Il Leviatano - anno I - n. 6 - 11 dicembre 1979

6 500 lire ILLEVIATANO settimanaledi commentopolitico ----♦■----- Non c'è sulla Terra chi sia superiore al Leviatano, il quale è fauo per non avere paura: egli guarda in faccia L'arte imita quel razionale e più eccellente laooro della natura che è l'uomo. Poiché con l'arte è creato quel gran Uviatano, chiamato Stmo (in latino civit3sJ, il quale non è che un uomo artificiale, benché di maggiore statura e forza del naturale, per la protezione e difesa del quale fu concepito. tulio ciò che è eccelso, egli è r, su tulle le creature più superbe. (Giobbe, XLI. 25-26) li grande Leviatano è quell'unica creatura al mondo che dovril restare senza ritraili sino alla fine. Questo Leviatano ci scende addosso. dibattendosi dalle fonti dell'Eternità. (H. Melvillc. Moby Dick, capp. LV. CV) in questo numero: (T. Hobbcs,. Leviatano, Introduzione/ E quanu nature poe.1icht non ho incontrato f4/fatto? F: quanu ne hai strangolate lfl nel corso di questi decenni, maledetto Leviatano? (A. Solienicyn. Arcipelago Gulag, V. S) Pietro Longo propone l'alleanza laica «Il Leviatano» sul generale Corsini e il sindacato di polizia Interviste ai promotori del sindacato: generale Felsani e questore Fichera Crisafulli sulla riforma costituzionale Settembrini sulla «terza via» per l 'Urss Petriccione su chimica e banche Mezutti sulla dipendenza di Cuba da Mosca Albanese sull'aggressività degli Stati totalitari Collaboratori: GIOVANNI ALDOBRANDINI. GIUSEPPE ARE. DOMENICO BARTOLI. GIUSEPPE BEDESCHI. ENZO BETTIZA, PAOLO BONETTI, LUCIANO CAFAGNA, VENERIO CATTANI, LUCIO COLLETTI. VEZIO CRISAFULLI. RENZO DE FELICE •. PAOLO DEMARTIS, CELSO DESTEFANIS, SIRIO DI GIUUOMARIA, GIANNI FINOCCHIARO, ALDO GAROSCI, PIER CARLO MASINI. NICOLA MAITEUCCI, RENATO MIELI, SANDRO PETRICCIONE, ALDO G. RICCI, GUIDO RILLETTI. ROSARIO ROMEO. ALBERTO RONCHEY. DOMENICO SETTEMBRINI. GIUSEPPE TAMBURRANO. PAOLO UNGARI, GUELFO ZACCARIA. Direttore responsabile: GIULIO SAVELLI 11 dicembre 1979

EDITOR/AL.E Occidente disunito .. E ANCORA lA CRISI IN IRAN CHE AITRAE principalmente l'attenzione sulla scena politica mondiale. La drammaticità di quanto avviene a Teheran, l'oltranzismo degli «studenti» e di Khomeini, il fatto che non si intravedano vie d'uscita diplomatiche, ora il rifiuto del Messico di accogliere nuovamente lo scià, che complica una situazione già molto aggrovigliata, ci hanno fatto parlare, nello scorso numero, di una possibile «Sarajevo in Iran»; anche il «Corriere della sera» del 2 dicembre ha titolato il fondo di Alberto Ronchey: «Teheran come Sarajevo». Argomenta Ronchey: «Già l'Iran post-rivoluzionario è privo d'un governo effettivo, se anche il potere simbolico di Khomeini verrà travolto nel caos, una delle due superpotenze sarà presto attratta a colmare quel vuoto. E' difficile immaginare che gli Stati Uniti, dopo il decennio di sollevazioni e discordie sull'intervento in Vietnam, possano spingersi oltre la dislocazione di una flotta permanente fra il Bahrein e l'Oman. Invece l'URSS, con la credibilità ottenuta dopo le sue inflessibili e irreversibili invasioni militari, potrebbe tentare non solo direttamente una azione risolutrice verso quella 'via del petrolio' che è la vena giugulare del mondo industriale, ma utilizzare insieme le forze estremiste di Teheran, i ribelli kurdi, il potente esercito dell'lrak. Sarebbe, veramente, l'ora del rischio d'un conflitto maggiore». Di fronte a questo incombente pericolo, l'impressione che si ricava dall'atteggiamento, dalle dichiarazioni, dai contatti diplomatici dei vari Paesi dell'Occidente è che manchi la necessaria reciproca solidarietà, o quanto meno che vi sia un'insufficiente coesione. L'Europa ha lasciato soli gli Stati Uniti in Iran. Non traggano in inganno gli appelli europei a Khomeini perché rilasci gli ostaggi: in una situazione come quella che stiamo vivendo in questi giorni, gli appelli lasciano il tempo che trovano. mentre nessuna iniziativa concreta, che fosse in qualche modo di appoggio alle poche mosse di Carter, ha visto la luce. Anzi. quando la Banca Morgan. dopo la dichiarazione che le banche iraniane non avrebbero pagato i debiti contratti ali' epoca dello scià. ha chiesto il blocco delle azioni della Krupp di proprietà del governo di Teheran, il governo tedesco-occidentale è parso preoccupato di restare invischiato in una questione che non lo riguardava; la Francia ha avuto per molti giorni un atteggiamento di ostentata indifferenza. pro2 babilmente nella speranza di trarre qualche vantaggio commerciale dalla sostanziale rottura tra Stati Uniti e Iran. Gli altri Paesi europei, salvo forse la Gran Bretagna, si sono limitati a ribadire i principi del diritto internazionale, ma si sono ben guardati da ogni concretto atto di solidarietà politica. L'Europa lascia gli Stati Uniti da soli. A sua volta teme che gli Stati Uniti lascerebbero sola l'Europa nel caso di un conflitto ristretto al teatro europeo. Tutta la questione dei missili, di cui si discute ormai da qualche mese, nasce dalla consapevolezza che il raggiunto equilibrio nel1'annamento nucleare strategico tra Stati Uniti e Unione Sovietica ha. in qualche modo. riaperto la possibilità di conflitti locali o parziali. Gli Stati Uniti correrebbero il rischio di una rappresaglia nucleare sul proprio territorio per difendere un Paese a ragione o torto ritenuto marginale? Europei e americani lasciano sola la Cambogia; offrono, è vero, un aiuto umanitario per impedire che il popolo khmer scompaia del tutto, aprono le frontiere a decine di migliaia di profughi; ma accettano l'egemonia sovietico-vietnamita su tutta l'Indocina, in dispregio degli accordi di Parigi tra Kissinger e Le Duc-Thò. Domani forse, seguendo la «teoria del dominio», che la sinistra occidentale credette fosse solo un'invenzione della CIA, toccherà alla Thailandia. Europei e americani rischieranno un conflitto con l'Unione Sovietica per la Thailandia, dopo aver ceduto il Vietnam del Sud? In pochi anni i sovietici hanno conquistato un'influenza decisiva nell'Angola. nel Mozambico, nell'Eritrea, nello Yemen del Sud; in Afghanistan, dopo che i comunisti locali hanno preso il potere con un colpo di Stato militare. reprimono la resistenza religiosa con la massiccia partecipazione delle proprie truppe; nell'Iran, ammonisce Ronchey, sarebbero domani nelle migliori condizioni per supplire a un probabile vuoto di potere. Estendono la propria influenza ovunque: dove non bastano gli aiuti economici e la diplomazia, ricorrono alle anni, mentre l'Occidente si rinchiude nelle proprie trincee. Due sono i punti di maggior forza del blocco sovietico. cui corrispondono specularmente due punti di debolezza del blocco occidentale. Il primo è il regime interno: tutta la società sovietica è organizzata come un esercito. Ciascuno ha il proprio posto. la propria disciplina. il I I DICEMBRE 1979

proprio regolamento, le proprie, severe, punizioni. I russi possono intervenire a Kabul ben sapendo che all'interno non si leveranno voci di protesta, roghi di cartoline-precetto, dilanianti campagne elettorali. pressanti richieste isolazioniste. 11 secondo è la compattezza del blocco di nazioni intorno alla nazione leader. Bastò la primavera di Praga per avere dieci anni di occupazione russa del suolo cecoslovacco; la rivoluzione ungherese fu repressa con i carri armati; Berlino Est, Poznan ricordano a tedeschi-orientali e polacchi che l'indipendenza delle loro nazioni è solo di facciata. In Occidente, invece, un gruppo di Paesi liberi e sovrani, con i propri diversi interessi, la concorrenza sui mercati, l'affannosa ricerca delle materie prime. le legittime aspirazioni nazionali, come quelle tedesche, oppongono all'offensiva sovietica uno scudo pieno di crepe. La libertà e la democrazia offrono un modello di Stato per cui vale la pena di combattere, ma non costituiscono lo strumento più efficiente per farlo; la tirannia è invece solo un modello da abbattere, ma intanto appare come un blocco di granito difficile da scalfire. Tra l'una e l'altra la scelta non può essere dubbia, ma è bene essere consapevoli di quanto più ardua, dove c'è la libertà, la democrazia, l'effettiva indipendenza nazionale, sia la difesa delle conquiste essenziali della nostra civiltà. Certo, vi sono punti di forza dell'Occidente: il sistema economico, che nonostante la bufera che attraversiamo da sei anni, conserva la sua superiorità sul collettivismo burocratico; la teeDISEGNO DI RAFFAELLA 01TA V/ANI IL LEVIATANO nologia, spinta a sempre nuove conquiste dalle pressioni democratiche del mercato; la scienza e la cultura, che non possono vivere dove non c'è libertà; la libera circolazione degli uomini, che ha avvicinato popoli a lungo lontani e ostili. Ma non sarebbe la prima volta, nella storia del mondo, che una: civiltà superiore viene attaccata e distrutta dalla barbarie. Alle minacce che gravano sull'Occidente, delle quali il ricatto di Khomeini è solo quella che in questo momento occupa il proscenio, l'Occidente non può rispondere tradendo i propri valori, i segni distintivi della propria civiltà. All'attacco alla democrazia e alla libertà, si dice giustamente, non si può rispondere annullando la democrazia e la libertà. All'attacco al nostro costume di vita non si può rispondere cancellandolo e assumendone uno che riteniamo peggiore. L'Occidente ha un'unica risposta: uno sforzo volontario di solidarietà e di coesione. Solidarietà tra tutti i Paesi dell'Occidente, e in primo luogo tra i Paesi europei; coesione all'interno di ciascun Paese. perché - quali che siano le divergenze, le lotte intestine, i contrasti anche più aspri - sia sempre presente il pericolo che sovrasta: la fine non solo di ogni contrasto, di ogni divergenza, di ogni dissenso, di ogni libertà, di tutto ciò per cui vale la pena di battersi, ma la fine, forse, della stessa ragione di vivere. Finché esiste l'Occidente c'è anche una speranza per chi vive sotto il giogo dei più feroci dittatori; quando anche l'Occidente dovesse soccombere, i profughi del mondo non saprebbero più dove andare. 3

AREALA/CA Necessariaun'intesa dai socialisti ai liberali Intervista con PIETRO LONGO o NOREVOLE WNGO, È POSSIBILE UN'INTESA. TRA I partiti delle aree di democrazia liberale e di democrazia socialista? Le differenze tra area liberaldemocratica e area di democrazia socialista appartengono storicamente al passato. La diversa elaborazione filosofica. la diversa formazione storica delle varie correnti di pensiero. il significato alternativo, anche, che il socialismo ha avuto nell'Occidente rispetto al liberalismo sono dati di fatto. Ma nel dopoguerra molte distanze si siano accorciate: il socialismo non rappresenta più una alternativa al pensiero liberaldemocratico, perché ha fatto interamente suoi i valori della liberaldemocrazia. Le differenze che ancora sussistono, da un lato obiettivamente risalgono alla storia delle diverse forze politiche, ma dall'altro lato sono legate fortemente agli egoismi di partito: e gli egoismi di partiti hanno una loro valenza politica. Di fronte alla crisi gravissima del nostro paese, però, crisi politica, ma soprattutto morale, crisi di valori, è assolutamente indispensabile un atto di buona volontà da parte dei partiti che si ritrovano in quest'area, per mettere da parte tutto ciò che di poco nobile c'è nelle posizioni dei partiti, facendo prevalere i punti di contatto e di unità, che sono molti, e l'interesse generale del paese: un' intesa che sia autonoma e innovativa sia rispetto alla Democrazia cristiana, sia rispetto al Partito comunista. Noi insisteremo, nel nostro congresso del gennaio prossimo. nel sollecitare questo raccordo tra noi, socialisti. liberali e repubblicani: ogni partito si assumerà poi le proprie responsabilità nel favorire o eventualmente nell'ostacolare questa ricerca d'intesa, fondamentale per la stabilità politica e la salvaguardia democratica del nostro paese. Ritiene che debba su~istere ancora un rapporto privilegiato tra voi e il Partito socialista? Tra il Partito socialista e noi c'è un dato obiettivo in comune, l'appartenenza alla stessa famiglia dell'Internazionale socialista. Il Partito socialista ha però due anime: un 'anima socialista democratica; un 'altra fortemente massimalistica, che negli anni passati si è identificata persino 4 ... con il leninismo o, negli anni anni cinquanta, con lo stalinismo; un'anima, questa seconda, che evidentemente è più lontana dalla nostra posizione culturale, dalla nostra scelta ideologica, dalla nostra vocazione politica. Nel complesso però riteniamo importante un rapporto tra i due partiti. Tra i socialisti e noi può esserci su molti punti un terreno comune di intesa e di raccordo, anche se le contraddizioni politiche del PSI rappresentano un elemento di debolezza nello schieramento dei partiti di democrazia laica e di democrazia socialista. Ma un'intesa con i socialisti, che noi auspichiamo si possa raggiungere sui grandi temi della governabilità del paese, sulle scelte di fondo da compiere sia nel breve periodo che a medio termine, non comporta un minore interesse per la ricerca di accordi più ampi, sia con gli amici liberali, sia con gli amici repubblicani. Con tutti questi partiti esiste un terreno comune di iniziativa politica non soltanto sui temi della laicità e della libertà, ma oggi anche nella stessa politica economica, campo nel quale nel passato maggiormente erano vivaci le polemiche tra le forze di ispirazione socialista e quelle di ispirazione liberaldemocratica. Però, anche se si realizzasse una maggiore intesa tra partiti. dell'area socialista e partiti dell'area liberaldemocratica, è da prevedere che almeno per un periodo di tempo non brevissimo questo schieramento rimarrebbe di dimensioni tali da non poter aspirare a governare da solo il paese. Lei ha parlato di autonomia dalla Democrazia cristiana e dal Partito comunista. Ma io una prospettiva di governo, quale interlocutore, tra democristiani e comunisti, ritiene in qualche modo preferenziale? Anzitutto, un'intesa tra i nostri quattro partiti avrebbe un riscontro elettorale molto forte e l'area delle forze di democrazia laica e di democrazia socialista potrebbe raggiungere un peso elettorale notevole e probabilmente competitivo sia con il Partito comunista, sia con la Democrazia cristiana. Il popolo italiano è alla ricerca di qualcosa di nuovo, che garantisca il progresso nella democrazia e nel quadro dell'alleanza occidentale. Però il problema che lei pone sussiste. Mentre per quanto riguarda le giunte locali, i sindacati, altre realtà locali o parziali pensiamo che i partiti laici e socialisti debbano agire con una posizione I I DICEMBRE 1979

di effettiva autonomia, scegliendo le proprie alleanze secondo le circostanze, per quanto riguarda invece il problema del governo, nella situazione presente l'interlocutore non può che essere la Democrazia cristiana. L'associabilità del Partito comunista al governo, soprattutto per ragioni oggettive di politica internazionale, non mi pare oggi proponibile. La collaborazione con la Democrazia cristiana deve però avvenire su una base paritaria, ciò che implica il pieno rispetto del peso effettivo che la Democrazia cristiana e l'area dei partiti di democrazia socialista e di democrazia laica hanno nel paese. L'obiettivo che ci possiamo proporre nel lungo periodo può essere però anche diverso. Lavoriamo nella prospettiva di un'alternativa effettiva di potere e di governo del paese. così come accade negli altri paesi di democrazia occidentale. E' un obiettivo, questo, non raggiungibile nell'immediato; ma possibile, nel futuro, a due condizioni: la prima è il rafforzamento del consenso per i partiti di democrazia socialista e di democrazia laica; la seconda è un avanzamento del processo di revisione del Partito comunista in senso occidentale. Gli ultimi atteggiamenti del PCI vanno in verità nel senso opposto: la polemica dura condotta nei confronti di Amendola e le recenti posizioni di politica estera non aumentano le nostre speranze. Compito nostro resta però quello di sollecitare il Partito comunista a una revisione idelogica che lo porti ad approdare alle sponde della democrazia e a una scelta di politica internazionale effettivamente autonoma rispetto ali' Unione Sovietica. Si parla di difficoltà del governo, privo di una maggioranza parlamentare. Anzitutto qual è la sua opinione a proposito di una possibile crisi di governo? In secondo luogo, ammesso che il governo superi i prossimi mesi, dopo il congresso della Democrazia cristiana ritiene proponibile la formazione di un governo che comprenda anche gli altri partiti laici"! lo mi stupisco che ci si stupisca che questo governo non abbia la maggioranza. Lo sapevamo dal primo giorno che il governo non ha una maggioranza. Ha soltanto un'astensione. che mai abbiamo considerato troppo benevola. del Partito repubblicano e del Partito socialista. Dopo le elezioni di giugno non esistevano le condizioni politiche per formare una maggioranza parlamentare e un governo stabile. Una crisi oggi vedrebbe la stessa confusione. le stesse difficoltà di giugno; anzi. la situazione si è probabilmente ancor più aggravata. con il rischio. questa volta maggiore di quanto non era pensabile l'estate scorsa, di un nuovo ricorso a elezioni politiche anticipate. Dobbiamo cercare di governare. per quanto possibile. nelle condizioni di minoranza nelle quali il governo si trova. cercando per lo meno di combattere quelli che sono gli aspetti più gravi della crisi italiana: l'inflazione. la disoccupazione, il terrorismo. Nello stesso tempo, dobbiamo operare sul piano politico per creare quelle condizioni che consentano a questa ottava legislatura di soprav- /L I.F.VIATANO vivere. Le possibilità di formare una maggioranza stabile sono legate al congresso e alle scelte della Democrazia cristiana. Se la DC, nel suo congresso del prossimo febbraio, rimane in una situazione di confusione e di incertezza, c'è poca speranza che si riesca a salvare questa legislatura. Se la DC compie delle scelte sufficientemente chiare, questa legislatura potrà salvarsi con un'intesa tra i cinque partiti - Democrazia cristiana, socialisti, socialdemocratici, liberali e repubblicani-, che dia vita a una maggioranza - non arroccata in se stessa, ma aperta e sensibile ad altre posizioni -, che sia solida e che dia vita a un governo stabile, magari con un accordo di legislatura. Sarebbe più agevole raggiungere questa coalizione parlamentare e di governo se ci fosse una sufficiente coesione tra i partiti di democrazia laica e di democrazia socialista. Se i nostri quattro partiti ponessero con forza alla Democrazia cristiana il problema di una scelta chiara per arrivare alla maggioranza a cinque. non c'è dubbio che anche il congresso della DC ne sarebbe fortemente influenzato. Vi sono colpe della Democrazia cristiana, ma è colpevole anche chi, all'interno dei quattro partiti, non opera per una intesa che ponga la Democrazia cristiana di fronte alle sue responsabilità. PIETRO LONGO 5

I FASTI D'ITALIA I di Venerio Cattani I comunisti di complemento scoraggia: «Se il governo accet~ la vostra proposta e l'URSS rifiutasse, che cosa fareste?•. -Noi non ci rivolgiamo come partito all'URSS•, svirola Buralin.i. •Perché no? - suggerisce l'intervistatore -. Come comunisti italiani avete Un peso notevole nei confronti del PC dell'URSS•. Buralini deve averlo guardato come per dire: •Giovanotto, chi credi di sfottere?•. Ma l'incauto insiste: •E' vero che Ponomarev non si è dimostrato molto soddisratto?-. Allarmato, Bufalini risponde: •Anzi, mi è sembrato molto cordiale•. Il che significa: •Manigoldo, vuoi farmi litigare con i parenti?•. Infine Rossi azzarda: • Ritorniamo a che cosa fareste se iJ governo accettasse e l'URSS respingesse la vostra proposta•. Risposta: «Noi non abbiamo discusso l'ipotesi che lei ra•• Credevo di aver visto tutto, in trenta anni di politica. Invece no. Mi mancava Scalfari che detta la politica estera del PCI. Voi pensavate, come me, che la politica estera del PCI la racessero Ponomarev, Pajetta e Rubbi. Se non che, giovedì 29 novembre, guardo -La Repubblica• e rimango di stucco. «Aspettiamo la risposta del Cremlino•, titola l'editoriale. Niente di meno. «La Direzione del PCI ha accolto integralmente la proposta che il nostro giornale aveva formulato... Provenendo dal maggior partito comunista occidentale, si tratta di una decisione di eccezionale importanza, che dissocia il PCI dalle posizioni piattamente filosovietiche•. U titolo di apertura è: •Il PCI contro gli SS 20•. Naturalmente, leggendo la risoluzione della Direzione si capisce benissimo che il PCI è contro i Pershing e i Cruise: stabilito questo, invita l'URSS a sospendere la costruzione dei suoi missili. Insomma, quelli che ci sono, in Russia, ci rimangono; e in Italia restano sok> quelli in dotazione al Reggimento lan• ciam.issili • Pi(ano•. Bella e rara l'intervista a Bufalini sulla -Repubblica• del giorno dopo. •Onorevole BufaJini, come è arril'ato il PCI all'atteggiamento che ha preso sulla questione dei m~m? ... Evidente• mente il redattore, Giorgio Rossi, si aspettava che Buralini gli rispondesse: -Grazie a Scalrari. che ci ha spiegato tutto•. Macché: l'ingrato gli ricorda che quella posizione era stata anticipata da Natta, Pajetta, Rubbi e lui stesso, sottintendendo che Scalrari aveva scoperto l'acqua calda. Ma il Rossi non si E qui si rivela la differenza tra i comunisti professionali e i comunisti di complemento, come quelli della «Repubblica•. I primi sanno benissimo distinguere tra le cose serie e quelle che raccontano per stupire i loro compagni di giuochi. I secondi, non solo credono che i giuoc.hi siano la realtà, ma si convincono persino di averli inventati loro. BLOCKNOTES ' Tecniche di chimica bancaria UN OSSERVATORE PARACADUTATO DALL'Estemo che non sia addentro alle cose italiane incontrerebbe non poche difficoltà a darsi spiegazione di una serie di fatti di grande rilievo che hanno coinvolto importanti gruppi induslriali e istituii di credito. Se la crisi internazionale della fine del 1973 ha bruscamente mutato i terms of trade e reso irrealistiche le prospettive di mercato sulle quali si fondavano audaci calcoli aziendali, meno comprensibile potrebbe apparire il perché alcuni istituti di credito abbiano per anni praticato così decisamente la tecnica della monocultura, da finire col legare inscindibilmente il loro destino a quello di singole imprese industriali. Quali siano queste imprese e questi istituti è facile oggi rilevare scorrendo, accanto alle pagine economiche dei giornali. le cronache giudiziarie. Si tratta. accanto ad alcuni gruppi delle Partecipazioni Statali, di colossi induslriali cresciuti all"ombra del credito agevolato e nelle poco odorose serre dei «pareri di confonnità•. Con il denaro ottenuto a tassi molto più bassi di quelli di mercato e con sussidi a fondo perduto assai consistenti, ogni decisione di investimento diveniva conveniente: anzi diveniva tanto più conveniente quanto maggiore era il capitale d'impianto. Di qui lo sviluppo in Italia. ma soprattutto nel Mezzogiorno, dove è più facile gabellare per beneficio della collettività i propri interessi aziendali. degli impianti appartenenti al settore chimico (e in particolare petrolchimico) e siderurgico. con una proliferazione di iniziative che. già prima della crisi del 1973, 6 poneva problemi di capacità in eccesso e di localizzazioni sbagliate. Questa assurda situazione si è detenninata con l'acquiescenza - e spesso con l'attivo sostegno - di istituti di credito che - a seconda delle occasioni - hanno consentito l"indebi1amento a medio e a breve termine delle imprese interessate alla frenetica corsa all"espansione della capacità produttiva fino al 1974. Eppure - si potrebbe osservare - il sistema bancario italiano come venne foggialo dal regime fascista dopo la crisi del 1930 è forse il più accenl rato di tutto il mondo occidentale e poteri di indirizzo e capacità di controllo non mancano a chi ha il governo del credito. La risposta può essere data soltanto facendo esplicito riferimento al ruolo che la politica ha svolto nell'orientare quelle che un tempo erano gelose prerogative dei banchieri; per alcuni dei quali risultava molto più facile adeguarsi alla direttiva politica anziché contrastarla mettendo a repentaglio i propri rapporti con i detentori del potere. Prendiamo il caso degli impianti chimici di Ottana. nel centro della Sardegna. li settore delle fibre è entrato in crisi su scala mondiale; ma - si studia sui manuali di tecnica industriale - sono gli impianti meno moderni a divenire marginali e a correre il rischio di uscire dal mercato. Invece, a causa della struttura dei costi dipendente da un'ubicazione sbagliata. gli impianti appena ultimati della Fibra del Tirso e della Chimica del Tirso vengono mantenuti in vita artificialmente attraverso l'erogazione di sussidi ottenuti impiegando norme e procedure che, alla solitamente cauta •Rivista delle Società-, fanno titolare un articolo This is the worst. Quali siano le origini di simili madornali errori è opportuno ricordare nel momento in cui. attraverso la legge di •ricapitalizzazione~ di alcuni istituti di credito. si è compiuto il primo passo su di una strada sulla quale è difficile tornare indietro e che porta a far pagare alla collettività gli errori compiuti senza che ne vengano accertate le cause e penalizzati i responsabili. Bisogna ricordare il ruolo nefasto svolto dai I I DICEMBRE /979

cosiddetti «pareri di conformità•, cioè autorizzazioni amministrative ad accedere al credito agevolato e alle ~ovvenzioni a fondo perduto, emesse dal ministro per 11 Mezzogiorno. su delibera del CIPE. I «pareri• portano firme illustri. da Pastore a Taviani ad Andreotti fino a De Mita. La decisione del CIPE comportava la responsabilità collegiale del massimo organo di politica economica del paese. Solo nell'ultima relazione del governatore della Banca d'Italia è stato rivela_toautore~~lmente l'enorme ammontare dei pareri d1 conform1ta emessi e che già nel 1975era stato v_alutato a oltre 7000 miliardi. Sulla base dei «pareri• s1 apnva negli istituti di credito a medio termine !'_istruttoria in merito all'investimento previsto. E qui s1 poneva subito il dilemma: si doveva contraddire il giudizio di validità di una specifica iniziativa oggetto del «parere» espresso dal CIPE, oppure limitarsi, accettandolo, alla sola ricerca di garanzie? Ma era pensabile che alcuni banchieri che dovevano la loro nomina (o aspettavano la loro riconferma) a uomini politici presenti nel CIPE potessero poi contraddirne le scelte 9 E' vero che qualche volta l'apparato delle banche e qualche singolo amministratore ha cercato di difendersi con successo; ma molte altre volte si è ceduto dopo una resistenza vera o di facciata. Per chi aveva compiti di controllo risultava poi compito arduo ed ingrato esprimere giudizi e adottare provvedimenti c_hepotevano suonare sconfessione di decisioni politiche prese spesso con toni da trionfo. La magistratura italiana è nei mesi scorsi intervenuta in sede penale per accertare responsabilità e colpi_re illeciti. Ma !I problema rimane in primo luogo politico: s1 tratta d1 stabilire delle regole di comportamento le quali consentano ai politici di dare solo indirizzi generali e ai banchieri di operare le singole scelte. assumendosene la responsabilità. prima che penale, professionale. Sarebbe un contributo. e non certo il meno importante, a quella «riforma morale• della quale parla con giusta insistenza il segretario del PSI. Sandro Petriccione Le culle del te"orismo Di TANTO IN TANTO, ALL'INDOMANI DI QUALche nuova impresa del terrorismo, da parte di taluni esponenti politici si levano voci di denuncia circa le compl~cità e gli aiuti di cui godrebbero, in sede internaz1ona~e. i brigatisti rossi. Stranamente, però, queste voci durano soltanto lo spazio di un mattino, n_onsono mai chiare circa l'esatta connotazione poliflco-geografì_ca di tali complicità ed aiuti, e restano pertanto prive, ogni volta, di qualsiasi concreta conseguenza. Tolti ovviamente i comunisti(che quando alludono a un intervento d' oltrefrontiera nelle vicende del terrorismo nostrano si riferiscono sempre alla CIA, pur senza magari nominarla), i politici di parte democratica sembrano infatti estremamente riluttanti a spiegare ad alta voce quello che sanno benissimo: e cioè che dietro il terrorismo brigatista si muovono i servizi segreti dei paesi del blocco sovietico, cecoslovacchi e cubani in prima fila. Al riguardo, i precedenti e leprove non mancano di certo. Pensiamo ai killers della « Volante Rossa, (il gruppo te:rorist(co formato da giovani ex-partigiani che opero a Mi/ano dal /945 al /949) rifugiatisi a IL LEVIATANO BRIGATISTI ROSSI P_raga,_dove tuttora si trovano, dopo la loro identifìcazwne da parte della polizia; pensiamo ad Augusto Vie/, esponente della banda «XXII Ottobre», accompagnato da Feltrinelli a Praga dopo l'omicidio de/fattorino del/' IACP a Genova; pensiamo a Curcio e a Franceschini, trovati inpossesso, al momento del loro arresto a Pinerolo, di passaporti pieni di visti d'ingresso e di uscita dalla Cecoslovacchia; pensiamo al defunto brigatista Fabrizio Pelli, già dipendente di Radio Praga, e a Maria Rosaria Biondi recatisi in Cecoslovacchia poco prima di partecipar; alla strage di Patrica. E ci riferiamo ancora, per arrivare ai giorni nostri, lii due lanciamissili sovietici trovati inpossesso di Daniele Pifano nonché alle voci che circolano da tempo a Roma a proposito di un collegamento diretto tra il collettivo di via dei Volsci e l'Angola (dove risiedono ventimila soldati cubani), per non parlare poi della presenza a «Onda Rossa, (l'emittente radiofonica del gruppo) di un «giornalista• che ha lavorato per anni nelle radio dei paesi del 'Est. Ricordiamo infine la nota fatta circolare ai primi di novembre dal SISMI, il nostro servizio di sicurezza militare, nella quale si confermava autorevolmente quanto già si sapeva, ovverossia che numerosi profughi cileni, dopo aver soggiornato a Cuba, sono stati spediti in Italia per inserirsi nelle formazioni terroristiche nostrane (uno di costoro morì tempo fa a Torino, vittima dello scoppio anticipato di un ordigno che stava preparando per un attentato). Da Praga ali' Avana a/l'Angola, il cerchio si chiude con i campi di addestramento alla guerriglia allestiti per i palestinesi nel libano e nello Yemen del Sud sotto la guida di istruttori cecoslovacchi, cubani e tedesco-orientali, campi dove sono finora transitati, dal 1968 ad oggi, circa duecento militanti della sinistra extra-parlamentare italiana. Resta solo da chie<!ersi,a questo punto, perché nessun uomo politico d1parte democratica, con responsabilità di governo o meno, abbia mai avuto il coraggio di denunciare pubblicamente e con chiarezza le responsabilità dei servizi segreti dell'Est nella sanguinosa opera di destabilizzazione in atto ormai da un decennio nel nostro Paese. In una materia come questa, non ci sembra davvero che possano bastare le mezze parole e le allusioni più o meno velate. Grulfo :laccarla 7

TERRORISMO • ... e noi ci tesseriamo UN GIORNO SI E UNO NO, TERRORISTI, mafiosi, delinquenti comuni ammazzano o feriscono un poliziotto o un carabiniere, un professore, un capo-reparto, un dirigente industriale; deteniamo il record assoluto dei sequestri di persona; qualche giovanotto conduce la propria «battaglia ideale» portando a spasso due missili terra-aria da mezzo miliardo l'uno; in tasca a Gallinari si è trovato un piano di assalto al carcere speciale dell' Asinara, un'operazione militare con mezzi terrestri e navali da far invidia a un corpo di marines; l'assalto è sventato, ma nel corso di una rivolta, sempre ali' Asinara, i detenuti sotto sorveglianza speciale si scopre sono provvisti di bombe a mano; vent'anni fa Antonietta Longo, la decapitata di Castelgandolfo, il caso Fenaroli o quello Bebawi reggevano le prime pagine dei giornali per giorni e giorni, mesi addirittura, o anni: oggi un Pecorelli, un Ambrosoli, un Boris Giuliano, un Alessandrini, un Croce, un Casalegno, un Guido Rossa resistono poche ore, subito cacciati da un nuovo, più efferato, delitto. Di chi la colpa? Quali le cause? Ci sarebbe molto da dire. da ricordare. da riscoprire. Ma il problema più urgente non è capire, per quanto capire possa essere importante. Il problema, ora, è fermare la mano degli assassini, dei gambizzatori, dei sequestratori. Sarà pur vero che la lotta all'inflazione è anche lotta al terrorismo, come pensa Rodotà; sarà pur vero che i killer sono disoccupati in cerca di prima occupazione, e che basterebbe offrirgli un posto di spazzino per trasformarli in agnellini; sarà pur vero che la crisi della pastorizia spiega i sequestri della Sardegna, come raccontano tutti i sociologi d'Italia su tutti i giornali d'Italia. e che se al pastore fosse garantito mezzo milione al mese se ne infischierebbe del miliardo del riscatto; per quanto queste «spiegazioni» sfuggano al buon senso, ammettiamo pure di sbagliare noi, e che esse siano invece la verità. Ma, intanto, che si fa? In attesa di risanare l'economia, in attesa di riassorbire la disoccupazione, in attesa di ricondurre l'inflazione a livelli ragionevoli, c'è forse altra strada che non la ferma repressione dei delinquenti, e in primo luogo dei colpevoli di reati violenti? Continuate pure a sognare la società perfetta in cui si potranno abolire le carceri, come vuole Foucault; sbizzarritevi, nelle vostre riunioni, nei vostri articoli, nei vostri opuscoli, a disegnarci 8 un mondo in cui tutti saltellano felici, la manna piove tutti i giorni, tutti sono ricchi e nessuno fa niente. Nel frattempo, salviamo il salvabile: la convivenza civile, il gusto di uscire la sera senza il timore di essere aggrediti, la libertà di dire quello che si pensa senza essere gambizzati, la libertà insomma, tout court, la nostra imperfetta democrazia, senza la quale la libertà non esiste, l'ordine, senza il quale non esiste né libertà né democrazia. Ordine significa che tutti rispettano la legge; ordine significa reprimere tutti coloro che non rispettano la legge. Ordine non significa libertà, dunque; ma il contrario della libertà, il limite della libertà. Ordine significa sacrificare ciascuno una parte della propria libertà perché tutti possano godere di una più limitata, ma effettiva, libertà. Ordine significa abolire la libertà di uccidere per garantire la libertà di vivere, abolire la libertà di far violenza per garantire la libertà di lavorare, parlare, scrivere, muoversi, agire. Non Enzo Felsani Confederale li renerr,k Enzo Fetsani è eiponenù del mo>UMnlo per la /orrnavone di IUI siNlaealo di polizia atkrenù aJk confedenuioni 1ùulaeali CGILCISL-UIL. Generale Felsani, il progetto governativo di riforma di polizia prevede che le organizzazioni sindacali dei poliziotti non possano essere collegate con organizzazioni confederali. Qual è il suo giudizio in proposito? La nostra posizione è quella prevista dalla Costituzione per tutti i sindacati. Chiediamo al governo il rispetto degli articoli 39 e 40. L'articolo 40 prevede una limitazione al diritto di sciopero: noi, per parte nostra, abbiamo già detto in varie occasioni che il sindacato di polizia rinuncia al diritto di sciopero di propria iniziativa. Però chiediamo che ci sia da parte del governo il rispetto dell'articolo 39, che all'erma che •l'organizzazione sindacale è libera•: chiediamo cioè che non ci siano limitazioni organizzative al sindacato di polizia. Su questo punto abbiamo criticato il progetto di legge governativo, che pone limiti alla libertà di organizzazione, in quanto preclude qualsiasi forma di adesione a federazioni sindacali, contiene limitazioni alla capacità propositiva in alcune materie, che vengono sottratte alla competenza del sindacato, e limita la capacità contrattuale del sindacato. Infatti, sempre nel progetto governatiI I DICEMBRE 1979

c'è libertà senza la repressione di chi attenta alla libertà. La libertà concreta è dunque una libertà limitata, vincolata, ristretta nei limiti della legge. In un Paese libero il limite della libertà non deve superare quanto sia necessario per mantenere in vita la libertà possibile. Se il vincolo è più forte, si uccide la libertà; se il vincolo è troppo debole, v'è solo la libertà del più forte. Ebbene, ci domandiamo: in Italia, v'è eccesso di ordine o eccesso di disordine? V'è troppo poca libertà o troppa libertà concessa a chi viola la legge e perciò attenta alla libertà altrui? Senza scivolare nell'ideologia, senza discutere con i sociologi delle cause ultime e senza polemizzare con i teologi sul paradiso che ci attende, il generale Piero Corsini, comandante dell'Arma dei carabinieri, ha dato la sua risposta: «Cari signori, qui c'è troppo disordine, troppa malintesa libertà per chi viola la legge, eccessivo garantismo, non per i pacifici cittadini, ma per i terroristi, i violenti, i delinquenti. E il troppo disordine si affronta con la repressione dei violenti, rafforzando le forze· dell'ordine, non indebolendole, smilitarizzandole proprio mentre i nemici della libertà sempre più si militarizzano». Di fronte a questo discorso di semplice buon senso si levano alte le grida di coloro a cui tutto quello che è successo non basta, che chiudono gli occhi di fronte ai disastri di riforme che invece di dare maggiore libertà hanno prodotto maggiore violenza, di comportamenti tolleranti che hanno incoraggiato chi violava la legge ad alzare il tiro. · no? IL LEVIATANO «Siamo in guerra», ha detto il presidente delJa Repubblica a proposito del terrorismo e ha ricordato giustamente il generale Corsini. Orbene, da quando le misure di emergenza da prendere in caso di guerra consistono nella smilitarizzazione dei corpi annati? Della polizia, in primo luogo; ma già chiedono lo stesso le guardie di finanza e le guardie carcerarie; e il progetto di coordinamento tra una polizia smilitarizzata e l'Anna dei carabinieri, che ha giustamente alvo, è previsto che il contratto stipulato col sindacato di polizia debba essere sottoposto all'approvazione del Consiglio di polizia, un organo per metà di nomina governativa. li movimento di cui lei fa parte ha dichiarato che procederà al tesseramento a partire da febbraio. Se entro quella data la riforma non fosse approvata, o se fosse approvata in modo difforme dai vostri auspici, proseguirete nell'iniz.iatiua intrapresa o rispetterete la legge? Noi rispetteremo la legge: l'abbiamo già detto chiaramente. Il ministro dell'Interno ci ha dichiarato che conta di far approvare la legge entro gennaio: per questo abbiamo previsto l'apertura deUe iscrizioni a partire da febbraio. lo questo momento c'è un vuoto legislativo: quando sarà colmato, esamineremo il testo approvato. Se ooo sarà soddisfacente, prenderemo tutte le iniziative che riterremo necessarie; in ogni caso, però, nel rispetto deUa legge. Virgilio Fichera li vu:e-,,iuston Virgilio Fielura • esponenJe del movùru,nto per la fomu,- zione di un sindaeato di pouva aulonomo da hllù k confederazioni. Dollor Fichera, il progello governativo di riforma di polizia prevede che le organizzazioni sindacali dei poliziolli non possano essere collegate con organizzazioni confederali. Qual è il suo giudizio in proposito? Noi siamo per un sindacato autooomo. Però riteniamo un errore quello di proibire, per legge, l'adesione dei sindacati di polizia aUe confederazioni. Anche perché si tratta di un divieto destinato, io ogni caso, a non essere rispettato. Se la legge proibirà questa adesione, cbe cosa impedirà che, accanto a una non adesione formale, nella sostanza si stabiliscano, sotto banco, rapporti di stretta collaborazione tra un sindacato di polizia e le confederazioni? Il problema, secondo noi, è diverso. I poliziotti, per la natura del loro ser• vizio, non possono scioperare. E' una limitazione, da noi accettata, della capacità contrattuale. Noi abbiamo detto al ministro che, per ovviare a questo inconveniente, sarebbe stato opportuno stabilire che la sede delle decisioni che riguardano i pol'ìziotti fosse un Consiglio di polizia, composto per metà da rappresentanti di nomina governativa e per metà da rappresentanti dei lavoratori eletti proporzionalmente secondo le varie liste sindacali, con la clausola che qualunque decisione dovesse esser presa col voto della maggioranza della componente sindacale. In altre parole, i rappresentanti di nomina governativa non potrebbero decidere formando una maggioranza con un solo rappresentan• te sindacale. Se si accettasse la nostra proposta, l'adesione a questa o quell'altra confederazione sarebbe un puro fatto ideologico, irrilevante ai fini sindacali. Non essendo accolta questa richiesta, succede invece che, io assenza del diritto di sciopero, le confederazioni possano offrire ai poliziotti gli strumenti di lotta deUe altre categorie: i metalmeccanici possono, per esempio, scioperare in luogo e per le richieste dei poliziotti. lo questo modo si favorisce un sindacato di polizia confederato. L'adesione non è più ideologica, ma basata sui vantaggi che le confederazioni possono offrire e i sindacati autonomi no. 9

(armato Corsini, preannuncia una civilizzazione anche di questi ultimi. Che cosa c'entra la smilitarizzazione con l'andare incontro alle giuste rivendicazioni economiche delle forze dell'ordine? I poliziotti, i carabinieri, le guardie carcerarie, i finanzieri, tutti coloro che sono in prima linea nella lotta per la difesa della Repubblica, cioè della democrazia e della nostra libertà, hanno il diritto di veder accolte le loro sacrosante rivendicazioni, che sono fondamentalmente due: un maggiore riconoscimento, anche economico, del loro ruolo di prima linea; mezzi efficienti e adeguati per compiere il loro delicato lavoro. Tutto deve essere speso a questo secondo fine; molto deve essere dato anche per andare incontro alla prima richiesta. Per il resto le forze dell'ordine devono essere unite nell'agire per far rispettare la legge. Unite, coordinate, disciplinate, dirette gerarchicamente: cioè militarizzate. Questo è necessario oggi per la salute della Repubblica. L'alternativa non è tra chi vuol dare e chi vuol negare più libertà. L'alternativa è tra conservare (siamo conservatori, in questo, lo confessiamo) la libertà o perderla, come inevitabilmente accadrebbe se gli ultimi argini contro l'assalto del terrorismo e della delinquenza venissero abbattuti. Sono pochi, ancora - è vero - quelli che questi argini vogliono abbattere: ma sono molti quelli che per stolidità, insipienza o incosciente leggerezza lavorano per indebolirli. Non è forse un indebolimento della polizia il dividerla in sindacati contrapposti e nemici proprio in questo momento? Non è forse un indebolimento dei carabinieri pretender da loro, nell'adempimento di compiti simili, il rispetto di quella stessa disciplina da cui gli altri sono sollevati? Non è un indebolimento delle forze dell'ordine lo spettacolo di un movimento che, sia pure dichiarando oggi che rispetterà la legge di domani, compie un'indebita pressione sul parlamento preannunciando un tesseramento che, a tutt'oggi, la legge vieta? Non è forse dare alle forze dell'ordine il senso dell'inanità della loro azione, lanciarsi a sfruttare per scopi di bassa politica questioni sulle quali, su queste sì, sarebbe necessaria l'unità nazionale? Non è forse indebolire il maggior presidio della nostra democrazia insinuare che proprio sui problemi per i quali ha specifica competenza, il far rispettare la legge, dovrebbe tacere il comandante generale dell'Anna dei carabinieri? Anche i generali possono essere criticati, è vero. La libertà che vogliamo i carabinieri difendano è anche la libertà di criticarli; di una libertà minore di questa non sapremmo che farcene. Ma prima di essere criticati, i carabinieri devono sapere che tra loro, che sono noi, lo Stato, da una parte, e il terrorismo, la violenza, la delinquenza, dall'altra, non siamo neutrali. Siamo con lo Stato. IL LEVIATANO 10 L'AVANA 79 FERNANDO MEZZE'ITI Realtà cubietica Cm CONOSCE APPENA UN PO' L'UNIONE sovietica, ritrova a Cuba qualcosa di familiare: quella cosa indefinibile ma unica e inconfondibile che è l'odore della Russia. Ne subisce il primo impatto salendo a Madrid sull'Iljusin della compagnia aerea Cubana; lo avverte all"aeroporto dell'Avana nelle esalazioni del materiale disinfettante usato per le pulizie; ne è investito per le strade dalle particolari zaffate di carburante sovietico emesse dagli scappamenti degli automezzi pesanti e medi, pure sovietici, con ancora le scritte in cirillico sulle fiancate: Gorkovski Avtozavod, fabbrica di automobili di Gorkij, cioè la città di Nifoij Novgorod, a suo tempo ribattezzata col nome dello scrittore. Al Tropicana, un grande cartellone dà il benvenuto in più lingue, ma la prima scritta è in russo: questo è il cabaret più famoso delle Americhe tutte. una volta tempio dell'erotismo caraibico. E' rimasto un locale faraonico, ma con casti spettacoli, con ballerine in lunghi abiti di lustrini. severe come istitutrici davanti alle tristi e austere delegazioni sovietiche o tedescoorientali da cui è in genere adesso composto il pubblico. Nei negozi riservati agli stranieri le vetrine esibiscono squisitezze del consumismo sovietico come il profumo per donna Noi/i moscovite, accanto a volumi fotografici con testo in russo e in spagnolo sulla «indistruttibile amicizia cubano-sovietica». Le librerie rigurgitano di testi di marxismo-leninismo stampati in lingua spagnola a Mosca dalle edizioni Progresso, con titoli in cui la severità dottrinaria cede a impulsi di adorante affettuosità come Nuestro Lenin e La sonrisa de Lenin. Nelle edicole troneggiano pacchi della rivista «La mujer sovietica», stampata a Mosca in lingua spagnola, mentre sulle cartoline, per chi non capisse lo spagnolo, c'è anche la scritta in russo. Nelle stesse edicole si possono trovare buste per le lettere con lo spazio per l'indirizzo già delimitato e disposto esattamente secondo le disposizioni delle poste sovietiche. Alla radio, alle note di Guantanamera si succedono quelle di Kalinka, mentre la televisione trasmette lezioni di lingua russa o sceneggiati e film russi con sottotitoli in spagnolo. Sono tutti segni apparentemente superficiali, ma certo eloquenti di una certa russificazione. frutto dei legami che uniscono Cuba ali' Unione Sovietica, e che si sostanziano in ben altro modo. Uscita con la rivoluzione castrista da uno stato di soggezione coloniale verso gli Stati Uniti, Cuba è di fatto in una situazione di molta più profonda soggezione verso l'Unione Sovietica. Sviluppatisi in vent'anni dal trionfo della rivoluzione castrista, i legami con Mosca hanno portato a una profonda dipendenza economica e a una stretta identificazione politica fra Cuba e Urss. Membro dal 1972 del Comecon - la comunità I I DICEMBRE 1979

economica dei paesi socialisti-Cuba ha accettato uno stretto coordinamento, e fatalmente alcuni tipi di controlli, dei suoi piani di sviluppo economico con quelli del blocco comunista. L'ingresso nel Comecon, in realtà, è stata anche una finzione per dare veste multinazionale a una politica e a legami che sono essenzialmente con Mosca. L'ottanta per cento del commercio estero cubano si svolge con i paesi socialisti, ma in realtà gli scambi con l'Unione Sovietica da sola costituiscono 1'87,5 per cento di questa cifra, mentre in assoluto rappresentano il 70 per cento del totale del commercio estero cubano. L'Unione Sovietica fornisce a Cuba tutto il petrolio di cui l'isola ha bisogno, fornendo anche aiuti industriali e prestiti a lungo termine: nel campo energetico. i sovietici stanno costruendo a Cuba. vicino a Cienfuegos, una centrale nucleare di 440 megawatt, alla quale dovrebbe seguirne un'altra nei prossimi anni. L'Unione Sovietica. inoltre. acquista, come è noto, la maggior parte della produzione di zucchero, che costituisce la maggior fonte di reddito del paese: si tratta di acquisti fatti a prezzi artificiosi. molto più alti di quelli del mercato mondiale: sia i prezzi dello zucchero, sia quello del petrolio e di altri generi, negli accordi cubano-sovietici, sono legati da un meccanismo reciproco. Così, nel 1978. per compensare gli aumenti dei prezzi del petrolio, i russi hanno pagato lo zucchero cubano a 40 centesimi di dollaro per libbra, mentre sul mercato mondiale il prezzo è stato di 8 centesimi per libbra. Tenendo conto dell'artificiosità di questi prezzi, secondo valutazioni del Dipartimento di Stato americano, l'aiuto sovietico a Cuba nel 1978è stato di due miliardi e 900 milioni di dollari, pari a un quarto del reddito nazionale cubano lordo, equivalente a un sostegno di 300 dollari all'anno fornito dalla Russia a ogni cittadino cubano. Si tratta di aiuti eccezionalmente cospicui che per l'Unione Sovietica trovano la contropartita nell'allineamento di Cuba alla sua politica estera e, soprattutto negli ultimi anni, nel sostegno militare di Cuba alla strategia imperiale sovietica, con gli interventi armati in Africa. La situazione subalterna a Mosca sul piano politico-economico si manifesta anche nell'organizzazione interna del Paese, modellata su quella sovietica, con l'adozione di piani quinquennali nell'economia e un severo regime di polizia, lontanissimo dall'immagine barricadera dei barbudos di vent'anni fa. Come osserva uno dei maggio~i conoscitori occidentali di Cuba, uno storico della statura di Hugh Thomas, L'Avana può avere molti motivi per accettare con molta alacrità il suo ruolo di sostegno ai piani sovietici in Africa e altrove. ma «qualcuna delle idee per l'intervento in Africa potrebbero benissimo venire da Cuba stessa». L'ambizioso progetto di «esportare la rivoluzione» è stato sempre presente nel movimento castrista, e basti ricordare a questo proposito Che Guevara. Falliti i progetti in America Latina, l'Africa dà oggi a Castro la possibilità di veder realizzato il suo desiderio di svolgere un ruolo storico che - osserva il Thomas - «non può essere soddisfatto in un'isola», aggiungendo: «Castro ha sempre avuto sogni di potere mondiale: nella guerriglia degli anni cinquanta a Cuba il suo nome di battaglia fu Alessandro». Mentre il partito e lo Stato si sono burocratizzati secondo il modello sovietico, Castro continua a presentarsi in pubblico e sulla scena internazionale come l'eterno guerrigliero. in divisa militare da campagna senza gradi. a differenza del fratello Raul che ama le solenni divise da generale. IL LEVIATANO L'intervento armato in Angola e in Etiopia è spesso· presentato dalla propaganda cubana - chi scrive lo ha sentito di persona dal ministro degli Esteri Isidoro Malmierca e dal numetro tre del regime dopo i due Castro. Carlos Rafael Rodriguez - come un ritorno al continente da dove «gli antenati di milioni di cubani furono portati via come schiavi nei secoli scorsi»; cioè anche come un atto di «internazionalismo razziale», oltre che di internazionalismo proletario, per i popoli del continente nero che lottano contro l'imperialismo. Ma anche tenendo presenti queste motivazioni demagogiche, e quelle personali di Castro. rimane il fatto che tutto viene svolto nell'ambito delle grandi strategie sovietiche; che il materiale bellico usato dai cubani in Angola e in Etiopia è sovietico; che gli llju§in 62 con cui truppe cubane furono trasportate in Angola per l'opemzione Carloua e successivamente in Etiopia erano sovietici; e che tutto l'armamento e l'equipaggiamento delle forze cubane. comprese le razioni in scatola. sono sovietici. E' quindi tenendo presente la strategia sovietica e il ruolo in essa assunto volontariamente da Cuba che si spiegano la funzione di «picchettaggio volante» svolto dai cubani in Africa e le dimensioni delle loro forze. Su di una popolazione di nove milioni e mezzo di abitanti, le forze armate cubane consistono in 200 mila uomini. più centomila «miliziani del popolo»: si tratta dell'esercito più forte dei Caraibi e, in relazione alla popolazione. di uno dei più forti del mondo: tra i satelliti sovietici, solo la Polonia ha più uomini alle armi, ma ha una popolazione quattro volte superiore a quella cubana. Un quarto delle forze armate cubane sono in Africa, dislocate soprattutto in Angola, dove sono stati portati 25 mila uomini, e in Etiopia, dove sono 17 mila uomini. Secondo fonti del Dipartimento di Stato, la presenza cubana negli altri Paesi africani sarebbe la seguente: 300-500 istruttori militari in Guinea, 650750 in Mozambico, 30 in Madagascar, 120 in Sierra Leone, 100-150 in Libia, 200 in Guinea Bissau, 300400 in Guinea equatoriale, 20 nel Benin. 350-550 tecnici in Tanzania. Nello Yemen del Sud, dove è al potere un regime di sinistra strettamente filo-sovietico. la presenza cubana sarebbe di cinque-seimila militari. E' una forma di penetrazione destinata a svilupparsi in sintonia con le strategie sovietiche, pronta ad assumere le dimensioni massicce che ha assunto in Angola e in Etiopia, essendo i cubani favoriti anche dal fatto razziale, dato che in aiuto ai rivoluzionari africani mandano soprattutto negri, che costituiscono un sesto della popolazione dell'isola. Si spiegano, così, i massicci aiuti sovietici per tenere in piedi uno Stato come quello castrista che, senza di loro, si affloscerebbe. Mentre il regime esalta l'amicizia indistruttibile con la Russia, si rafforza sempre più la presenza sovietica nell'isola: fra tecnici civili e assistenti militari sono in totale, secondo fonti americane, circa ottomila, ma è difficile vederli in giro. Vivono, come sempre i sovietici all'estero, in quartieri a loro riservati, con le loro abitudini. distaccati dalla popolazione locale. Al 'Avana. c'è un grosso complesso edilizio, in centro, a Vedado, completamente occupato da loro; è il Foxa, in cui esiste anche un ristorante russo riservato, appunto, ai russi. Non li si trova, certamente, al ristorante Mosca o al ristorante Volga o al Varsavia: qui vanno i cubani, facendo, si capisce, code di decine di metri in strada. dovendo anche dare, se il caso, la precedenza ai «quadri di alto livello». Anche queste possono essere conquiste della vittoriosa marcia verso il socialismo. 11

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