Il Leviatano - anno I - n. 7 - 18 dicembre 1979

SPADOLINI DOMENICO SETTEMBRINI I pompieri di Viggiù CONCLUSA CON L'ELEZIONE DI SPADOlini la fase più delicata del post-La Malfa, che cosa vuole ora il PRI? A leggere l'intervista che il nuovo segretario ha rilasciato al «Leviatano», si direbbe che i repubblicani non abbiano ancora scelto, si rifiutino anzi di scegliere. Permane immutata, e non potrebbe essere diversamente, la volontà che animò fino alla fine il vecchio leader di «mantenere a tutti i costi la società italiana nell'arèa occidentale, come area di alleanze e di vita». Un partito moderno e pragmatico, che non voglia cioè ridursi alla sterilità politica di un circolo di intellettuali, seppur prestigiosi, o di sparsi gruppi di militanti di base, motivati ormai esclusivamente dai ricordi _di un passato seppure illustre, dovrebbe tuttavia qualificarsi per i modi con cui pensa di calare nella realtà i suoi valori e, quando la forza elettorale sia nettamente insufficiente, delle alleanze che ritiene all'uopo omogenee. Su tutto questo si cercherebbe invano nelle parole di Spadolini una risposta che non si presti a contrastanti interpretazioni. Dire che è impossibile «ripetere meccanicamente le alleanze» di solidarietà nazionale che caratterizzarono la passata legislatura, non impegna infatti a nulla, a meno che non sottintenda proprio l'intenzione di richiamare in vita la vecchia formula, cambiandole semplicemente gli accessori o addirittura il solo nome. Certo, è vero che «nulla è mai uguale nella storia», come si premura di ricordarci Spadolini. Ciò vale però per tutti gli eventi, per la maggioranza di solidarietà nazionale come per il centro-sinistra. E siccome delle maggioranze del passato solo queste due sono numericamente possibili nell'attuale legislatura, la sfinge dovrebbe pur dirci a quale di esse somiglia di più quella che il PRI mira oggi a costituire per portare il Paese fuori dalla crisi che lo dilania. E invece Spadolini riesce a tirar fuori dal cappello uno strano coniglio, né maschio né femmina, ma neppure ermafrodito. Niente «chiusura al PCI», e quindi niente maggioranza senza il PCI, perché, «ammesso che sia possibile», non basterebbe ad assicurare «un coinvolgimento di forze», adeguato al «superamento della crisi». Il patto sociale esteso fino al PCI dovrebbe tuttavia essere «compatibile con ruoli diversi e distanti nella collocazione parlamentare». 12 . L'unica indicazione che da questo rebus si può ricavare con molta buona volontà è che il PRI chiede al PCI di appoggiare con l'astensione - l'unica collocazione parlamentare che, senza essere contrapposta, soddisfi la condizione di essere sufficientemente «diversa e distante» dalla maggioranza - un governo dal quale vedrebbe in compenso esclusi i socialdemocratici, la cui esistenza nel corso dell'intervista Spadolini neppure rammenta, e i liberali, ricordati solo per sottolineare che non sarebbero mai esistiti. Ma è serio tutto ciò? Cominciamo dal PCI. Che senso ha offrire il ritorno all'astensione a un partito che ha fatto cadere prematuramente una legislatura, quando già era membro influente della maggioranza, perché voleva invece entrare a pieno titolo nel governo? Perché mai d'altra parte ricorrere a tanti contorcimenti per negare l'ingresso nel governo al PCI, facendo vista del contrario, qualora questo partito fosse davvero intenzionato a secondare il PRI nello sforzo di ancorare più saldamente l'Italia al modo di vita e alle istituzioni politiche dell'Occidente? Insistendo sulla necessità di coinvolgere nell'opera di restaurazione democratica le forze sociali che si riconoscono nel PCI, Spadolini elude la questione di fondo, che è quella se il PCI sia idoneo, vale a dire intenzionato, oppure no, a svolgere il ruolo assegnatogli nel canovaccio repubblicano. Il criterio per giudicare di questa ideoneità resta quello posto una volta per tutte da La Malfa nel 1956: «Liberalizzate - dicono gli intellettuali - il PCI. E' giusto: ma per fame un altro partito. cioè per sopprimere nella sua essenza storicamente conliguratasi il Partito comunista, per uccidere il partito di Togliatti». Tra il 1976 e il 1978, La Malfa giunse effettivamente a credere che l'ohiettivo da lui posto nel 1956 fosse stato raggiunto. e manovrò in conseguenza per portare il PCI nel governo, superando gradualmente le resistenze della DC. Il discorso di Berlinguer a Genova nel settembre dell'anno scorso risvegliò però duramente il leader repubblicano dalle illusioni ingenuamente coltivate. E da allora fino alla morte La Malfa cercò conseguentemente di chiudere di nuovo al PCI l'area della maggioranza, pur badando a salvare il salvabile del clima di rispetto reciproco creatosi tra repubblicani e comunisti per portare avanti il dialogo nella società civile. Spadolini ha evidentemente tutto il diritto di riportare il PRI a cullarsi nelle illusioni lamalfiane del 1976-78, se così crede opportuno. Allora però deve dire chiaramente a sé e al paese che in fondo a quella strada c'è l'ingresso del PCI nel governo. Anzi, poiché «nulla è mai eguale nella storia», questa volta l'accesso dei comunisti nella stanza dei bottoni non sta al termine ma all'inizio dell'operazione. Ma se la sente Spadolini di interpretare l'ultimo comitato centrale del PCI, con il discorso così radicalmente antilamalfiano di Berlinguer, come la celebrazione della morte del partito di Togliatti? 18 DICEMBRE'/979

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