colmabile. Tuttavia anche in questo campo qualche cosa si può fare: aumentare l'interoperabilità dei vari eserciti europei. Dato che difficilmente un'aggressione può avvenire su tutto il fronte, avere strumenti interoperabili, cioè che possono spostarsi da una parte all'altra perché usano gli stessi mezzi, gli stessi pezzi di ricambio, lo stesso munizionamento, lo stesso combustibile, concetti di impiego sufficientemte simili, significa dare a ciascun paese europeo la possibilità di avere un significativo concorso nella propria difesa anche da parte degli eserciti degli altri paesi, che non avrebbero ddifficoltà ad operare fuori dal proprio territorio. Anche in questo campo ci sono problemi da risolvere: interessi industriali e interessi sociali si oppongono a una concreta standardizzazione dell'armamelo e quindi a una reale interoperabilità. Ma uno sforzo anche qui va compiuto. n suo ragionamento strategico postula dunque un avvicinamento tra gli Stati europei anche sul piano politico? Per aumentare la nostra capacità di difesa dobbiamo, noi europei, essere più uniti, anche politicamente: non c'è dubbio. E' questa volontà politica che può determinare anche un miglioramento della situazione militare. Quale possa essere lo strumento di questa maggiore unità, tocca ai politici studiare e stabilire. Esistono già MERCATO COMUNE I cordoni della borsa Gu INCONTRI PREPARATI DEL VERTICE EUROPEO di Dublino hanno evidenziato un isolamento pressoché completo dell'Italia. Un braccio di ferro Consiglio-Parlamento sembra improbabile, ma, qualsiasi soluzione di compromesso venga alla fine escogitata, rimane il ratto che l'atteggiamento dell'Italia in sede CEE sembra oscillare fra una contestazione viruJenta di alcuni meccanismi comunitari, ritenuti, non a torto, svantaggiosi per l'ltaJia, ed una rassegnala accettazione di essi. La posta in gioco in questa controversia è alta, ed ogni governo europeo ha giocato con accortezza le sue carte. Bisogna tener conto anche di un notevole cambiamento di clima, che si sta affermando in vari paesi. La sacralità dell'aumento indefinito della spesa pubblica ed il pregiudizio favorevole sulla sua utilità, vengono sempre di più contestali. Ai brontolii tedeschi sugli sprechi dell'euroburocrazia, si sono aggiunte perplessità sempre più esplicite dell'opinione pubblica inglese e francese, fomentate da qualche notizia scandalistica sui •lussi• di alcuni commissari CEE. Ma il problema è più vasto: se non si vuole parlare dei tagli al bilancio del governo di Mrs. Tatcher, basterà ricordare che la recente crisi della maggioranza francese, sventata in extnmis, si è giocata sulla proposta dei gollisti di un taglio immediato di 2 miliardi di rranchi. Tale proposta non è passala, ma il semplice ratto che sia stata formulata è significativo. In campo europeo sono pure applicabili le osservazioni del deputato francese Philippe Seguin: •Che delle economie siano possibili, salta agli occhi dei più sprovveduti. Ridimensionare il tenore 12 delle realtà europee: si tratta di andare avanti sulla strada intrapresa. Ho concluso la mia relazione parlando, brevemente per non sembrare retorico, del 476 dopo Cristo, quando cadde l'impero romano d'Occidente. Se si fa un'analisi delle ragioni di quella caduta, ci si accorge che ci sono una serie di motivi che hanno un'impressionante affinità con le ragioni della crisi attuale dell'Europa. C'era, anche allora, la difesa affidata ad altri - alleati, amici, certo, ma non più romani-; c'era la divisione della società in classi contrapposte, senza più un colloquio tra di loro, senza un tessuto sociale intermedio e moderatore; c'erano motivi di carattere religioso, quale il fenomeno dell'eremitaggio, che coinvolse decine di migliaia di persone, che ha una certa affinità con quello degli attuali «figli dei fiori», degli hippies, alla ricerca di valori nuovi e però disgreganti. Somiglianze impressionanti. Gli errori compiuti allora furono pagati con secoli di barbarie attraverso tutto il Medioevo. L'Europa non dovrebbe ripetere gli errori che allora fecero i romani. (li colloquio col genere Barbolini si è svolto a seguito del sesto seminario atlantico_ Venezia, novembre 1979 _, nel corso del quale egli ha letto una relazione sul «Dibattito sulla sicurezza militare nel- /' Europa occidentale,). di vita dello Stato, non e, come si vorrebbe far suppom con malignità, bloccare gli stipendi dei funzionari, diminuire le pensioni degli u-rombattenti, ridurre i sussidi alle persone anziane. Si tratta, invece, di prendersela con le spese inutili, sontuarie - che sono moltissime - e con la proliferazione di procedure che escludono qualsiasi controllo reale•. (·Le Figaro•, 17 novembre 1979) AUora si può comprendere la vera posta della controversia sul bilancio della CEE. Da ima parte, c'è una ragionevole e giustificata riluttanza ad assumere decisioni di spesa che richiedano un automatico ed indefinito allargamento del prelievo. I gelosi custodi dell'autonomia nazionale - nel caso specifico, soprattutto la Gran Bretagna e la Francia - vigilano per impedire slittamenti eccessivi verso la sovranazionalità. Dall'altra, vi sono meccanismi che, per quanto aberranti - come il sostegno di alcuni prodotti agricoli o zootecnici - hanno fatto la loro prova ed hanno determinato il coagularsi di potenti interessi. Qui la Francia e la Gran Bretagna si trovano in contrasto. La posizione innovativa dell'Italia, solida dal punto di vista teorico, è in realtà abbastanza debole. Quale credibilità può avere, nel campo agricolo, la richiesta di passare dalla politica dei prezzi a quella delle strutture? L'Italia non solo ha, in passato, sacrificato senza batter ciglio gli interessi della sua agricoltura a quelli dell'esportazione industriale, ma anche, dal momento dell'istituzione delle regioni ad oggi, ha praticato un notevole immobilismo per quanto riguarda gli interventi in agricoltura (qualcuno, a Bruxelles, potrebbe aver controllato l'entità dei residui passivi sul «piano quadriroglio•). Per quanto riguarda. poi, la sac.rosanta rivendicazione di un potenziamento del fondo regionale e sociale, è mai sorto il sospetto che l'uso ratto dal governo italiano dei propri fondi per l'industrializzazione del mezzogiorno possa avere suscitato qualche perplessità nei nostri parlners, soprattutto quando essi pensano alla gloriosa lista di successi che si chiamano Alfasud, Gioia Tauro, Ottana, ecc.? Il nodo del bilancio europeo, quindi, per quanto riguarda l'Italia, al di là delle soluzioni immediate, per essere sciolto, richiede una autocritica ed un cambiamento di rotta nei comportamenti delle amministrazioni pubbliche e delle forze sociali. Celso Demfanis 4 DICEMBRE /979
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