Il Leviatano - anno I - n. 7 - 18 dicembre 1979

7 . 500 lire ILLEVIATANO settimanale di commento politico ---•♦•--- Non c'è sulla Terra chi sia superiore al Leviatano, il quale è fatto per non avere paura: egli guarda in faccia L'arte imita quel raUOnale e più eccellente lavoro della natura che è l'uomo. Poichi con l'arte è creato quel gran Uviatano, chiamato Stoto (in latino civila5J, il quale non è che un uomo ar1ijìciale1 benchi ài maggiore statura e forza del naturale, pula protu)one e difesa del quale fu concepito. tulto ciò che è eccelso, egli è re su tutte le creature più superbe. (Giobbe, XLI. 25-26/ li grande Leviatano è quel 'unica creatura al mondo che dovrà restare senza ritratti sino alla fine. Questo Leviatano ci sce11de addosso. dibattendosi dalle fonti del/'Eurnità. (H. Melville. Moby Dick, capp. LV. CV) . in questo numero: (T. Hobbes.-Leviatano, Introduzione/ E quante nature poetiche non ho incontrato a/fallo? E quante ne hai strangolate t~ nel corso di questi decenni, maledello Leviatano? (A. Solzcnicyn, Arcipelago Gulag. V, S) Zanone giudica possibile l'intesa laica Garosci sull'attualità di Rosselli Romeo sulla riforma universitaria Settembrini in polemica con Spadolini La «presunzione di innocenza» per i politici Rilletti sull'ultimo libro di Burgess Destefanis sulla dipendenza energetica Nella rubrica di Ungari la riforma elettorale europea Collaboratori: GIOVANNI ALDOBRANDINI, GIUSEPPE ARE, DOMENICO BARTOLI, GIUSEPPE BEDESCHI, ENZO BETTI· ZA, PAOLO BONETTI, LUCIANO CAFAGNA, VENERIO CATTANI, LUCIO COLLETTI, VEZIO CRISAFULLI, RENZO DE FELICE, PAOLO DEMARTJS, CELSO DESTEFANIS. SIRIO DI GIULIOMARIA, GIANNI FINOCCHIARO, ALDO GAROSCI, PIER CARLO MASINI, NICOLA MATTEUCCI, RENATO MIELI, SANDRO PETRICCIONE, ALDO G. RICCI, GUIDO RILLETTI, ROSARIO ROMEO, ALB,ERTO RONCHEV, DOMENICO SETTEMBRINI, GIUSEPPE TAMBURRANO, PAOLO UNGARI. GUELFO ZACCARIA. Direttore responsabile: GIULIO SAVELLI 18dicembre 1979

EDITORIALE L'innocenza degli amici A PROPOSITO DELLE TANGENTI SUL PEtrolio saudita, abbiamo visto qualche politico, a torto o a ragione sospettato d'essere implicato nello scandalo, far appello alla «presunzione di innocenza», il principio recepito dall'articolo 27 della Costituzione italiana e fondamento irrinunciabile dello Stato di diritto: quel principio in virtù del quale è colpevole solo chi sia stato riconosciuto tale con sentenza definitiva (non più appellabile) mentre è invece da presumere innocente, fino a prova contraria, chi sia solo sospettato, o imputato, ma non ancora condannato. Non è la prima volta che politici coinvolti in casi di corruzione pretendono di avvalersi di tale principio. Mario Tanassi, se non ricordiamo male, lo citò nella propria autodifesa nella seduta parlamentare che doveva rinviarlo a giudizio presso la Corte costituzionale; lo stesso fece Giovanni Leone, in un'intervista pubblicata pochi giorni dopo le sue dimissioni da presidente della Repubblica. Il fatto che, ancora una volta, a quel principio i politici facciano appello, senza che nessuno faccia rilevare che esso attiene a tutt'altre circostanze, ci induce a riaffermare che la presunzione di innocenza, principio fondamentale per la salvaguardia della libertà del cittadino. è inapplicabile invece al politico. O meglio. che esso si applica anche al politico, ma solo in quanto cittadino, in quanto soggetto alle stesse norme penali del cittadino, ma non al politico in quanto politico. Chi pretende di applicare al politico la presunzione di innocenza non tiene conto, in realtà. che. in democrazia. il politico è un rappresentante, un mandatario del popolo. dell'elettore. li suo è dunque un compito fiduciario, e per di più a termine. Ora. se il mandante sospetta il mandatario di aver tradito la sua fiducia, e per questo, pretende che sia legalmente perseguito, è evidente che il mandatario ha il diritto di difendersi dalle accuse e di far valere la presunzione, fino a prova contraria, della sua innocenza. Ma ciò vale perché il mandatario cessa di essere tale e ritorna cittadino. La presunzione di innocenza, indiscutibile in sede penale, non può essere fatta valere per pretendere che ilmandante mantenga o rinnovi il mandato. cioè la fiducia. Cerchiamo di spiegarci meglio. Supponiamo che, dovendo partire, io nomini come procuratore per i miei affari un amico e che poi venga a sapere che si tratta di persona che frequenta 1 abitualmente una congrega di notori truffatori. Se questo procutatore. malgrado le sue amicizie, non ha tradito il mandato da me aflìdatogli, per esempio vendendo le mie cose a prezzi irrilevanti o acquistandone a prezzi esorbitanti, è evidente che non potrà essere perseguito penalmente in alcun modo, non essendo reato l'essere amico di truffatori. Ma anche se penalmente non sarà perseguibile, ciò non di meno, avuta notizia delle sue amicizie, io mi affretterò a revocargli la procura, cercando, la prossima volta che avrò bisogno di un procuratore, di compiere una scelta più oculata. E la persona che da me ha ricevuto la procura non potrà certo pretendere che io gli rinnovi la fiducia per il solo fatto di non avermi ingannato. Qualche giorno fa ci è stato raccontato che il nuovo palazzo delle commissioni del parlamento svedese è stato costruito con le pareti di vetro, sicché ogni cittadino, dalla strada, può vedere quali deputati siano al lavoro, e per quanto tempo, e con quale lena: una traduzione architettonica di una vecchia immagine di come dovrebbe essere la pubblica attività. Ora è chiaro che, per il cittadino, invece, il diritto alla privacy, a fare in casa propria ciò che vuole, è, anch'esso, diritto primario e inalienabile. Un diritto che vale anche per il politico: ma che vale per il politico in quanto cittadino, non in quanto politico. In quest'ultima veste egli ha invece il dovere di agire, appunto, in una «casa di vetro». Se dunque il cittadino può pretendere la piena vigenza della presunzione di innocenza. il politico. quand'anche solo l'ombra di un sospetto aleggi intorno al suo nome, ha il dovere di far di tutto perché ogni nube si dilegui, ha il dovere di facilitare l'accertamento della verità, deve agire insomma come se valesse una presunzione di colpevolezza; trincerarsi dietro la presunzione di innocenza significa invece mostrare l'arroganza del potere, cioè la pretesa che si sia in presenza non di un potere delegato, ma di un'incontrollata investitura. Per non dire dell'atteggiamento di certa stampa, che a questa arroganza dà manforte per motivi di pura convenienza politica. Quando ad essere sospettati erano personaggi ritenuti nemici politici, ogni amalgama, ogni allusione, ogni amicizia, ogni diceria sembrava potesse esser lecito utilizzare per avvalorare i sospetti e /8 DICEMBRE /979

rafforzare i dubbi, con il pretesto di reclamare giustizia. Ora che, invece, i sospetti si addensano sugli amici, si pretendono prove di ferro, documenti inoppugnabili, testimoni oculari. Quando addirittura non si avanzano argomenti vergognosi, come quello secondo il quale, essendosi il petrolio ottenuto, e a buon prezzo, sarebbe irrilevante domandarsi se si sia rubato o no. Era conveniente comprare il petrolio a 19 dollari al barile? E allora si chiuda un occhio se un dollaro è finito in qualche tasca non pertinente. La moralità pubblica non può essere oggetto di scambio per favorire l'affermarsi della linea politica che più ci piace. Dove non c'è moralità civile le comunità periscono. scriveva Bertrand Russell. Da noi l'immoralità e così diffusa che milioni di persone, migliaia di aziende, sterminate legioni di burocrati di ogni specie vivono e si arricchiscono grazie al rapporto privilegiato con un potere arrogante. La gente pensa, quasi sempre a ragione, che larga parte della classe politica sia corrotta. Manca solo che, come sta accadendo, qualcuno teorizzi, oltreché pratichi, la corruzione perché le nostre istituzioni, già fragili per tanti motivi, non crollino miseramente. Naturalmente, queste considerazioni di principio non ci impediscono di vedere come il velo sulla vicenda dell'ENI sia stato sollevato non per amore di pubblica moralità, ma per convenienze e calcoli di natura politica. Lo scandalo vede la luce quando una faticosa alleanza interna al Partito socialista si trasforma in guerra aperta e quando due ex-amici, diventati avversari, lottano per il controllo del partito e per far prevalere la propria. anziché l'altrui. linea. Su DISEGNO DI RAFFAEILA 01TAVIA!jl IL /.EVIATANO I I questa controversia specificatamente politica la nostra posizione è chiara: noi crediamo necessario che i partiti dell'area laica - socialisti, repubblicani, socialdemocratici, liberali - ricerchino la via di una collaborazione e di un accordo per costruire un rinnovato polo di attrazione per quei cittadini che per un verso sono stanchi del più che trentennale monopolio del potere democristiano, e che per un altro verso rifiutano il Partito comunista come alternativa di governo alla DC, in quanto giudicano del tutto insufficiente il processo revisionistico che pure, in qualche modo, in quel partito si è avviato. Perché questo progetto si traduca in realtà, il contributo dei socialisti è indispensabile; affinché i socialisti siano disponibili, è necessario che nel PSI prevalgano le tendenze socialiste democratiche di tipo europeo su quelle legate alla tradizione massimalistica o influenzate dai comunisti. Noi preferiremmo che questo scontro all'interno del Partito socialista avvenisse alla luce del sole, idee contro idee, proposte contro proposte, programmi contro programmi. Ma se nel corso di questa battaglia vengono fuori anche denunce di malversazioni o altre malefatte, non possiamo che rallegrarcene. Con l'avvertenza, tuttavia, che se malversazioni o malefatte dovessero venire alla luce a carico di coloro che, per la linea politica che esprimono, sono più vicini alle nostre posizioni, non chiuderemmo gli occhi, come fanno oggi i nostri avversari, sull'immoralità degli amici, ma terremmo fede al principio enunciato, secondo il quale la moralità pubblica non è oggetto di baratto. /j I I I 3

AREA LAICA La diversità ' . e necessana, /,intesa è possibile Intervista con VALERIO ZANONE ONOREVOLE ZANONE, QUALI SONO SECONDO U:/ le differenze tra i partiti delle aree di democrazia laica e di democrazia socialista? E' possibile una maggiore intesa tra questi partiti? Per brevità rispondo, me ne scuso, in forma schematica: A - Per «area di democrazia laica» intendo l'area dei partiti che, quantunque differenti per tradizione e per tendenza, hanno in comune almeno, l'avversione contro le tendenze dogmatiche, confessionali, autoritarie e propugnano un sistema politico dialettico e non consociativo. B - L'area di democrazia laica comprende due famiglie politiche diverse, la democrazia liberale e la democrazia socialista; esse non devono smarrire, per la ricerca di un accordo, le proprie rispettive identità; devono sostenere ciascuna le proprie ragioni se vogliono seriamente intendere anche le ragioni dell'interlocutore; devono restare ciascuna fedele ai propri principi ma per usarli da occhiali e non da paraocchi: è utile avere principi fermi per guardare più lontano, non per lasciarsene accecare. C - Fra democrazia liberale e socialista la diversità è nell'aggettivo, ma il sostantivo è comune. Nel liberalismo c'è una spinta a salire, a guadagnare per sé e per tutti un grado più alto di libertà; nel socialismo c'è una tensione orizzontale a imprimere alla società civile caratteri di più giusta eguaglianza. Da un lato le libertà dei cittadini, dall'altro lato i diritti dei lavoratori. Ma è finita da molto tempo la contrapposizione fra questi due elementi. C'è fra liberali e socialisti il sostantivo comune della democrazia. Nel nome della democrazia, i socialisti sono tenuti a ricercare il nuovo assetto sociale nel rispetto delle regole del gioco, cioè in una cornice istituzionale garantista e pluralista; e i liberali sono tenuti a deporre ogni accezione oligarchica del significato di libertà, a intendere (come è pienamente possibile) la libertà di ciascuno come opportunità per tutti. Fra democrazia liberale e democrazia socialista la diversità è necessaria ma l'intesa è possibile. lo non ho mai fatto mistero di lavorare per questa intesa. Come giudica la freddezza del Partito repubblicano per una intesa di •area laica•? Lei ha guardato con attenzione e interesse al •nuovo corso• craxiano. Come giudica gli interventi degli ultimi mesi? In particolare ritiene si pos.sa parlatt di un riavvicinamento del PSI al PCI? Ho visto l'intervista di Spadolini sul «Leviatano» del 4 dicembre: era davvero indispensabile risalire tutto il corso della storia patria a ricercare, nelle vicende dell'organizzazione partitica, gli appigli per una puntigliosa scissione delle coscienze? Parrebbe che per Spadolini il partito di Giscard, che è una concentrazione mezzo liberale e mezzo conservatrice, abbia meriti progressisti perché si chiama «repubblicano» e non «liberale». A chi e a cosa può servire questa disputa filologica? Quanto alla svolta socialista compiuta da Craxi, non sono stato fra coloro che hanno gridato allo scandalo per l'incontro d'autunno fra comunisti e socialisti: non mi sembra scandaloso che i due grandi partiti della sinistra abbiano qualcosa da dirsi. Ma ieri, con la votazione per l'armamento atlantico sul teatro europeo, si è compiuta la prima scelta politica importante dell'ottava legislatura; e non mi pare che essa abbia segnato un ravvicinamento fra PSI e PCI, sul problema fondamentale della collocazione italiana nel quadro internazionale. In ogni caso, un'ipotetica intesa di area laica non sarebbe in grado di assumere il governo da sola. Rimarrebbe perciò il problema di una maggioranza di governo di cui faccia parte la DC. In che modo questa si distinguettbhe dalle esperientt governative di centro e di centro-sinistra, nelle quali la OC ha avuto un peso schiacciante? lo non penso a una intesa laica per governare contro la DC o senza la DC. Riconosco che, nell'arco del futuro prevedibile, la funzione di governo del partito democristiano è ineliminabile. Però, in oltre un terzo di secolo, il regime di governo diretto dai democristiani ha perduto stabilità, e la stabilità oggi può essere trovata solo alla condizione di un nuovo equilibrio, un equilibrio che riduca la sproporzione tra democratici cristiani e democratici laici. E' in atto, e non da ieri, una eclisse dell'egemonia democristiana. Il decadimento del carattere egemonico del potere democristiano si può datare almeno a partire dal risultato del referendum sul divorzio, e il contraccolpo elettorale provocato nel 1976 dal rigetto del «fattore K» ha spostato il processo nel tempo più che nella tendenza. Si avverte per molti segni che la prevalenza numerica democristiana è una forma di dominanza che va perdendo i connotati dell'egemonia. Dunque, il tempo per un accordo fra democratici cristiani e democratici laici più equilibrato e perciò più stabile, si avvicina: ma se ci si vuole sottrarre all'egemonia della DC, occorre costituire nell'area di democrazia laica un arco di idee e consensi comparabili alla latitudine dell'interclassismo democristiano: e questo si può fare soltanto con un accordo fra liberali e socialisti. Paradossalmente, l'indicazione delle affinità oossibili fra i partiti di democrazia laica sembra 18 DICEMBRE 1979

venire dall'esterno, dai due partiti a vocazione «popolare»: avra notato il parallelismo con cui il PCI respinge le «deviazioni socialdemocratiche» e una parte della DC esorcizza le «tentazioni liberaldemocratiche». Si parla di crisi di governo. La giudica imminente, o probabile nel prossimo futuro? Qual è il suo giudizio in proposito? Ritiene proponibile il •pentapartito• dopo il congresso DC? La crisi di governo in Italia è sempre imminente perché la DC è un Saturno che si rimangia, prima che crescano, i governi che mette al mondo. lo chiedo soltanto che la crisi, quando dovrà esserci, si apra nel parlamento, su motivazioni che consentano di individuare la successione possibile, affinché il 1980 non ripeta il destino del 1979che ha consumato oltre la metà dell'anno in condizioni di crisi governativa. Il pentapartito è difficile, lo si è visto a luglio. Ma arrivarci in qualche modo è necessario, se si vuole evitare il compromesso fra i due populismi e trovare la convergenza necessaria per una politica di legislatura. VALERIO ZANONE IL LEVIATANO UNIVERSJTA' ROSARIO ROMEO Di peggio • • in peggio UN ANNO FA, NEL NOVEMBRE - DICEMBRE 1978, le questioni universitarie stavano al centro dell'attenzione del Paese. La pretesa dei cosiddetti «precari» di entrare nei ruoli senza verifiche e senza concorso provocò una mobilitazione mai registrata prima dell'opinione pubblica e della cultura, di destra e di sinistra, contro la prepotenza degli interessi corporativi. la dequalificazione dell'università, il regresso intellettuale e scientifico che si minacciava al paese. Ne nacque il mediocre decreto Pedini, debole per molti aspetti e che tuttavia proponeva alcune soluzioni accettabili: ma, giunto alla Camera, bastò a farlo fallire l'ostruzionismo di due o tre demoproletari, insufflati da vecchi arnesi del sindacalismo scolastico che meriterebbero l'incriminazione per i danni recati alla scuola nazionale. Le assemblee legislative, e la Camera in particolare, si illustrarono poi con la immediata approvazione di un successivo decreto (il «Pedini 2--). che istit117innalinava le più deplorevoli novità della recente legislazione universitaria, estendendo la stabilizzazione a tutti coloro che avessero maturato un triennio di incarico. Adesso l'opinione pubblica guarda con giustificata preoccupazione all'Iran, alle forniture petrolifere, ai nuovi scandali, agli euromissili, alla legge liberticida sull'editoria: e non ha tempo né voglia di pensare all'università. Tanto di guadagnato per le bande dei saccheggiatori in agguato. pronte a strappare altri brani dal corpo mutilato dell'istruzione superiore profittando della disattenzione universale, già mostratasi così vantaggiosa in passato. Ciò che accade è presto detto. Un ministro liberale del gabinetto Cossiga, alla scadenza della proroga concessa lo scorso anno ai precari, presenta un disegno di legge con alcune norme di buon senso, e chiede al parlamento una delega che autorizzi il governo a provvedere al resto. Ma alla commissione istruzione della Camera è in attesa la solita coorte di insegnanti di scuola media e di intellettuali di mezza tacca, reduci da ripetuti fallimenti universitari; mentre, nei corridoi, si affolla la corte dei miracoli dei veri o presunti rappresentanti sindacali della scuola. Gli interventi di costoro sono registrati nelle modifiche al progetto governativo che si leggono nel testo del disegno di legge proposto dalla commissione. Fra le tante perle, ci limiteremo alle seguenti. La commissione vuole che la legge imponga a tutti i docenti universitari un identico orario di insegnamento, in misura non superiore a tre ore al giorno. Il limite superiore verrà naturalmente assunto come livello normale, non essendovi ragioni plausibili per adottarne uno inferiore a quello indicato dalla legge. La nuova università italiana dovrebbe dunque essere un sistema nel quale 30.000 professori ufficiali (ordinari e associati) e 15.000 ricercatori, per un totale di 45.000 docenti (che raggiungerà i 49-50.000 nei 5

primi anni di applicazione della legge). faranno lezione per tre ore al giorno. Ora, un orario unico per tutti i livelli è in aperta contraddizione con la strullura articolata che è propria di ogni tipo di insegnamento universitario. A parte le discipline sperimentali, nelle quali è anche più evidente la distanza fra la lezione ex-cathedra e l'esercitazione di laboratorio, anche negli studi letlerari tenere una lezione su Catullo è cosa ben diversa dal fare una esercitazione di latino scri110, con relativa versione e correzione. La prima suppone la mobilitazione di una somma di conoscenze filologiche e le11erarie allraverso un impegnativo lavoro (e tempo) di preparazione; la seconda richiede essenzialmente l'applicazione di tecniche istituzionalmente già possedute. L'orario uguale di lavoro per i professori ufficiali. che hanno la responsabilità di un cor o di insegnamento, e per i loro collaboratori. normalmente chiamati solo a un lavoro di applicazione e di esercitazione. significa dunque che ai professori si imporrà un impegno più gravoso, allontanando dalla ricerca proprio coloro che nella ricerca avevano mostralo di sapere raggiungere risultati di maggiore rilievo. . Ma una volta che tale orario venga adollato (e scontalo l'effello dissuasivo che esso avrà su tulli i migliori, deviandoli verso istituti e centri di ricerca meno dispersivi delle loro energie) occorre aver chiaro che esso richiede una università di tipo interamente diverso. Trentamila professori ufficiali a fronte di novecentomila studenti significa un rapporto teorico docenti-studenti di I :30, che di fatto nelle facoltà più frequentate si stabilizzerà su I: 15o I :20 ma in altre si alzerà a livelli di I :6 o I:9. E soprattutto, una allività didattica commisurata a orari individuali sei volte più elevati di quelli attuali (che prevedono, come era nella gran parte delle università del mondo, tre ore di lezione la settimana). con un numero di corsi più che raddoppiato, può aver senso solo se si articolerà in una serie di iniziative e di modalità di insegnamento che necessariamente richiedono la presenza e la partecipazione attiva degli studenti. Esercitazioni e lavori scrilli potranno essere didallicamente utili, accanto a corsi e seminari: ma fino a quando la frequenza non sarà obbligatoria essi verranno disertati dagli studenti che non amino sottoporsi a queste forme più intensive di apprendimento. Che senso ha dunque imporre una mole di attività didallica tanto accresciuta se non si ha il coraggio e la coerenza di introdurre anche l'obbligo di frequenza per gli studenti? Se questo si facesse l'università assumerebbe la fisionomia di un 6 superliceo, e può darsi che in tal modo riuscirebbe anche a funzionare meglio come università di massa. Ma preliminarmente bisognerebbe farla finita con la mitologia dello studente lavoratore, del dirillo allo studio. delle centocinquanta ore ecc. Non pare che nessuno sia disposto all'impresa: ma finché nessuno è disposto. imposizioni come questl' hanno solo un carallere vessatorio e punitivo ai danni dei livelli più elevati della cultura nazionale. Altra perla. lo speciale articolo sulla sperimentazione. Se c'è una cosa cli cui le nostre università non hanno bisogno. specie in un momento come questo. di gravissima carenza di autorità a tulli i livelli, è proprio la sperimentazione, che nell'ultimo decennio è stata il veicolo dei peggiori abusi e degli egoismi meno giustificabili: a non parlare delle inaudite strumentazioni politiche. Ma la sperimentazione consentirà di far rivivere il mitico dipartimento, di allribuire la chiamata dei professori ordinari ad assemblee aperte a tulio il personale, di affidare la direzione degli istituti a docenti incaricati o associati. Riprende. insomma. la marcia verso l'assemblearismo controllato da partiti e sindacati. a maggior gloria di coloro che non conoscono vie migliori per dare la scalata all'università. Nessuna indagine. naturalmente, sulla compatibilità dei nuovi organici del personale docente con la disponibilità di aule e allrezzature, e tanto meno su quella di studiosi qualificati nei vari seuori: sola vera preoccupazione quella di salvaguardare gli ignoranti, compresi gli stabilizzali che non supereranno le prove di idoneità, ai quali è comunque assicurato un decennio di permanenza nelle funzioni auuali, «con lulli i diritti e le possibilità loro riservati dall'ordinamento tuttora vigente~. Col che si annulla. di fatto, il valore delle prove, perché nessuno potr.l allontanare i bocciati dai loro posti. quando saranno trascorsi altri dieci anni. Si dice che il ministro Valitulli voglia dimellersi, e sia stato distolto finora solo dalle pressioni del suo partito. Sono questioni in cui non entriamo. ma che bastano a mostrare di quale entità siano le distorsioni introdotte nel disegno di legge originario. E' un fallo che sinora la disallenzione dei più è servita egregiamente alle minoranze prevaricatrici ed ai profittatori. La Camera inizierà la discussione della legge nei prossimi giorni. Speriamo che ciò valga a scuotere i molti che hanno sonnecchiato finora. Fino al 31 dicembre l'abbonamento al Leviatano è più conveniente Chi si abbona entro il 31 dicembre 1979 paga solo 10.000 lire l'abbonamento fino al 31 dicembre 1980 Conto corrente postale n. 58761008 Intestato a «Il Leviatano» via dell'Arco di Parma 13 - 00186 ROMA /8 DICEMBRE 1979

BLOCKNOT~S Di.oci scampi! AMENDOL.4, IL «DIVERSO•, È TORNATO A scrivere su «Rinascita», con parole talmente chiare che si stenta a credere che possano essere vere. In questa palude bizantina in cui ci tocca vivere, quest'uomo è troppo ruvido ed esplicito per non essere un mostro. Abituati ormai alla prosa drogata degli ideologi di partito, restiamo di sasso a leggere frasi come queste: • Molti italiani gradiscono il parlare franco, fuori del gergo incomprensibile degli addelli ai lavori. Vogliono un linguaggio schiello, che non dissimuli la realtà, per quanto ingrata essa sia e che si proponga di dire la verità o, pitì modestamente, quello che si ritiene essere la verità. Gli italiani sono sllljì di menzogne e di ipocrisie, di mezze verità, di aggiustamenti parziali». Qui c'è _ Dio ci scampi _ puzzo di illuminismo; quando poi Amendola torna a parlare del partito del/' inflazione e propone come unico rimedio efficace un aumento della produllività, è evidente che bisogna subito chiamare don Franco Rodano perché, con qualche appropriato esorcismo, ci liberi immediatamente dall'odore di zolfo del paleocapitalismo e della libera/democrazia. Amendola, il cui ultimo intervento è peraltro in tono minore rispello al precedente, arriva a dire cose che certamente faranno torcere le viscere di molte anime belle della sinistra italiana: che, ad esempio, il PCI non può, come la DC, seguire «la pratica permissiva ed assistenziale di accontentare tu/li»; oppure (orribile a udirsi!) che in una società sana conta più la maggioranza degli «uomini onesti» di «una piccola minoranza estremista o radicale, che ha coperto e copre culturalmente il terrorismo». Noi che passiamo lunghi periodi in provincia, alla periferia di Bisanzio, queste cose le sentiamo ripetere continuamente da tanti ci/ladini onesti e per nulla fascisti. Ma cosa volete che conti per gli ultraprogressisti rotocalchi e quotidiani di Bisanzio l'opinione del signor Rossi? Meglio intervistare, un giorno sì e uno no, Toni Negri e Franco Piperno. Certo, il Partito comunista non ,/o si può confondere con alcuni intellelluali esibizionisti e confusionari per i quali occorrerebbe possedere il terribile scherno di un Antonio Gramsci; il Partito comunista è una grande forza politica che ha saputo dimostrare, in diverse occasioni, tu/lo il suo senso di responsabilità. Ma allora perché_ come fa Gerardo Chiaromonte nella sua risposta ad Amendola _ continua a barcamenarsi tra riconoscimenti alle tesi politicoeconomiche del leader napoletano e ammiccamenti compiaciuti alla politica sempre più corporativa dei sindacati? Che vuol dire tornare a parlare di «una diversa e più avanzata organizzazione del lavoro», senza poi chiarire in concreto di che si trai/a? li PCI chiede di essere associato al governo per liberare l'Italia dalla verminaia di para.uiti che la stanno divorando e rime//ere cosi in sesto un sistema economico che si è inceppato. Tullo questo _ fuori di Bisanzio_ si chiama riformismo liberale e socialista. Se ne rendono conto i comunisti? Se sì, perché continuano a menare il can per l'aia? Paolo Bonetti IL LEVIATANO Unaprova di maturità T VITO SOMMATO IL DIBATTITO CHE HA PREceduto il voto della Camera dei deputati sugli euromissili, anche se annebbiato dalla tanto miserabile quanto provinciale nuvolaglia petrolifera, ha mostrato che ogni forza politica ha recitato la propria parte con coerenza. I partiti tradizionalmente favorevoli alla solidarietà occidentale hanno infatti evitato le ambiguità in cui potevano facilmente cadere, sotto la pressione _dello spettro della politica di «unità nazionale». Mentre il PSI, nella sua stragrande maggioranza, ha offerto una prova di maturità mostrando di avere ormai superato le sterili tentazioni neutralistiche. Anche i comunisti, dopotutto, hanno recitato la loro parte lodevolmente. Hanno votato contro, come è giusto, rendendo le loro brave dichiarazioni contro «la corsa agli armamenti nucleari» (speriamo di entrambe le superpotenze), contestando infine sia pure con poca convinzione, la superiorità militare sovietica in Europa. Ciò detto nessuno. ovviamente. può dichiararsi felice ed entusiasta per l'aumento dello stock di armi atomiche installate in Italia e in Europa. Ma chiunque abbia a cuore la credibilità di questo Paese di fronte alle proprie alleanze. non può che approvare il voto della Camera dei deputati. Ciò non vuol dire che si debba far passare sotto silenzio la mistificante tesi secondo la quale, con il voto favorevole agli euromissili, l'Italia ha mostrato di essere «il Paese più a destra dello schieramento più conforme all'ortodossia atlantica, nonostante che fra tutti gli altri sia il solo in cui esista un partito comunista forte di un terzo dei suffragi popolari• («La Repubblica», 7/ 12). Questa frase da sola prova quanto sia grossolano e pervicace il tentativo dei fan del compromesso storico di tenere gli italiani sotto una permanente prevaricazione politica e psicologica. Che significa quel richiamo al 30% dei voti al PCI. Che tutti in questo paese dovrcbhero genuflettersi dinnanzi alle posizioni comuniste? O che la forza del PCI dovrebbe indurre l'Italia a incrinare la sua solidarietà con i partner atlantici? Le risposte a questi interrogativi le lasciamo agli arzigogoli della pia congregazione del compromesso storico. Tuttavia non si può non contestare la tesi secondo la quale, proprio in virtù della possanza del suo partito comunista, «non sarebbe stato impossibile e disdicevole all'Italia di arrivare alla riunione di Bruxelles della NATO sotto un'autonoma posizione, salvo a verificarla in quella sede con gli altri membri dell'alleanza». A parte il fatto che in una tale riunione (come in qualsiasi riunione internazionale del resto), «autonome posizioni» si chiamano dissensi, in questo caso le «autonome posizioni» avrebbero avuto, nel migliore dei casi, l'unico risultato di produrre il sospetto. Mentre le «verifiche» fanno parte del lessico politico nazionale ma nella politica internazionale non hanno alcun significato. Dopo tutto, ci si può spiegare quale posizione autonoma, rispetto agli altri partner della NATO, può mai assumere il nostro Paese, privo com'è, come tutti vedono e sanno, di qualsiasi alternativa alle sue attuali alleanze difensive? O che forse si suggerisce di far rifugiare l'Italia dietro una qualche gonnella in un nuovo, inedito, e vorticoso giro di valzer? Gianni Finocchiaro 7

LIBERALSOCIALISMO Attualità di Rosse/li Intervista con ALDO GAROSCI Professor Ganiscl, com'era Carlo Rosselli? Rosselli è stato l'uomo che, più di tutti gli altri eh 'io ho conosciuto, ha saputo essere insieme compagno e capo. Aveva il naturale talento di comportarsi da pari e, nello stesso tempo, di emergere. E le sue Idee? Il Rosselli teorico, per quanto ebbe il tempo di produrre. è consegnato in Socialismo liherale, che è un tentativo di fondere insieme l'ispir.:12ione liberale e l'ispirazione socialista: un tentativo che gli valse molte critiche, tra cui quella di Benedetto Croce. Si sa quanto siadifficilefondere socialismo e libertà. Rosselli da un lato criticava il fatalismo massimalista, il determinismo, il classismo rigido. In questo il suo pensiero deriva da Bernstein: Socialismo liberale è forse l'unica storia, sommaria ma molto ben delineata, del revisionismo e dei suoi effetti sul socialismo italiano. D'altra parte però, appunto perché antideterminista, Rosselli criticava i riformisti in nome di una lotta al fascismo, che, secondo lui, doveva essere fatta su fondamenti etici. Si parla di volontarismo di Rosselli; io direi che c'è in lui dinamismo moderno e libertarismo. Rosselli mantenne sempre queste posizioni? Rosselli era un politico. Anzi, una delle sue qualità fondamentali è la congiunzione intima ' fra l'intransigenza più assoluta nei confronti del regime, con cui non accettò mai nessun compromesso, e nello stesso tempo la più grande larghezza di concezione quanto alle possibilità TRENTIN, MARIA ROSSELIJ, SALVEM!Nl. NELLO E CARLO ROSSELLI che la situazione offriva: era quindi pronto a modificare anche le sue posizioni. Come nacque dunque •Giustizia e libertà•? Nacque riempiendo, in un certo senso, .un vuoto d'iniziativa antifascista delle altre organizzazioni. Si espande rapidamente anche perché nasce in un momento di stanchezza del movimento comunista. Rosselli non ne è il solo artefice. Egli era l'uomo più capace, ma non il solo. E quali furono I rapporti con le altre organizzazioni dell'antifascismo? Rosselli accettava come alleati tutti quelli che si battevano contro il fascismo. Era semmai il Partito comunista che non era disposto ad allearsi con «Giustizia e libertà», perché, in epoca di «socialfascismo», la considerava il nemico più pericoloso. Rosselli fu trattato dai comunisti ancora più violentemente dei socialisti. Togliatti scrisse che le sue concezioni erano fasciste. L'atteggiamento comunista cambiò solo dopo il 1934, quando venne il fronte popolare. Comunisti e socialisti aprirono il fronte a «Giustizia e libertà». Ma, per loro, al centro del fronte doveva essere l'alleanza di classe. Ora, mentre NIITI, TARCHIANI, NENNI, FACCHINELLI, CARLO ROSSELLI 8 /8 DICEMBRE /979

CARLOROSSELLIIN SPAGNA Rosselli condivideva l'idea di un accordo generale antifascista, era contro l'esistenza di un nucleo interno, che controllasse un nucleo più vasto e così via, in un gioco di scatole cinesi; inoltre Rosselli voleva porre al fronte un limite a destra. Comunisti e socialisti non vollero saperne. Per questo «Giustizia e libertà», nonostante si collaborasse, non aderì all'accordo di fronte popolare. E i rapporti con i cattolici? Dobbiamo dire francamente di avere sottovalutato del tutto i cattolici. C'era in noi anzi un'esasperazione anticlericale: poiché i cattolici erano alleati, erano anzi uno strumento del fascismo, noi pensavamo che, alla caduta del regime. essi non avrebbero avuto un ruolo politico di rilievo. Ciò non toglie che fossero buoni i rapporti con i pochi emigrati httolici: Donati, geniale ma un po' pazzo; Ferrari, forte intelligente colto; Sturzo, che prese posizioni coraggiose, per esempio, durante la guerra di Spagna. Non dimentichiamo inoltre che gli ultimi anni in cui si trovò ad agire Rosselli erano anche gli anni in cui, accanto al fascismo vero e proprio, c'era come un fascismo cattolico, bianco, come quello di Dollfuss, o di Salazar o anche di certi aspetti del franchismo. Poi i cattolici non erano presenti nell'antifascismo militante. In Spagna, per esempio, erano soprattutto dall'altra parte. Sì. Invece in Spagna noi volevamo batterci contro il fascismo. Ci furono tanti italiani che partirono per la Spagna, prima ancora che le organizzazioni antifasciste lanciassero questa parola d'ordine. «Giustizia e libertà», d'accordo con gli anarchici, costituì la prima colonna organizzata di italiani. Creammo così un fatto compiuto, che poi ebbe forse un peso addirittura nel detenninare lo stesso intervento staliniano. I comunisti, per isolare Rosselli, cercarono di mettergli contro gli anarchici; dall'altro lato fecero un accordo di fronte popolare con socialisti IL LEVIATANO e repubblicani, per fonnare una legione italiana agli ordini di Pacciardi, come fu fatto. Questo accordo durò per circa un anno. La linea di Rosselli era quella di portare la lotta in Italia. Tutto questo appare nel libro Oggi in Spagna, domani in Italia, che è una raccolta di lettere agli amici curata da Franco Venturi, con una prefazione di Salvemini. La collaborazione con i comunisti portò Rosselli a rompere con I trotskisti, gli anarchici, i poumisti spagnoli? No. Rosselli era ben consapevole della realtà staliniana. Andò perfino da Trotskij, al quale però del liberalismo di Rosselli non importava nulla. Ma con i trotskisti e con altri gruppi noi avemmo sempre contatti e fummo sempre solidali. Che cosa è ancora attuale di Rosselli? Molte delle idee di Rossetti sono passate onnai nei fatti compiuti e realizzati, anzitutto la libertà e la democrazia. Chi vuole ispirarsi a GAROSCIAIFUNERALIDEIROSSELLI 9

I.. A ~ T I F.-\ ~ L I ~ I L ITAl.11:~ ~A~I.() l~(>~~l:Ll.l ET S(>~ F~l:~E ASSASSl~l:S 1KESUt: R.\(;~cu.1-:s.nE-l.'Ol{\I '"' .......... "' lii ftt .,.._..,._ .. , N 1.11111, r. Il lflr bffW .. - ...... r"11fHr. rlllft 11 -- 1r1111tt •·• ,... • .......,.. ,I .......... iil-;lrn ,I, là, I,,,,. nuto ...... , .... , ,_,,. ... , ,.,.,..,.,.,,., '"''""'"" "'"'"""' .-; • ••Nlil ,,.. r ,plm,i. · I Rosselli dovrebbe rifarsi più al suo spirito che alle sue concrete proposte. Se noi volessimo realizzare, per esempio, questa famosa alleanza, di cui si parla, delle forze laiche e socialiste, dovremmo forse imparare da Rosselli l'importanza dell'elemento ideale e morale. trascurato invece fino in tempi recentissimi. Nel centro-sinistra non c'è stato. per esempio, niente di tutto questo: non ci fu nessun rinnovamento teorico, nessuna attenzione alle idee nuove. Un altro insegnamento di Rosselli è di non rassegnarsi all'inevitabile o a quello che si crede tale. Poi c'è il rapporto tra liberalismo e socialismo, che comincia prima di Rosselli. Il socialismo comporta rispetto al comunismo una visione più articolata e varia dei rapporti sociali: il socialismo è sempre stato un po' liberale. 10 Infine c'è il fattore morale. I comunisti hanno il peso che hanno per i meriti acquisti nel periodo antifascista; per aver giocato con considerevole abilità nel periodo della democrazia centrista; per aver scardinato il centro-sinistra; per non aver avuto paura di fare appello a nuove forze sociali, anche se a volte incontrollabili. Ma hanno una grande forza anche perché, nell'insieme - salvo qualche caso - la classe politica comunista non presenta quegli aspetti di corruzione che invece sono presenti nella classe politica democratica, anche laica. L'idea che la società moderna deve andare incontro a bisogni profondi di eguaglianza, di pari dignità sociale tra gli uomini, di istituzioni libere, per affermarsi ha bisogna di una organizzazione. Siamo capaci di difendere queste idee creando un'organizzazione adeguata? I giovani soprattutto ne sono capaci? Per uomini di una certa età è facile difendere delle idee, anche restarvi fedeli, perché in fondo si sacrifica poco; ma ai giovani si tratta di chiedere di mettersi su una strada difficile, i cui sbocchi sono incerti. Una strada che forse non conduce alla morte, ma sicuramente richiede sacrifici, non certo offre vantaggi immediati. Chiedere ai giovani di mettersi su una strada del genere equivale a chiedere loro qualcosa di straordinario. RosseHi è l'esempio di un militante per cui è importantissima l'onestà intellettuale. Rosselli non volle mai bruciare quel granello di incenso che avrebbe potuto bruciare sull'altare del marxismo per diventare il capo del partito socialista. Rosselli non era né Marx né Khomeini, non era un fondatore di sette religiose. Per questo non si è trasformato in un facile mito. Ma proprio per questo, per essere stato un uomo, e un uomo profondamente onesto, fino al sacrificio deila propria vita, Rosselli è un esempio che vale la pena di imitare. GIUSTIZIA E LIBERT A' MOYIMP.NTO IIM>I.UZIONAIUOANTIFMCISTA Al LAVORATORIITALIANI PllaoMe-■lot9St uwo..woal .GIUITIZI" I UIIUTA··• ... la.., r-.-.._,. ,.. ......, ... _.. r-11o .... ,..__, _ •" 41N: .eoa.r.,-1 ~,..,.,&e..o tttNMe!• ~ Ct. ~.._. ____.. critlc.-., .tt.Mere ,.......,.._•.._ fonM 4' :r: ~~~=~~~'::i:'.:',;"':·~~:!!":: treai•,. 41 un ,...._ LA rbu,.,,.,ion. ,-, nnl noti of,e rhe un ,.nico 111.. 4,>: l'inaurfttaioft« e In !'lcl•"lr-n, rnwt•t~. · La ,.Nrie 4·~4inc 4i 1u•1tn Pri"10 M 1j{(liò d•v·•....,..: I M:GLIOR.I AL LCRO PO.'ITO. Ot,SI OfY:C~~;,.. OGNI RION.é. OC.NI COMUNf. AIIIIIANO I LOllO NUCL~I CAP"CI E PRONTI "LL"AZIONC. LA IUVOLUZIONl Oll'fNDE DA NOI. All"oriuol\te Hro,-o M ,.,.,eel\O J,tt.ture naìl\de • ffliOMlèbl In fup. NOft i quot. l"ora no.tr• f W~·,·u•tori. in re,U ! Vi• i umef('i, I ,....tONni • I MCari ! V ... uentJ <tUllf' ,, •-'8",. 4'lt•lie h•nno inguo•to e co,t,ulta fortane • potenu ! • <, USTIZI" l LIIIUlTA" • Al" IL PRO~ UNICO D!LL1' lllVOLUZIONE ANTll'"3Cl~TA. ISSOROEREI RISOROERE I IL C.,mit•toC<n,,,.:" ti.i • Gw,Uia • Lìbt11~ . 18 DICEMBRE 1979

I FISH-EYE Gli e"ori sono sempretecnici UN RECENTE DISCORSO DI BREZNEV HA ATtratto l'attenzione dei commentatori: un discorso molto duro, pieno di critiche fatte con nome e cognome a una serie di ministri (per le ferrovie, l'industria pesante, l'industria alimentare, l'energia elettrica, ecc.) indicati come i responsabili del marasma economico, delle difficoltà negli approvvigionamenti, del declino della già bassa produttività. E' stato un discorso che ha messo sotto accusa senza mezzi termini l'intera classe dirigente degli specialisti, dei manager. dei tecnici sovietici. Molti commentatori hanno interpretato queste critiche come un fatto nuovo nel costume politico sovietico, del quale è difficile per il momento indicare esattamente la portata e gli sviluppi. Ci permettiamo di dubitare della novità del/' avvenimento. Scorrendo a volo d'uccello la storia sovietica dalla rivoluzione a of?gi. vi è infatti solo l'imbarazzo della scelta per trovare infiniti precedenti al discorso di Breznev e al metodo che vi è adottato. Tutta l'industrializzazione forzata del periodo staliniano, per fare un esempio, è infatti costellata di denuncie di sabotaggi della produzione realizzati dai tecnici del 'epoca; oggi alla parola « sabotaggio» si è sostituita quella di «inefficienza», ma il risultato non cambia. Lo stesso è avvenuto sotto Chruséev con le cosiddette «terre vergini». La storia sovietica è un susseguirsi di errori tecnici, ai quali non si accompagnano mai errori politici, perché questi ultimi dovrebbero chiamare in causa il partito. Nel partito possono annidarsi singoli traditori, ma la sua linea politica è sempre giusta; l'errore è dei tecnici che sbagliano ad attuarla. Come i sovrani assoluti del passato, il partito, che pure controlla tutto e cui tutto fa capo, non risponde mai di nulla. Un discorso assolutamente tradizionale e prevedibile quindi, quello di Breznev, vecchio quanto il sistema. Un discorso che conferma tuttavia dove si trova sempre e per intero il centro del potere sovietico. Senzafunerale LA NOTTE DEL 2 DICEMBRE È MORTO A PRAga Frantisek Kriegel, una delle figure più note della «Primavera di Praga» e del movimento di opposizione sviluppatosi in Cecoslovacchia dopo l'occupazione sovietica. Kriegel era nato nel 1908 e si era iscritto al partito nel 1924. Come medico aveva prestato la sua attività, oltre che in patria. in Spagna durante la guerra civile, in India, in Cina e a Cuba. Viceministro della sanità dal 1948, era poi caduto in disgrazia durante le persecuzioni stai:niste. Durante la «Primavera» venne nominato Presidente del Fronte Nazionale. Portato a Mosca assieme agli altri dirigenti cecoslovacchi durante i drammatici giorni IL LEVIATANO dell'invasione sovietica, Kriegel si rifiutò di firmare gli accordi di Mosca, che sancivano la presenza delle truppe del Patto di Varsavia sul territorio cecoslovacco. Fu quindi tra i primi ad essere espulso dal partito nell'aprile del 1969, al momento del cambio della guardia tra Husak e Dubcek. Costretto anche ad abbandonare la professione medica, nel 1977 Kriegel fu uno dei promotori di 'Charta 77' e continuò a svolgere un ruolo attivo nel movimento per la difesa dei diritti umani e civili. Sottoposto a continue minacce e restrizioni della libertà, al punto che era diventato quasi impossibile fargli visita, Kriegel aveva subìto un primo infarto già nel settembre scorso. Nelle difficili condizioni in cui viveva, il nuovo attacco cardiaco gli è stato fatale. Non vi è stata alcuna cerimonia funebre per Kriegel, in quanto le autorità si sono rifiutate di discutere la possibilità di concedere qualsiasi tipo di autorizzazione. È caduto il muro PER UNA COINCIDENZA, IN QUESTI GIORNI È stato presentato in Italia il rapporto di Amnesty fnternational sul Gulag cinese e, contemporaneamente, è giunta da Pechino la notizia che il muro di Xidan (o muro della democrazia) aveva cessato d1 «spargere veleno», come si erano espresse le autorità cinesi ultimamente. Un fanno fa, il 27 novembre /978, Deng Xiaoping aveva definito il muro della democrazia, •una cosa huona». E da allora si erano moltiplicate le denunce sul muro attraverso i dazebao · denunce spesso commissionate e attraverso le qu~li si sviluppava la lotta al vertice cinese; denunce altre volte provocatorie, affisse allo scopo di giustificare qualche repressione; ma anche denunce spontanee che mettevano in discussione non solo la «banda dei quattro», ma le basi stesse del sistema. Come durante la «Rivoluzione culturale» le guardie rosse, mobilitate da Mao contro le strutture del partito, dovettero poi essere a loro volta represse (una volta raggiunti gli scopi) perché erano sfuggite al controllo; così oggi gli «spazi di democrazia» aperti nella lotta alla «banda dei quattro» devono rapidamente essere chiusi perché il ruscello non diventi un fiume in piena. Difficile dire se la decisione di chiudere il muro, presa dal Comitato Municipale di Pechino, rappresenti 1111 episodio della lotta interna o ne segni piuttosto lafine e la consacrazione di un equilibrio definito. Certo è che alle «Quattro modernizzazione» del nuovo corso è ormai evideme che non ve ne saranno da aggiungere altre nella struttura del sistema politico. Come si legge nell'ultimo manifesto appeso al muro, al vertice del partito «c'è gente che ritiene che il muro sia una concessione al popolo, da revocare se il popolo non si comporta bene». a.g.r. ii] Il

SPADOLINI DOMENICO SETTEMBRINI I pompieri di Viggiù CONCLUSA CON L'ELEZIONE DI SPADOlini la fase più delicata del post-La Malfa, che cosa vuole ora il PRI? A leggere l'intervista che il nuovo segretario ha rilasciato al «Leviatano», si direbbe che i repubblicani non abbiano ancora scelto, si rifiutino anzi di scegliere. Permane immutata, e non potrebbe essere diversamente, la volontà che animò fino alla fine il vecchio leader di «mantenere a tutti i costi la società italiana nell'arèa occidentale, come area di alleanze e di vita». Un partito moderno e pragmatico, che non voglia cioè ridursi alla sterilità politica di un circolo di intellettuali, seppur prestigiosi, o di sparsi gruppi di militanti di base, motivati ormai esclusivamente dai ricordi _di un passato seppure illustre, dovrebbe tuttavia qualificarsi per i modi con cui pensa di calare nella realtà i suoi valori e, quando la forza elettorale sia nettamente insufficiente, delle alleanze che ritiene all'uopo omogenee. Su tutto questo si cercherebbe invano nelle parole di Spadolini una risposta che non si presti a contrastanti interpretazioni. Dire che è impossibile «ripetere meccanicamente le alleanze» di solidarietà nazionale che caratterizzarono la passata legislatura, non impegna infatti a nulla, a meno che non sottintenda proprio l'intenzione di richiamare in vita la vecchia formula, cambiandole semplicemente gli accessori o addirittura il solo nome. Certo, è vero che «nulla è mai uguale nella storia», come si premura di ricordarci Spadolini. Ciò vale però per tutti gli eventi, per la maggioranza di solidarietà nazionale come per il centro-sinistra. E siccome delle maggioranze del passato solo queste due sono numericamente possibili nell'attuale legislatura, la sfinge dovrebbe pur dirci a quale di esse somiglia di più quella che il PRI mira oggi a costituire per portare il Paese fuori dalla crisi che lo dilania. E invece Spadolini riesce a tirar fuori dal cappello uno strano coniglio, né maschio né femmina, ma neppure ermafrodito. Niente «chiusura al PCI», e quindi niente maggioranza senza il PCI, perché, «ammesso che sia possibile», non basterebbe ad assicurare «un coinvolgimento di forze», adeguato al «superamento della crisi». Il patto sociale esteso fino al PCI dovrebbe tuttavia essere «compatibile con ruoli diversi e distanti nella collocazione parlamentare». 12 . L'unica indicazione che da questo rebus si può ricavare con molta buona volontà è che il PRI chiede al PCI di appoggiare con l'astensione - l'unica collocazione parlamentare che, senza essere contrapposta, soddisfi la condizione di essere sufficientemente «diversa e distante» dalla maggioranza - un governo dal quale vedrebbe in compenso esclusi i socialdemocratici, la cui esistenza nel corso dell'intervista Spadolini neppure rammenta, e i liberali, ricordati solo per sottolineare che non sarebbero mai esistiti. Ma è serio tutto ciò? Cominciamo dal PCI. Che senso ha offrire il ritorno all'astensione a un partito che ha fatto cadere prematuramente una legislatura, quando già era membro influente della maggioranza, perché voleva invece entrare a pieno titolo nel governo? Perché mai d'altra parte ricorrere a tanti contorcimenti per negare l'ingresso nel governo al PCI, facendo vista del contrario, qualora questo partito fosse davvero intenzionato a secondare il PRI nello sforzo di ancorare più saldamente l'Italia al modo di vita e alle istituzioni politiche dell'Occidente? Insistendo sulla necessità di coinvolgere nell'opera di restaurazione democratica le forze sociali che si riconoscono nel PCI, Spadolini elude la questione di fondo, che è quella se il PCI sia idoneo, vale a dire intenzionato, oppure no, a svolgere il ruolo assegnatogli nel canovaccio repubblicano. Il criterio per giudicare di questa ideoneità resta quello posto una volta per tutte da La Malfa nel 1956: «Liberalizzate - dicono gli intellettuali - il PCI. E' giusto: ma per fame un altro partito. cioè per sopprimere nella sua essenza storicamente conliguratasi il Partito comunista, per uccidere il partito di Togliatti». Tra il 1976 e il 1978, La Malfa giunse effettivamente a credere che l'ohiettivo da lui posto nel 1956 fosse stato raggiunto. e manovrò in conseguenza per portare il PCI nel governo, superando gradualmente le resistenze della DC. Il discorso di Berlinguer a Genova nel settembre dell'anno scorso risvegliò però duramente il leader repubblicano dalle illusioni ingenuamente coltivate. E da allora fino alla morte La Malfa cercò conseguentemente di chiudere di nuovo al PCI l'area della maggioranza, pur badando a salvare il salvabile del clima di rispetto reciproco creatosi tra repubblicani e comunisti per portare avanti il dialogo nella società civile. Spadolini ha evidentemente tutto il diritto di riportare il PRI a cullarsi nelle illusioni lamalfiane del 1976-78, se così crede opportuno. Allora però deve dire chiaramente a sé e al paese che in fondo a quella strada c'è l'ingresso del PCI nel governo. Anzi, poiché «nulla è mai eguale nella storia», questa volta l'accesso dei comunisti nella stanza dei bottoni non sta al termine ma all'inizio dell'operazione. Ma se la sente Spadolini di interpretare l'ultimo comitato centrale del PCI, con il discorso così radicalmente antilamalfiano di Berlinguer, come la celebrazione della morte del partito di Togliatti? 18 DICEMBRE'/979

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