Il Leviatano - anno I - n. 5 - 4 dicembre 1979

5 500 lire ILLEVIATANO settimanale di commento politico ----■♦■---- Non e' è sulla Terra chi sia superiore al Leviatano, il quale i /alto per non avere paura: egli guarda in faccia L'arte imita quel razionale e più eccellenu lavoro della natura che è l'uomo. Poiché con l'arte è è reato _quelgran ù 0viata,:ao, chiamato StOto (in latino civitas), il quale non è che -ufl uomo artificiale, benché ài maggiore natura e fon.a del naturale, per la protèzione , difesa del quale fu concepito. tutlo ciò che è eccelso, egli è re su tulle le creature più superbe. (Giobbe, XLI, 25-26) Il grande Leviatano è que/1'unica creatura al mondo ~he dovrà restare senl,O ritraili sino alla fine. Questo Leviatano ci scende addosso, dibattendosi dalle fonti dell'Eternità. (H. Melville. Moby Dick.capp. LV. CV) in questo numero: (T. Hobbcs,- uviatano, Introduzione) E quante nature poetiche non ho incontrato <d/tJ!:o? E quante ne hai Slrango/au tu nel corso di questi deceMi, ' maledello Leviatano? (A. Solzenicyn, Arcipelago Gulag, V, 5) Spadolini sul dialogo tra laici Il generale Barbolini sulla strategia europea Finocchiaro sui pericoli di guerra Di Giuliomaria sulla politica dei sindacati Editoriale sulle prospettivedell'arealaica Zaccaria sullo scandalo dell 'ENI Demartis sul rinvio delle elezioni scolastiche La legge sull'editoria - Risposta all' «Unità» Collaboratori: GIOVANNI ALDOHRANDINI. GIUSEPPE ARE. DOMENICO BARTOU. GIUSEPPE BEDESCHI. ['.',!/,() Bl n 1/.A. LlTIANO C,\FAGNA. VENERIO CATTANI. LUUO COLLETTI. RENZO DE FEUCE. PAOLO DE!\.1ARTIS. CELSO DE STEFAI\IS. SIRIO DI (ilULIOMARIA. GIANNI FINO(THIARO, CARLO FUSI. Al.DO GAROSCI. PIER CARLO ~tASl'.'il, NICOLA MA"l ffUCCI. Rl-.'.'IATO MILI.I, ALDO G. RICCI, GUIDO Rll.l.ETTI, ROSARIO ROMEO. ALBEN.TO RONCltEY. DOMENICO SETTEMBRINI. GIL'SEPl'E lAMBURRANO. PAOLO UNGARI. GUELFO ZACCARIA. Direttore responsabile: Gllit.10 SAVELLI 4 dicembre 1979

EDITORIALE Vie nuove NEGU ULTIMI TEMPI (MENO, A DIRE IL vero, in questi ultimissimi mesi, di più prima e subito dopo il modesto ma significativo successo elettorale del 3 giugno) si è tornati a parlare di «area laica» o «laico-socialista» e di «terza forza», con ciò intendendo prefigurare uno schieramento politico che per un verso sia alternativo alla Democrazia cristiana, e assicuri quindi quel fisiologico ricambio nel governo che .è caratteristica indispensabile del sistema democratico occidentale; e per altro verso, diversamente dal comunismo o dal frontismo, sia alternativo nel sistema (economico: di mercato, politico: liberaldemocratico), anziché alternativo al sistema come, malgrado tutto, appare ancora gran parte della sinistra nel nostro paese. Tre - a nostro parere - sono gli aspetti sotto i quali esaminare questa prospettiva: anzitutto è da discutere se essa sia auspicabile, se cioè. in linea anche solamente teorica, o astratta, indipendentemente dagli attuali o futuri effettivi rapporti di forza, un'alleanza laico-socialista potrebbe rappresentare un beneficio per l'Italia; in secondo luogo è da vedere se essa sia realizzabile in un ragionevole futuro, se cioè si tratti di una prospettiva realistica o di una irrealizzabile utopia; infine, in relazione alle conclusioni che si trarranno dall'esame dei primi due aspetti, v'è da tradurre quell'ipotesi in una qualche forma di politica pratica, per i prossimi mesi e per le prossime scadenze. Che una simile prospettiva sia auspicabile, ci sembra difficile possa essere negato da chi da una parte ritenga, come noi riteniamo, che il sistema occidentale sia, in definitiva. nonostante i suoi pur numerosi difetti, decisamente _preferibile a qualsivoglia tentativo sia mai stato messo in opera per «superare il capitalismo». Chi ritiene migliore il sistema del gulag ha una scala di valori, perfino una concezione dell'uomo, tanto lontana dalla nostra che ogni dialogo è perfettamente inutile. Ma anche chi, nella speranza di superare le disarmonie e le ingiustizie del mondo di oggi, ha creduto di poter mantenere aperta la possibilità di una «società socialista» che avesse tutti i pregi della teoria e nessuno dei difetti della pratica, dopo tante, diverse e ripetute esperienze, non può non essersi posto il quesito se tante smentite che i fatti hanno dato alle idee non debbano necessaria2 mente far ritenere che le idee non stiano in piedi: e chi onestamente a questo quesito ha cercato di rispondere non può non essere arrivato alla conclusione che il sistema va sì migliorato ma non abbattuto. E però, d'altra parte, chi il sistema vuole salvaguardare. ancorché migliorare, non può non vedere i guasti arrecati dal più che trentennale governo democristiano: guasti che derivano sia dalla posizione di monopolio del potere, con la conseguente «arroganza» ;he nasce dalla sicurezza di non essere sloggiati (e non a caso, anche in casa dc, non sappiamo con quanta sincerità, qualcuno ha sostenuto che il partito cattolico avrebbe qualche beneficio da un periodo di permanenza all'opposizione); sia, aggiungeremo, dalla più profonda natura di quel partito, scarsamente sensibile ai principi e ai metodi che dovrebbero regolare una società industriale moderna e impregnato invece di provvidenzialismo, assistenzialismo, populismo, tanto lontani dalo spirito moderno: pragmatico e imprenditoriale. Per cui un rafforzamento e un avvicinamento dei partiti laici e socialisti sembra rappresentare l'unico possibile ricambio di governo nel sistema, ma anche un avvicinamento ai modelli delle più moderne società occidentali. Nel resto dell'Occidente, peraltro, le forze politiche alle quali sono più o meno simili i partiti intermedi italiani, laici o socialisti, non solo hanno una consistenza ben maggiore che da noi, ma spesso hanno responsabilità governative di primo piano, a volte tra loro alleate, più spesso reciprocamente alternative. In Italia, per ragioni di cui più volte si è discusso, esse invece rappresentano, tutte insieme, poco più del 20% dell'elettorato, laddove 1'80%si divide tra partiti che, per ragioni diverse, appaiono più o meno ostili al sistema delle società occidentali. Onde parrebbe ancor più necessario mettere l'accento sugli elementi di affinità anziché su quelli di divergenza, anche se questi ultimi esistono e non sono di poco conto. Ma augurarsi che anche in Italia cresca la corrente di opinione che fa riferimento ai partiti laici e socialisti, augurarsi che questi partiti trovino modi e forme di dialogo, di collegamento, di alleanza, di superamento perfino delle partizioni attuali, non significa dimenticare le difficoltà oggettive che un processo di questo genere incontra, 4 DICEMBRE 1979

Pure, sembra che un avvicinamento tra partiti fino a ieri così diversi sia in qualche misura realizzabile. Anzitutto tutti i partiti dell'area laico-socialista sono ormai fermamente legati e ideologicamente affini al resto del mondo occidentale. In secondo luogo, pur rimanendo da una parte o dall'altra una preferenza a più o meno estendere la presenza dello Stato nella vita pubblica, nessun liberale penserebbe oggi possibile, secondo i canoni ideologici, di affidare allo Stato solo i compiti di polizia e di giustizia, come nessun socialista penserebbe utile affidare allo Stato non solo, che so, l'assistenza sanitaria e previdenziale o la gestione delle fonti di energia, ma anche le imprese che possono operare in regime di concorrenza. In terzo luogo tutti i partiti intermedi sono sensibili al malcontento per la forma in cui il sistema è stato retto finora e traducono questa spinta in una rinnovata aspirazione a un grado maggiore di autonomia. Infine. se pure. come è certo. le divisioni nascono da motivi profondi, o comunque oggettivi, esse si sono per lungo tempo cristallizzate nella figura dei capi storici dei singoli partiti; la scomparsa o il «pensionamento» di questo capi storici e l'emergere di gruppi dirigenti nuovi, meno psicologicamente legati alle polemiche del passato, dovrebbe consentire almeno la riapertura di un dialogo. Un avvicinamento tra i partiti laici e socialisti appare dunque non solo auspicabile, ma anche più realizzabile di quanto non sia stato nel passato. Non mancano tuttavia gli ostacoli, sia DISEGNO DI RAFFAELLA OTTAVIANI IL LEVIATANO di natura storica, psicologica, sociale, ai quali ora neppure si può accennare, sia relativi alle attuali posizioni politiche, su molte questioni ancora molto divergenti. In queste condizioni, la strada sembra più facilmente percorribile se, evitando le fughe in avanti o le nette chiusure, si procede nella ricerca di possibili punti di contatto, sia pure parziale e limitati, nella definizione di alcuni possibili comportamenti parlamentari e politici comuni, come già nel passato, a volte, si ottenne, per esempio con la battaglia per l'introduzione del divorzio in Italia. Dai diritti civili è possibile passare alla ricerca di punti programmatici comuni nel campo dell'economia, della politica sociale, della scuola. della moralità pubblica. Alla ricerca di questi punti comuni, anziché alla sottolineatura delle divergenze, offrirà un proprio contributo anche questo giornale, sia con contributi propri, sia stimolando interventi esterni al gruppo dei collaboratori abituali, dell'area e fuori dell'area. In questa prospettiva si situa l'intervista che il segretario del Partito repubblicano, senatore Giovanni Spadolini, ci ha rilasciato per questo numero del «Leviatano»: le sue risposte, per la verità, sembrano più voler ricordare i motivi di divergenza che non quelli di convergenza tra i partiti dell'area laicosocialista. Ma partendo dalla consapevolezza delle diversità è forse più agevole anche un proseguimento del dialogo, nel quale, nelle prossime settimane, interverranno altri autorevoli esponenti dei partiti laici e socialisti. J

GUERRA E PACE GIANNI FINOCCIDARO Serajevo in Iran? A RIFLETTERE CON L'ESPERIENZA STORICA, non tutte le conflagrazioni mondiali sono state iniziate sulla spinta di grandi moventi politici. economici, ideologici o morali. anche se a conclusione di ogni guerra tali moventi appaiono gli unici veri. Dal naso di Cleopatra, al telegramma di Ems o all'attentato di Sarajevo. le occasioni che hanno provocato lo scoppio di conflitti sono state spesso modeste, qualche volta persino ridicole. Il fatto è che lo scoppio di una conflagrazione presuppone non soltanto l'accensione di una scintilla. ma un accumulo di esplosivo provocato da precedenti sommovimenti che alterano gli equilibri preesistenti. Può un vecchio e rozzo fanatico fungere da scintilla che cade sull'esplosivo accumulatosi in questi ultimi anni cosi pieni di mutamenti degli equilibri internazionali? Perché no? Perché mai Khomeini non potrebbe essere quella scintilla che può provocare una guerra. la cui portata sarebbe tutt'altro che limitata, visto che essa coinvolge una delle superpotenze del mondo. cioè gli Stati Uniti? Mentre scriviamo queste note non sappiamo quale sarà la conclusione dell'allucinante vicenda dei 49 ostaggi statunitensi rinchiusi nell'ambasciata americana di Teheran. Non sappiamo se la potente flotta, inviata dagli Stati Uniti nel Golfo Persico. si limiterà ad un blocco navale o passerà ad azioni belliche dirette alla liberazione degli ostaggi o alla vendetta di un eccidio. Né sappiamo se il presidente americano prenderà valide decisioni o continuerà i suoi ammonimenti nell'attesa di una imprevedibile soluzione che. in un modo o nell'altro, porterà alla liberazione degli ostaggi. li dramma che si sta recitando a Teheran è molto più grave di quanto non appaia, appunto per la sua follia e assurdità. Che poi questa assurdità abbia le sue connessioni con quei tanto misteriosi quanto violenti sommovimenti del mondo islamico è cosa che può sorprendere la razionalità del pensiero politico occidentale (e anche quello dei paesi comunisti. dopo tutto) fondato su una logica che separa nettamente politica e religione, potere e diritto. Ma che non dovrebbe impedire di prendere atto di situazioni che contribuiscono a rendere ancora più precari gli equilibri della situazione internazionale, col rischio di non essere più controllata. È di pochi giorni or sono il vertic-e arabo di Tunisi (ma più propriamente mussulmano, visto che vi partecipava anche la Somalia) in cui si sono sentite affennazioni come questa del presidente irakeno Saddam Hussein: «/ paesi arabi dispongono attualmente di una grande forza economica di cui 11011lra11110 fatto sentire ancora il peso nella battaglia. Mi riferisco in particolare al petrolio ma non solo a questo». Quale battaglia? E contro chi? Mentre persino il «moderato e laico» presidente tunisino, Burghiba, ha affennato che «la lotta contro Israele non è una questione di territorio ma di principi arabo-islamici contro il sionismo e sarà lunga e dura per il presente e per il futuro,. Ma se questi fatti sfuggono alla nostra razionalità, non deve sfuggire la gravità dei pericoli che sta correndo la pace del mondo se è vero, com'è vero, che gli equilibri sui quali si manteneva la situazione internazionale fino a qualche anno addietro risultano oggi grandemente modificati e alcuni addirittura sconvolti. Cerchiamo di vedere cos'è accaduto in quest'ultimi anni nella politica internazionale per modificare notevolmente l'assetto su cui riposa la «pace» del mondo. Tra la fine del i<J78e l'inizio de11979 gli Stati Unìti e la Cina, dopo un rapido reciproco riconoscimento diplomatico. hanno ristabilito una sorta di amicizia politica che, pur avendo dietro le spalle una tradizione storica, non può non aver avuto un grande peso nei bilanciati rapporti USA-URSS. L'equilibrio veniva in un certo modo ristabilito da quest'ultima rinvigorendo l'alleanza con il Vietnam, il quale, dopo aver assoggettato il Laos, occupò la Cambogia filocinese. tentando di porsi come potenza egemone su tutto il Sud Est asiatico con minacciose pressioni sulla Malaysia. la Thailandia e Singapore. Il disegno vietnamita di un blocco indocinese di 100milioni di abitanti, quale sarebbe uscito da una tale egemonia, fu sventato dall'attacco cinese del febbraio scorso contro il Vietnam frustrandone ogni velleità egemonica. Le spese di questi equilibri e riequilibri sono ancora oggi pagate dal popolo cambogiano la cui tragedia sconvolge la coscienza del mondo. Ma gli equilibri in Asia risultano alterati anche altrove. Nello stesso 1978 anche l'Afghanistan, equidistante fino a quell'anno, entra pienamente nella sfera d'influenza sovietica. All'inizio del 1979 l'Iran, considerato il bastione occidentale posto di fronte all'URSS, crolla cadendo nelle mani di un anacronistico potere religioso che riesce a sospingere verso concezioni medievali un intero popolo che, al di là della natura del precedente potere politico. sembrava avviato verso un certo sviluppo di tipo occidentale. Ed è proprio nell'Iran. ove gli equilibri rotti non risultano ancora ristabiliti o sostituiti in alcun modo. che si sta pericolosamente accumulando quell'esplosivo che minaccia oggi la pace. D'altra parte non basta l'allentamento della tensione nel Medio Oriente seguito alla pace tra Egitto ed Israele a controbilanciare quel pauroso vacuum che sta tenendo il mondo col fiato sospeso. Nell'esame degli equilibri turbati non va trascurato quel che è avvenuto in quest'ultimi anni in Africa ove, fra il 1977ed il 1979, l'URSS, tramite il decisivo intervento dei ventimila mercenari cubani, prima in Angola e poi in Etiopia, è riuscita ad installarsi nelle due sponde del Mar Rosso grazie anche alla tutela esercitata da anni sul Sud Yemen e Aden. Nel centro dello stesso continente americano gli equilibri risultano anch'essi turbati non soltanto dalla tensione tra URSS e USA. a causa dalla brigata sovietica installata a Cuba, ma anche per il procedere della rivoluzione nicaraguegna verso una specie di via cllbana al socialismo. A questi squilibri della mappa geopolitica del mondo vanno aggiunti quelli degli schieramenti politici mondiali. E certamente fra essi il più importante è l'annichilimento del movimento dei non allineati entrato in crisi a seguito del tentativo, tutt'altro che isolato, di Fidel Castro di piegarlo ad una «naturale alleanza con il blocco comunista antimperialista». 4 DICEMBRE /979

DA «LE MONDE» Anche se il tentativo non riuscì - grazie all'opposiziene-di un comunista·da sempre, cioè-del presidente jugoslavo Tito - non c'è dubbio che la ragion d'essere della sua esistenza, cioè lo sganciamento dai blocchi contrapposti, risulta gravemente ferita. A questa crisi va aggiunta quella gravissima dell'ONU, scaduta da centro del dibattito politico mondiale a mercato ove si acquistano e si vendono i voti delle micronazioni. Anche l'equilibrio militare tra i due blocchi risulta alterato, nonostante l'accordo sovietico-americano sui Sali 2 firmato a Vienna nel giugno 1979 da Carter e Breznev. Negli ultimi due anni. infatti. la superiorità militare dell'URSS in Europa ha raggiunto livelli tali da spingere la NATO a ristabilire l'equilibrio con un massiccio ammodernamento del potenziale missilistico posto a sua difesa. Che l'equilibrio militare in Europa risulti modificato è testimoniato dallo strenuo tentativo dell'URSS di attestarsi definitivamente sulle posizioni favorevoli raggiunte, come dimostra la martellante pressione sui paesi europei della NATO ai quali essa indirizza da mesi ammonimenti, lusinghe e minacce fino all'arrogante dichiarazione di qualche giorno fa a Bonn di Gromiko secondo la quale «l'URSS non intavolerà trattative con quei paesi che accetteranno il Pershing 2 e i Cruise» (con chi dunque Pajetta intavolerà le invocate trattative «al livello più basso»?) Non va trascurata infine la rottura dell'equilibrio militare navale nel Pacifico settentrionale ove, secondo una denuncia cinese, avallata dal direttore (in pratica il ministro) della difesa giapponese, la flotta russa con le sue 775 navi ha superato la consistenza delle flotte americana. filippina e giapponese messe insieme. Dulcis in fundo, anche l'equilibrio nucleare mondiale risulta modificato dallo scoppio di un ordigno atomico nel Mar australe annunciato drammaticamente da Carter e flemmaticamente smentito dal Su~ Africa a cui se ne è attribuita la paternità. E un accumulo che dovrebbe spaventare chiunque. anche il più ottimista degli osservatori politici. E se poi guardiamo con i nostri occhi di europei, non possiamo non tremare dinanzi all'abulico comportamento d1questa penisoletta del continente euroasiatico che si chiama Europa. Se sono ormai pochi i dubbi sulla debolezza e fragilità dell'attuale leadership americana che da un paio d'anni non riesce a controllare, e meno che mai IL LEVIATANO a volgere a suo favore, il più modesto avvenimento internazionale nonostante la nomea di paese «imperialista», ve ne sono altrettanto pochi sulla sostanziale irresponsabilità dell'Europa occidentale. Dalla crisi energetica del 1973 in poi l'Europa si va comportando nella politica internazionale con una abulia che non ha confronti e che solo l'inconscienza può considerare desiderio di distensione e di pace. Un intelligente osservatore di politica internazionale ha fatto notare, alcuni mesi or sono, che in occasione del vertice dei paesi industrializzati del1 'Occidente per trovare una soluzione comune al problema energetico. tenutosi a Tokio a fine giugno, tutti i primi ministri europei che vi avevano partecipato, chi prima chi dopo la riunione, si fermarono a Mosca. «Nella tradizione politica europea - scriveva un secolo e mezzo fa Karl von Clausewitz in Della Guerra -gli Stati si impegnano bensì, con trattati di alleanza offensiva e difensiva, a prestarsi reciproco appoggio, ma non al punto tale che ogni Stato debba fare proprie le inimicizie e gli interessi dell'altro. Essi si ripromettono solo reciprocamente il soccorso di un corpo di truppe di determinata enllta, ordinariamente poco considerevole, senza aver riguardo agli obiettivi di guerra e agli sforzi possibili del/' avversario. Con 1111 simile atto di alleanza, l'alleato non si considera impegnato•. Se tale tradizione vige ancora fra i paesi europei è evidente che la destabilizzazione degli equilibri internazionali, segnatamente in Europa, ha giocato e continua a giocare a favore di quella, fra le due superpotenze, che ha barato e che continua a barare di più: vale a dire l'Unione Sovietica. A proposito di Clausewitz, Lenin in Infantilismo della sinistra e spirito piccolo-borghese, ha scritto: «Se le forze s0110chiaramente poche, il mezzo principale della difesa è la ritirata nel cuore del paese. Chi volesse vedere in questa frase una formula di circostanza, adattata esclusivamente al caso in questione, può leggere nel vecchio Clausewitz, uno dei grandi scrittori militari, il bilancio degli insegnamenti della storia a questo proposito». Quanti., nella crisi attuale degli equilibri internazionali, confidano nel mantenimento della pace non hanno che da augurarsi che veramente l'URSS non esca «dal cuore del paese». Fino al 31 dicembre l'abbonamento al Leviatano è più conveniente Chi si abbona entro il 31 dicembre 1979 paga solo 10.000 lire l'abbonamento fino al 31 dicembre 1980 Conto corrente postale n. 58761008 Intestato a «Il Leviatano» via dell'Arco di Parma 13 - 00186 ROMA

I IL PRINCIPE IN REPUBBUCA I in cui ci insegnavano che non esiste Il •giusto prezzo• della Summa di San Tommaso o della Summula ranraniana, ma solo il prezzo del mercato. Le cui contrattazioni, beojnteso, non si svolgono in contesto anarchico, ma nel quadro di limiti legali e di convenienze economiche determinate dall'azione consapevole del potere pubblico. L'e• quo canone doveva portare una fase di ripresa all'attività edilizia; come tutti vedono. Quelli che l'indisponibilità di case in affitto costringe a rinunciare a promozioni amministrative, o a vantaggiose offerte private, in quanto im• plicano un trasferimento, anche a tempo. Le giovani coppie rimaste allo stato nuido: in obbedienza ad una •nuova concezione del rapporto•, come ci insegnano i nostri sociologi a un soldo dalle prime pagine dei grandi quotidiani, ma che sempre più spesso risuscitano l'entusiasmante istituto del matrimonio in casa dei suoceri, da prima in attesa di meglio e poi in atiesa della dipartita dei vecchi ingombranti. ~ radosso della lotta di classe, questi occupano di solito grandi appartamenti che non hanno più forza o domestici per curare, né possibilità economica di lasciare per altri più piccoli e adatti. Così nell'era del fet le nostre leggi ci murano vivi nelle case che occupiamo, mentre gli iotelleltuali del sindacato dissertano con condiscendenza sulla mobilità .del lavoro. di Paolo Ungari Leggie Terrore •Or, ks Lois soni impuis,antes """ la Te"eur•. C'è già chi ricorre alla grandiloquenza rivoluzionaria di fron• te alla prospeltiva che la riforma deUa sanità, sicuramente inapplicabile da chiunque, e in buona posizione di gara (non ci rosse stata queUa suUa Rai-Tv) per il titolo di pessima nel trentennio repubblicano, cominci a naufragare il I. gennaio '80, quando le regioni, lan• ciate verso il turno elettorale di fine primavera, riceveranno l'agognato ma ina quietante dono delle •unità sanitarie locali•. E' solo troppo facile rispondere che l'Iran nel suo insieme, e la vita italiana di oggi in talune sue pieghe, si prestano a provare la proposizion contraria: che il terrore riesce a sua volta impotente in difetto di •leggi•, senza cioè la determinata volontà di conseguire obiettivi realistici, chiaramente pensati, in un tempo assegnato. U triennio 1976-79 è stato la terra d'elezione del tipo di leggi non-leggi, al cui scacco inevitabile si sa rispondere solo con tumultuarie processioni ad petendam pluviam: salmodiando suUa •volontà politica• o invocando istericamente il «terrore,.. La riforma sanitaria è solo un esempio. Un altro è la legge sull'occupazione giovanile, ennesima invenzione clientelare della classe politica, che di questi giorni popola le piazze romane di un variopinto esercito di •cooperative• (persino negli archivi di Stato ... ) i cui MasanieUi reclamano, tanto per cambiare, la sistemazione universale in ruolo senza concorso, e la chiusura delle saracinesche contro i giovani che verranno poi. Regna invece il silenzio nel seltore privato, dove com'era prevedibile la legge non ha attecchito, mentre in Francia palron/UJI e sindacalisti disputano sul numero dei nuovi posti di lavoro indotti dalla legge analoga nell'ordine deUe centinaia di migliaia. Ancora un esempio? Ma sì: l'equo canone, spettro che ritorna dal tempo BLOCKNOTES Chi conserva e chi no L , . « UNITA• DEL 23 NOVEMBRE HA DEDICATO al • Leviatano» un lungo articolo, firmato da Duccio Trombadori. li giudizio che vi viene formulato sulla nostra rivista è completamente e incondizionatamente negativo. E ciò perché noi saremmo, in so· stanza, dei conservatori, dei paleo-liberali, decisamente rivolti al passato, nostalgici di ciò e/re non potrà tornare mai pitì. In breve, noi non accetteremmo, non vorremmo riconoscere «che l'età moderna - del totalitarismo, ma anche delle democrazie industriali, socialiste, di altro tipo ancora - è dominata dalla presenza, nelle articolazioni del potere politico, di grandi masse organizzate: in partiti, sindacati, associazioni autonome, e così via•. Sembra incredibile, ma l'articolista de «L'Unità» dice proprio così, e lascia intendere che noi vorremmo cancellare con un tratto di penna partiti, sindacati, ecc., attraverso i quali è giunta a compimento «la ribellione delle masse». L'articolista de «L'Uni• tà» osserva che fra i nostri collaboratori figurano personalità /aie/re, di formazione liberal-democratica, e personalità dell'area socialista. Possibile che tutti costoro siano improvvisamente impazziti e siano diventati, di punto in bianco, dei seguaci di ... Metternich? 6 Stia di buon animo Duccio Trombadori: noi ci siamo ampiamente riconosciuti nel saggio di Amendola e nella sua replica al Comitato Centrale comunista, cioè nel 'affermazione che la sinistra porta una responsabilità gravissima nella crisi e/re travaglia il paese, e che tale responsabilità è da individuare a vari livelli: nel/' avere assecondato e anzi incoraggiato un rivendicazionismo indiscriminato che ha gravemente inceppato il meccanismo economico, e nel 'avere tollerato inammissibili forme di violenza nella lolla sindacale. Se la sinistra 11011 pone rimedio a ciò, il crollo di questa democrazia è sicuro (altro che «superamento del capitalismo»!). Tulle queste cose ha detto Amendola, e noi le condividiamo. Conservatore, dunque, anche Amendola? Paleo-liberale, insofferente della «ribellione delle masse», anche lui? Suvvia, siamo seri. Del resto -a riprova di quanto sia complessa la situazione - lo stesso Duccio Trombadori ci ha spiegato nei giorni scorsi su « La Repubblica» e/re, nonostante la giusta e ferma posizione assunta dal PCI contro il terrori· smo, ci sono nelle sue file, persino fra i suoi deputati, dei tipi che hanno coperto e coprono le posizioni filoterroristiche del/' «autonomia». Questo ha scritto e documentato Duccio Trombadori. Conservatore, paleo-liberule anche lui? In realtà, il dissenso fra noi e «L'Unità» consiste semplicemente in questo: che noi riteniamo che per fare politica in modo serio, per potersi rivolgere alla gente in modo decente e pulito, occorra un minimo di coerenza, e che 11011 si possa ieri affermare (con Amendola) che il sindacato ha commesso un terribile errore quando ha considerato il salario una variabile indipendente, destabilizzando il sistema, e oggi affermare (contro Amendola), a soli due anni di distanza, che il problema è quello di «superare il capitalismo», cioè di sopprimere il sistema. Perché, delle 4 DICEMBRE1979

due tesi, l'una è in radicale contrasto con l'altra, l'una esclude l'altra. Nasconderlo alle «masse», è puro infantilismo - ma un infantilismo che prepara brulle sorprese per la democrazia. Tullo qui. Unoscandalo signorllel g.b. u N GRUPPO DI DEPUTATI SOCIALISTI HA PREsentato alla Camera una proposta di legge per l'istituzione di una commissione parlamentare d' inchiesta sui rapporti tra l'ENI e l'Arabia Saudita. Primo firmatario (e non certo per ragioni di ordine alfabetico) è /'on. Claudio Signorile, ovverosia la medesima per.1ona insistentemente indicata come uno dei ben.Jiciari della tangente del 4% incassata da alcuni politici italiani per una operazione di acquisto di petrolio saudita da parte del/' EN I. Tra_- dollo in lire, questo 4% corrisponderebbe a 40 miliardi una cifra di fronte alla quale lo scandalo Lockheed e perfino quello troppo spesso dimenticato del/' ANAS diventano imbrogli di scarsa consistenza. Al momento in cui scriviamo, non sono ancora stati forniti elementi concreti circa l' ejfellivo coinvolgimento del/' on. Signorile in questa losca storia di tangenti, che se provata dimostrerebbe tra !' ~ltro come il contributo annuale dello Stato a, par/111non sia affa110 sostitutivo ( come vuole la legge a suo tempo appositamente varata) di certe discutibili fonti di finanziamento, ma semplicemente aggiuntivo. D'altra parte, sempre al momento in cui scriviamo, non risulta nemmeno che l'on. Signorile abbia provveduto a querelare tutti quei giornalisti che in un modo o nell'altro hanno fatto il suo nome con riferimento alla tangente dei 40 miliardi, . 11~ le dichiarazioni rilasciate dal governo in sede d, dibatti/o I FASTI D'ITALIA di Venerio èattani parlamentare sono tali da aver fugato ogni dubbio al riguardo. Se a questo si aggiungono le voci che circolano all'interno stesso del partito di cui /'on. Signorile è vicesegretario, risulta sempre più difficile non prendere in considerazione l'ipotesi che in tutta la vicenda qualcosa di vero ci possa anche essere. Nel PSI, infalli, si evidenziano da parte dei «colpevolisti» alcune circostanze e coincidenze non prive di significato. E cioè: I) il presidente dell'ENI dr. Mozzanti è amico personale oltre che politico dell'on. Signorile, al quale deve appunto la sua carica; 2) il fatto che nell'operazione ENI-Arabia Saudita_ appaiono coinvolti /'on. Signorile e /'on. Andreottl spiegherebbe finalmente lo strano atteggiamento cauto ed amichevole sempre tenuto dal vicesegretario del PSI nei confronti dell'ex-presidente del Consiglio anche nei momenti in cui la polemica antiandreottiana del/' 011. Craxi raggiungeva le sue punte più aspre; 3) in questi ultimi mesi l' 011. Signorile ha dimostrato di essere in possesso di ingenti mezzi finanziari, fondando due quotidiani in Puglia: nella sua circoscrizione elettorale, ed entrando assieme a 1111 ministro DC strellamente legato all'on. Andreotti nella proprietà di un quotidiano napoletano; 4) alla origine della rottura con l'on. Signorile da parte del/' on. De Michelis e di altri esponenti della sinistra del PSI non ci sarebbero soltanto ragioni di carattere politico, ma anche la protesta per essere stati tenuti ali' oscuro - come corrente - di quanto ricavato dall'operazione ENI-Arabia Saudita. Tullo questo che abbiamo riferito a puro titolo di cronaca è ancora troppo poco - si obietterà - per arrivare a certezze di tipo matematico. D'accordo, è perfettamente vero: ma è anche ed. an.cor più ve~o che giunte le cose a questo punto il vicesegretario del PSI non può più limitarsi, per salvaguardare l'onorabilità sua e dell'intero sistema politico di cui è autorevole esponente, a chiedere l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta. I Gtulf o Zaccaria forse era tale da bastargli finché campasse. Non aveva quindi bisogno di farne sfoggio e di parlarsi addosso con inutili citazioni. Scriveva, e soprattutto parlava, bene. I suoi discorsi erano sempre costruiti con logica e detti in un italiano perfetto. Un buonministro socialista Era uno dei pochil'l>oliticiche sapesse le lingue: anche questo gli fu addebitato come snob. Il mondo un po' grossolano dei deputati non gli perdonava quel tanto di ricerca di eleganza, ■ passione per il bridge e un risvolto di mondanità che si è tiratu dietro fino alla fine. De Martino prima, e poi il ..:Midas"',lo avevano fatto fuori mala• mente. Fu depennato dal Comitato centrale mentre era a casa con l'in• nuenza, confermando la vecchia regola socialista: «Chi si alza dalla seggiola è perduto•. Achille Corona è stato un buon ministro. Il suo periodo viene ricordato come iJ periodo aureo di un minfflero, queUo del turismo e spettacolo, che in Italia avrebbe dovuto -re lmportan• te e che invece è sempre stato preso come un ministero di rimbalzo. Naturalmente, -odo stato ministro del bestemmiato centro-sinistra, il mortorio non è stato clamoroso. Eppure, Achille era stato, a suo modo, un rilevante personaggio. Non era un bel carattere. Aveva i difetti comuni a gran parte deUa classe politica, una certa dose di vanità e di egocentrismo. Solo che, a differenza di altri, non sapeva dissimularli. E a chi lo conosceva ciò poteva renderlo sgradevole, e soprattutto lo rendeva vulnerabile. IL LEVIATANO Aveva però i pregi del politico autentico. Il suo giudizio sui falli politici era sempre azzeccato; il suo consiglio sempre avveduto. La sua fedeltà a Nenni era diventata un tratto caratteriale. Ricordo di averlo sorpreso più volte aUa Camera a •sorbire• le parole di Nenni al punto di ripeterle in silenzio con il movimento deUe labbra. Però, come allora usava, esponeva aJ \lecchio il proprio parere con franchezza assoluta, sostenendo vivacemente U contraddittorio; poi, se il parere di Nenni era il contrario, aUa rme lo accettava e basta. Era la nostra forma di •centralismo democratico,.: non tanto male poi, visto che il gruppo funzionava. Aveva un notevole bagaglio culturale, che la politica attiva non gli aveva poi permesso di aggiornare, ma che 7

AREA LAICA PRI e PSI, partiti storici della democrazia Intervista con GIOVANNI SPADOLINI SENATORE SPADOUNI, NON .C'È ~UBBIO CHE QUELle tra pensiero liberaldemocratico e pensiero socialista riformista siano differenze di non poco conto, fondate su tradizioni teoriche e politiche diverse e consolidate nel corso di molti decenni. Ciò non impedisce tuttavia a socialisti e liberali di collaborare al governo in vari Paesi europei. Ritiene possibile, senza offuscare le divergenze, identifacare, anche in Italia, dei punti di possibile intesa tra i partiti delle aree di democrazia liberale e socialista, abbastanza rilevanti da configurare una specie di programma di governo? Intanto bisogna intendersi su chi rappresenti in Italia l'eredità del pensiero liberale, «liberal» nel senso anglosassone. Il partito liberale si costituisce nel nostro paese quando lo Stato liberale ha già cessato di esistere, dopo la marcia su Roma; è quasi una malinconica confessione di impotenza, nell'estremo autunno del 1922. In Italia è esistito, dal Risorgimento al fascismo, lo Stato liberale, con tutti i suoi limiti idelogici e oligarchici; ma non un partito liberale in senso moderno. li rimprovero degli «antigiolittiani» a Giolitti è di aver concorso, col suo sottile trasformismo progressivo, a impedirne la costituzione, quando nel primo decennio del secolo - già formati organicamente i partiti della sinistra democratica o classista, cioè repubblicani, radicali, socialisti stessi - ciò era possibile. L'area della democrazia liberale quindi, nel nostro paese, si confonde piuttosto con l'area della democrazia repubblicana. Non a caso democrazia repubblicana si chiamò il nucleo scissionista dal partito d'azione nel 1946, quello cioè che rifiutava la caricatura di un secondo o terzo mini-partito socialista. E non a caso venti anni prima e più, Giovanni Amendola - che era un liberale classico, quiritario - chiamò «Unione democratica nazionale» il nucleo di questo grande partito democratico-riformatore, e tendenzialmente già repubblicano dopo il tradimento della Monarchia rispetto ali' Aventino. Non fece riferimento in nessun senso al termine «liberale». Ci sarà stata pure una ragione. Ecco perché individuo punti di convergenza e di contatto fra l'area della democrazia socialista e l'area della democrazia laica, o laico-repubblicana. In questa area. almeno fino al 1976, il partito liberale ha pesato poco o niente (con la sola eccezione del gruppo del «Mondo», che non a caso ruppe presto col PLI e costituì il 8 MARIO PANNUNZ/O primo partito radicale, alleato dei repubblicani nelle elezioni del 1958). Con l'avvento della sinistra liberale alla guida del partito, i liberali si sono avvicinati a talune posizioni da sempre sostenute dai repubblicani. Ma è una strada ancora lunga da percorrere. In Italia, però, le aree liberaldemocratica e socialista sono un po' congestionate. Vi sono due partiti membri dell'Internazionale socialista e due partiti affiliati all'Internazionale liberaldemocratica. Quali sono a suo parere le cause di questo sovraffollamento e quali le possibilità di un avvicinamento almeno tra i partiti ideologicamente affini? Il caso italiano è del tutto anomalo. Ma i partiti storici della democrazia italiana sono due, e solo due: i socialisti e i repubblicani. Nascono a distanza di pochi anni l'uno dall'altro: nel 1892 il socialista, nel 1895 il repubblicano (che però ha venticinque anni di anzianità clandestina, come movimento associativo e solidaristico, dei «patti di fratellanza»). Entrambi affondano le loro radici nel movimento operaio: riuniscono settori delle classi subalterne, in base a due impostazioni di rinnovamento sociale differenziate e in qualche misura contrapposte, che tali sempre resleranno (l'associazionismo mazziniano contro la lotta di classe). li radicalismo è in Italia un'eresia del repubblicanesimo. Ma tutte le istanze liberali-progressiste si muovono, fino all'avvento del fascismo, nell'orbita delle forze di democrazia all'opposizione come il PRI o a metà fra opposizione e governo come i radicali. La sola eccezione è Giolitti, sul versante liberale. I repubblicani possono stare nella federazione liberaldemocratica (non nell'Internazionale liberale. cui non appartengono) in quanto essa comprende partiti radicali e progressisti, che hanno avuto una storia simile ai repubblicani italiani e nulla di comune con le forze moderate o reazionarie, spesso assorbite nei variegati fronti liberali. Aggiungete che la parola «liberale» quasinonesistenellageografiapoliticafran4 DICEMBRE /979

GIOVANNI AMENDOLA cese. Il partito di Giscard si chiama «repubblicano». Anche nel caso in cui l'area liberal•socialista avesse una maggiore coesione, è da presumere che diffkilmente essa potrebbe proporsi, almeno negli anni a venire, come una coalizione capace di guidare da sola il paese. Anche alla luce del recente dibattito aU'interno del Partito comunista e degli orientamenti che si delineano nella Democrazia cristiana, quale ritiene che debba essere, per l'area liberal-socialista, l'interlocutore prererenziale? Tomo a dire che non esiste un'area liberalsocialista in Italia: a parte gli studi storici, ripresi talvolta con ammiccamenti strumentalizzanti, sul nobile e generoso tentativo «socialista-liberale» di Carlo Rosselli (che era già profondamente diverso dal «liberal-socialismo» di Guido Calogero). Esistono in Italia, in questo settore, due aree fondamentali: l'area socialista e l'area democratico-laica, con prevalente connotazione riformatrice, da Amendola a La Malfa. Il PRI si considera il naturale punto di aggregazione e di riferimento di tale area, in cui si agitano istanze liberali, ma vissute in chiave progressista, sia nella concezione di una economia programmata (del tutto diversa dal vecchio liberalismo identificato einaudianamente col liberismo), sia nella stessa visione di uno Stato articolato, decentrato, profondamente differenziato dallo schema dello Stato monarchico-liberale. Una coalizione laica, come formula di governo, non sembra a portata di mano. L'essenziale è preservare il dialogo fra tutte le forze laiche e, in questo ambito, assume carattere fondamentale il colloquio, del resto mai interrotto, fra repubblicani e socialisti. E' il confronto economico e politico a sinistra, su cui si è mossa tutta l'azione lamalfiana. Confronto col PSI, ma anche col PCI, sui contenuti di una democrazia industriale avanzata. Veniamo a problemi più contingenti. U partito repubblicano, soprattutto per opera del compianto __,,vole La IL LEVIATANO Malfa, è stato qoello cbe più di tutti gli altri partiti si è battuto perché si prendesse coscienza deUa gnvità della situazione in cui veria il paese e perché all' .. emergenza» si rispondesse con uno sforzo di solidarietà nazionale. A molti appare tuttavia inconciliabi.le il concetto di •Stato di emergenza•, che per definizione descrive una situazione di crisi acuta, con il protrarsi dell' «emergenza• nel corso degli anni, ciò cbe fa piuttosto pensare a una malattia cronica che affligge il Paese. Lei ribadirebbe oggi cbe la definizione più corretta deUa situazione del nostro Paese è queUa di •stato di emergenza»? In caso affermativo, ritiene ancora necessaria I'«unità na• zionale• per superare questo stato? Se sì, ancora una volta alla luce degli orientamenti prevalenti nei partiti maggiori, ritiene che il traguardo di un governo di •unità nazionale• si sia avvicinato o allontanato? Noi oggi guardiamo a una forma di «patto sociale» che consenta di salvare il salvabile della «solidarietà nazionale». Noi riteniamo che l'ottava legislatura non possa ripetere meccanicamente formule o alleanze registrate nella settima: compreso il generoso tentativo del1' emergenza in cui Moro e La Malfa hanno impegnato tutte le loro energie fino al sacrificio della vita, in modi diversi. Nulla è mai eguale nella storia. Ma il superamento della crisi che investe il meccanismo di sviluppo della società italiana (che noi repubblicani vogliamo mantenere a tutti i costi nell'area occidentale, come area di alleanze e di vita) presuppone un coinvolgimento di forze, almeno sociali, più vasto di quello che possa realizzarsi anche in un'eventuale maggioranza parlamentare a cinque, estesa ai socialisti, e, ammesso che sia possibile, con la chiusura al PCI. l danni del populismo di sinistra si uniscono a quelli dell'assistenzialismo democristiano. La miscela è esplosiva. Senza un minimo di patto sociale, compatibile anche con ruoli diversi e distanti nella collocazione parlamentare, l'emergenza, ancora in atto, sarebbe destinata a sfociare in una crisi istituzionale. Per la quale non basterebbero certo le facili ricette della «riforma costituzionale». GIOVANNI SPADOLINI 9

EQUILIBRI MILITARI L'Europa si difenda! Intervista con FRANCO BARBOLINI IL GENERALE DI CORPO D'ARMATA FRANCO Borbolini è presidente del Centro di alti studi strategici militari (CASM) de/l'Esercito Italiano. GENERALE BARBOL/NI, C'È UN RINNOVATO INTEresse nell'opinione pubblica per i temi strategici e militari, seguito alla notizia dell'installazione dei missili SS 20 da parte dell'Unione Sovietica e alla proposta americana di localizza.re in Europa, come risposta a questo rinnovamento dell'armamento russo, un certo numero di missili Pershing e Cruise. Vuole in.nanzituUo precisarci qual è la situazione nuova che si è determinata, dal punto di vista militare, sul teatro europeo e quale nuovo cambiamento avverrebbe con l'installazione dei missili americani? Il problema della sicurezza europeo - a mio modo di vedere - va diviso in due parti. Anzitutto c'è un problema immediato. Nella componente nucleare di teatro. la Russia. con !"introduzione degli SS 20. ha ottenuto un vantaggio estremamente significativo rispetto all'Occidente. Nella politica che persegue la NATO. quella dell'equilibrio militare - riteniamo infatti che solo l'equilibrio riduca al minimo i rischi di un'aggressione e di una guerra -, si tratta di colmare questo squilibrio. attraverso l'utilizzazione di due vettori estremamente moderni. il Pershing e il Cruise. offerti dagli americani. Forse è opportuno chiarire questo concetto di squilibrio. Alcuni sostengono che, dal momento che la Russia, con i missili strategici, è in condizione di colpire obiettivi negli Stati Uniti, a maggior ragione, anche senza gli SS 20, sarebbe in grado di colpire tutte le capitali europee. In che senso allora i nuovi missili sovietici aumentano il pericolo di aggressione per noi europei? L'osservazione ha qualche fondamento. Si possono però identificare diverse fasce di armamento: la componente nucleare s1rategica. la componente nucleare tattica o di teatro infine la fascia convenzionale. Il problema dell'equilibrio va esaminato fascia per fascia. Per quanto riguarda le armi nucleari strategiche. e cioè principalmente i missili intercontinentali e i relativi sistemi di lancio. si è arrivati. se non alla parità. quanto meno a una situazione che si può definire di stallo. Questi mezzi sono posseduti solo dalle due grandi potenze. che cercano di ottenere. attraverso i negoziati Sali, un reciproco controllo e possibilmente un arresto o addirittura un decremento del rispettivo potenziale. Questa fascia. in qualche modo. è stata isolata e identificata e i negoziati hanno portato a un blocco della corsa agli armamenti in questo settore. IO Se consideriamo ora l'ultima fascia. quella convenzionale. la Russia e i suoi alleati del Patto di Varsavia hanno attualmente un'enorme superiorità nei confronti dell'Occidente e in particolare delrEuropa: basti dire che di fronte agli oltre 26.000 carri armati del blocco sovietico l'Europa può schierarne solo 6.000. Questa differenza di potenziale è peraltro difficilmente colmabile. Tuttavia è possibile ritenere che questa superiorità non sia in fondo il peggiore di mali. Il guaio è che ora la Russia sta ottenendo la superiorità anche nell'altra fascia, quelle nucleare tattica o di teatro. Le armi nucleari di teatro sono quelle che possono colpire obiettivi in un singolo teatro di guerra: sono quelle che dalla Russia possono raggiungere l'Europa e che dall'Europa possono raggiungere la Russia. Ora. è vero che anche i missili strategici sovietici possono colpire l'Europa. ma mentre vi è una situazione di reciproco controllo dell'armamento strategico, nell'armamento di teatro non c'è né controllo né equilibrio. Attualmente la situazione, in poche parole. è la seguente: i russi hanno vettori nucleari. fuori dagli accordi Salt. che possono colpire gli obiellivi europei: gli europei non hanno nessun vettore equivalente. Gli SS 20 sono un potente mezzo specifico, costruito unicamente in vista di obiettivi a distanza ravvicinata, cioè obiettivi europei. L'installazione di questi missili ha giustamente allarmato le autorità politiche e militari europee. che sono perciò alla ricerca di mezzi da opporre a questo nuovo armamento sovietico. Pershing e Cruise sono mezzi adeguati allo scopo che si vuole ottenere. Eppure, da qualche parte, si mette in dubb~or"e ci sia la superiorità m_ilitare del blocco sovietico nel teatro europeo. Ognuno può dire quello che vuole. però la superiorità c'è. Basta prendere il Ba/ance of 4 DICEMBRE 1979

Mili,ary Power edito dagli uffici strategici di Londra, che è quanto di più attendibile ci sia in materia. e la superiorità è chiaramente documentata. Chi dice cose diverse non so dove prenda le sue informazioni. Per quanto riguarda la seconda parte del problema, cui prima ho accennato,. c'è da dire che il dibattito strategico non può limitarsi ai provvedimenti più urgenti. C'è anche un problema di medio e lungo termine. In questa prospettiva non è ragionevole pensare che l'Europa, con il suo patrimonio economico, demografico, con la sua civiltà. a distanza di trentacinque anni. continui ad affidare la propria difesa a un alleato. a un generosissimo amico come sono gli Stati Uniti, ma che rimane pur sempre un'entità distinta dall'Europa, con diversi interessi e a migliaia di chilometri di distanza. C'è dunque un problema di autonoma difesa europea. La sfera nucleare strategica può rimanere nelle mani delle grandi potenze, Russia e Stati Uniti: e tra di loro prosegua pure il dialogo per arrivare a un equilibrio e, possibilmente a una riduzione del potenziale. La componente nucleare di teatro invece potrebbe essere presa in mano dagli europei. non dai singoli Stati sia ben chiaro. ma dall'Europa nel suo complesso. Solo così un potenziale aggressore saprebbe di andare incontro a una risposta precisa. Un conto è se un ladro viene in casa sua e lei ha i suoi mezzi per difendersi: un altro conto è se il ladro sa che. per difendersi, lei ha bisogno di chiedere aiuto al vicino. L'Europa deve trovare la forma. per arrivare, nell'ambito dell'Alleanza atlantica. a parlare con l'altro partner, gli Stati Uniti, da pari a pari. Due voci che si integrino e si compenetrino: diversamente dalla situazione di oggi in cui, è vero, ci sono tredici voci attorno al tavolo. ma chi ha necessariamente la predominanza sono gli Stati Uniti. Ma, secondo lei, !"Europa ha la capacità tecnologica ed industriale per provvedere autonomamente al proprio arma~ mento? Direi di sì. Comunque. oggi. il problema non è questo. E' un problema piuttosto di volontà politica. Gli americani ci offrono gli strumenti per ristabilire l'equilibrio con la Russia nel campo delle forze nucleari di teatro. I mezzi dunque ci sono. Il problema è quello di far sì che la responsabilità dell'impiego sia devoluta ali' Europa. Ciò che io ipotizzo è un'assunzione di responsabilità da parte degli europei. È un discorso quindi più politico che tecnico. Un discorso per il quale gli americani sono peraltro d1sp?~ibili. Sia~o noi europei che, per vari mot1v1. non abbiamo trovato il punto d'accordo per potere parlare unitariamente. E' facile è difficile trovare questo accordo? Tutti dico.no che è difficile. Ma non era difficile anche fare la Co_munità europea? Eppure si è fatta. Marcia a fatica, è vero. però marcia. Come cambierebbe la situazione se le forze nucleari di teatro fossero in mani europee? La Russia attualmente è in grado di portare Il. LEVIATANO FRANCO BARBOLJNI un'aggressione contro l'Europa con le forze convenzionali. data la superiorità cui si è accennato, soprattutto contro le ali. che rappresentano il punto più debole, piuttosto che contro il centro dello schieramento. Ammesso che ci sia una volontà di aggressione - e in linea generale direi che c'è, perché, se l'aggressione in Europa non si è ancora avuta, la Russia è però all'offensiva in varie parti del mondo; ad esempio, ci sono ora venti battaglioni sovietici nell'Afghanistan -, la Russia deve calcolare quale può essere la possibile risposta. Risposta convenzionale. certo; ma rischio alquanto modesto di un arresto nucleare, anzitutto per la complessità delle procedure proprie dell' Alleanza e per i conseguenti lunghi tempi decisionali che portano a cercare con maggiore sollecitudine altri tipi di freno all'aggressione ed in secondo luogo per la minor volontà, rispetto al passato. degli Stati Uniti. unici detentori della chiave nucleare. di far ricorso a tale tipo di intervento davanti alla consapevolezza di una possibile ritorsione che inevitabilmente toccherebbe direttamente il loro territorio. li potenzia- .le nucleare sovietico assume quindi la funzione di vero deterrente all'impiego di quello NATO e non viceversa. Supponiamo invece, domani. di avere nuovamente un equilibrio nell'armamento nucleare di teatro e queste armi in mano agli europei: l'effetto dissuasivo sarebbe ben diverso sia da quello di una situazione di squilibrio, sia da quello in cui l'armamento non fosse nelle mani di chi si deve difendere. Rimarrebbe tuttavia lo squilibrio nell'armamento conven• zionale. Sì; e come ho detto mi sembra difficilmente 11

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