Il Leviatano - anno I - n. 8 - 25 dicembre 1979

Gobetti, i Rosselli, i Mondolfo, i movimenti che nacquero nella scia del loro insegnamento da «Giustizia Libertà» fino al Partito d'azione. Non starò qui a discutere deUe sottili sfumature tra il socialismo liberale di Rosselli e il liberalsocialismo di Calogero e Capitini. Oggi possiamoandare aldilà delle sfumature e riannodare suUo sfondo di movimenti che cercarono sia pure da ottiche opposte di conciliare liberalismo e socialismo, un discorso nuovo e moderno fra le due sponde. Esso va però riannodato e ripreso tenendo davanti agli occhi ben presente il ruolo negativo svolto dal PCI in ogni tentativo di formazione di un'area più grande, un'area laica e socialista, entro lo spazio compreso fra le sue forze e quelle della DC. Se teniamo conto delle matrici culturali labrioliane dello stesso Croce, della sensibilità sociale di Gobetti, del sodalizio fra Mondolfo e Gobetti, dei fenomeni come Quarto Stato e GL, noi vediamo che il dialogo Lib/Lab si sviluppava meglio, fra gli esponenti delle due parti, o sotto il fascismo o durante l'esilio. Quando cioè non esisteva ancora la presenza forte, la potenza deterrente, del «fattore K» fra le parti in dialogo. Direi che, subito dopo la caduta del fascismo, è il «fattore K», il PCI ancora comintemizzato di Togliatti, che più di altri contribuisce a interrompere il contatto ideale fra socialisti e liberali. La crescita abnorme. la dilatazione anomala del PC in Italia, il quale usurpa lo spazio e le tradizioni del movimento socialista italiano, interrompono dal 1945in poi il filo che noi oggi tentiamo di riannodare richiamandoci a certi scritti di Einaudi, al Gobetti della rivoluzione liberale, al Rosselli del socialismo liberale e così via. Ma che cosa è avvenuto in questi 30anni? È avvenuto che il PCI ha costretto per un lungo periodo storico, coi patti d'unità d'azione e con la strategia frontista, a radicalizzare in senso staliniano e terzintemazionalistico un loro tradizionale filone massimalistico. Contraccolpo a questa confisca dell'anima socialista da parte comunista è stata, purtroppo, la fuga di tanti liberali su posizioni di difesa sempre più chiuse e più conservatrici. Se infatti il PLI ha potuto in certi momenti assumere connotazioni quasi retrive, così è stato perché la società civile nel suo complesso aveva perduto ad un certo punto il contatto con i socialisti, quasi fagocitati dai comunisti. Non si spiega la collocazione a destra per un lungo periodo dei liberali, se non si spiega al tempo stesso la collocazione all'ultrasinistra staliniana dei socialisti c'è interdipendenza fra i due spostamenti. Anche quando i socialisti negli anni 60 si staccheranno dai comunisti, per dare vita al primo governo di centrosinistra, il loro modo di concepire se non di attuare la programmazione rivelerà un carattere quasi complessato rispetto alle pianificazioni autoritarie di tipo comunista: la brusca e infelice nazionalizzazione del complesso elettrico italiano doveva di12 mostrarlo. Se quindi l'opposizione liberale a quegli esperimenti frettolosi, e spesso demagogici, sembrava assumere un carattere conservatore non va dimenticato che si trattava anche di opposizione al populismo con cui i primi governi di centro-sinistra cercavano di placare la sempre più violenta polemica comunista contro di loro. Cominciavano già allora i governi della resa. I liberali dell'epoca reagirono con metodi e argomenti forse criticabili da un punto di vi~ta neoliberale avanzato; ma non va ignorato che quegli stessi liberali con la loro dura critica allo Stato assistenziale, pianificatore, imprenditore, usurpatore degli spazi della società civile, precorrevano le stesse argomentazioni allarmate poi riprese da La Malfa e che oggi neanche i socialisti o addirittura Amendola rifiutano più. Il così detto conservatorismo dei liberali del1'epoca va rianalizzato quindi su uno sfondo politico che vedeva il «fattore K» ricattare ideologicamente i socialisti e troncare ogni residuo della vecchia corrente ideale fra liberalismo e socialismo. Ma oggi è acqua passata. Direi che dal congresso socialista di Torino c'è stato un grosso ripensamento da parte liberale sul nuovo ruolo socialista e sulla funzione positiva della presenza socialista al vertice delle istituzioni repubblicane. C'è stata la profonda revisione di un certo antisocialismo, diciamo pure viscerale, che esisteva nel vecchio PLI. E non si è trattato di una revisione così facile e liscia. Ma direi che, tutto sommato, il congresso socialista di Torino abbia influito positivamente sulla politica d'apertura che la nuova segreteria liberale, di chiara ispirazione gobettiana, aveva già in animo di proporre al partito dopo il severo rischio d'estinzione sfiorato nel 1976. Dal congresso di Torino all'elezione di Pertini alla presidenza un nuovo clima d'intesa, sia pure prudente e mai programmatico fra le due parti, ha contribuito comunque a mutare l'intero panorama politico italiano. So che taluni nei due rispettivi partiti vorrebbero per ora congelare questo riavvicinamento in un'astratta sfera d'avorio culturale. Io personalmente non sono di questo avviso. Penso che i tempi urgono nel nostro Paese. Sono invece dell'avviso che va detto a tutti che, per fortuna. la politica è andata molto al di là della diplomazia nei rapporti odierni fra socialisti e liberali in Italia. Sarà quindi bene, per entrambi gli esponenti delle due parti, guardare in faccia la realtà e trame le debite conseguenze: l'incontro fra liberali e socialisti non avviene più su uno sterile terreno accademico. Inutile fare gli struzzi per non spaventare le mitiche «basi». Questo lasciamolo fare ai comunisti e ai democristiani. Noi, almeno noi liberali, pensiamo che l'unico modo di onorare oggi le intuizioni di un grande italiano e di un antifascista critico e lucido come Carlo Rosselli sia quello di trasformarle, al più presto, in realtà. 25 DICEMBRE /979 1 l

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