non solo nella storia e nelle idee dei nostri partiti, ma anche e soprattutto nella prospettiva della loro azione politica, specialmente se questa la si volesse più coordinata e convergente di quanto finora non sia stata. Vorrei riproporre ora su queste pagine i problemi che già ho posto a Milano, in quel convegno, volendo rammentare a liberali e a socialisti che esiste anche la questione meridionale con la quale si devono fare i conti quando si affronta il tema, a me congeniale, dell'avvicinamento tra forze politiche i cui contrasti costituiscono una causa di debolezza della democrazia. Vale anzitutto la pena di ricordare quell'altro convegno, a Bologna, alcuni anni orsono, nel quale liberali e repubblicani si riconobbero nella eredità culturale e politica di Giovanni Amendola. Dissi allora che il deputato di Samo ha rappresentato il punto di saldatura fra il meridionalismo classico di Fortunato e di Nitti e il meridionalismo del secondo dopoguerra, con "La voce repubblicana", "L'Italia socialista" di Garosci e "Il mondo" di Pannunzio in prima linea. Ora Enzo Bettiza e Ugo lntini hanno intrecciato un interessante dialogo per avvicinare liberali e socialisti. Penso che, se, ad intrecciarlo, fossimo stati ilpredecessore di Intini alla direzione dell"'Avanti!", Gaetano Arfè, ed io stesso, saremmo partiti da Gaetano Salvemini. Consiglierei a Bettiza e ad Intini di non prescindere dall'eredità culturale e politica nella quale agevolmente possiamo riconoscerci Arfè ed io. Perché Salvemini è riferimento comune di repubblicani e socialisti; e lo fu anche per "Il mondo" di Pannunzio; perché la sua critica alle "deviazioni oligarchiche" del movimento operaio anticipava la critica· lamalfiana ai comportamenti politici e sindacali dell'ultimo decennio; perché la sua eresia socialista è l'incunabolo della versione meridionalista della politica dei redditi. Mi preoccupa intanto la constatazione che finora il nostro sforzo (dei repubblicani, di "Nord e Sud") per sviluppare tutte le suggestioni della democrazia liberale e meridionalista di Giovanni Amendola e per aggiornare la polemica 15
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==