GIOVANNI AMENDOLA cese. Il partito di Giscard si chiama «repubblicano». Anche nel caso in cui l'area liberal•socialista avesse una maggiore coesione, è da presumere che diffkilmente essa potrebbe proporsi, almeno negli anni a venire, come una coalizione capace di guidare da sola il paese. Anche alla luce del recente dibattito aU'interno del Partito comunista e degli orientamenti che si delineano nella Democrazia cristiana, quale ritiene che debba essere, per l'area liberal-socialista, l'interlocutore prererenziale? Tomo a dire che non esiste un'area liberalsocialista in Italia: a parte gli studi storici, ripresi talvolta con ammiccamenti strumentalizzanti, sul nobile e generoso tentativo «socialista-liberale» di Carlo Rosselli (che era già profondamente diverso dal «liberal-socialismo» di Guido Calogero). Esistono in Italia, in questo settore, due aree fondamentali: l'area socialista e l'area democratico-laica, con prevalente connotazione riformatrice, da Amendola a La Malfa. Il PRI si considera il naturale punto di aggregazione e di riferimento di tale area, in cui si agitano istanze liberali, ma vissute in chiave progressista, sia nella concezione di una economia programmata (del tutto diversa dal vecchio liberalismo identificato einaudianamente col liberismo), sia nella stessa visione di uno Stato articolato, decentrato, profondamente differenziato dallo schema dello Stato monarchico-liberale. Una coalizione laica, come formula di governo, non sembra a portata di mano. L'essenziale è preservare il dialogo fra tutte le forze laiche e, in questo ambito, assume carattere fondamentale il colloquio, del resto mai interrotto, fra repubblicani e socialisti. E' il confronto economico e politico a sinistra, su cui si è mossa tutta l'azione lamalfiana. Confronto col PSI, ma anche col PCI, sui contenuti di una democrazia industriale avanzata. Veniamo a problemi più contingenti. U partito repubblicano, soprattutto per opera del compianto __,,vole La IL LEVIATANO Malfa, è stato qoello cbe più di tutti gli altri partiti si è battuto perché si prendesse coscienza deUa gnvità della situazione in cui veria il paese e perché all' .. emergenza» si rispondesse con uno sforzo di solidarietà nazionale. A molti appare tuttavia inconciliabi.le il concetto di •Stato di emergenza•, che per definizione descrive una situazione di crisi acuta, con il protrarsi dell' «emergenza• nel corso degli anni, ciò cbe fa piuttosto pensare a una malattia cronica che affligge il Paese. Lei ribadirebbe oggi cbe la definizione più corretta deUa situazione del nostro Paese è queUa di •stato di emergenza»? In caso affermativo, ritiene ancora necessaria I'«unità na• zionale• per superare questo stato? Se sì, ancora una volta alla luce degli orientamenti prevalenti nei partiti maggiori, ritiene che il traguardo di un governo di •unità nazionale• si sia avvicinato o allontanato? Noi oggi guardiamo a una forma di «patto sociale» che consenta di salvare il salvabile della «solidarietà nazionale». Noi riteniamo che l'ottava legislatura non possa ripetere meccanicamente formule o alleanze registrate nella settima: compreso il generoso tentativo del1' emergenza in cui Moro e La Malfa hanno impegnato tutte le loro energie fino al sacrificio della vita, in modi diversi. Nulla è mai eguale nella storia. Ma il superamento della crisi che investe il meccanismo di sviluppo della società italiana (che noi repubblicani vogliamo mantenere a tutti i costi nell'area occidentale, come area di alleanze e di vita) presuppone un coinvolgimento di forze, almeno sociali, più vasto di quello che possa realizzarsi anche in un'eventuale maggioranza parlamentare a cinque, estesa ai socialisti, e, ammesso che sia possibile, con la chiusura al PCI. l danni del populismo di sinistra si uniscono a quelli dell'assistenzialismo democristiano. La miscela è esplosiva. Senza un minimo di patto sociale, compatibile anche con ruoli diversi e distanti nella collocazione parlamentare, l'emergenza, ancora in atto, sarebbe destinata a sfociare in una crisi istituzionale. Per la quale non basterebbero certo le facili ricette della «riforma costituzionale». GIOVANNI SPADOLINI 9
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