ISRAELE ALDO GAROSCI n revisionista MenahemBegin · LA MAGGIORANZA DEGL'ITALIANI, PUR NON ignari di quanto avviene oltre frontiera, prova un vago senso di fastidio e confusione per le notizie che vengono da Israele. Perché questo Stato non vuol trattare con la rispettabile OLP, quella che fece la strage di Monaco e ha testé fornito i missili a Pifano? Perché un gruppo di giovani fanatici del movimento «Gush Emunim» si è insediato in una zona della Cisgiordania a Eilon Moreh e non vuole andarsene a nessun costo, pur avendo contro di sé una sentenza della Corte suprema di Israele e una decisione, alquanto all'italiana, dello stesso governo? Perché questo governo appunto, che esige lo sgombero di Eilon Moreh, prepara un piano (anzi due piani divergenti, uno del ministro della difesa Weizman e uno di quello dell'agricoltura, Sharon) per altri insediamenti in Cisgiordania. e ciò appena sei mesi prima della promossa applicazione alla zona dell"«autonomia» degli accordi di Camp David, fin qui scrupolosamente osservati? Perché espelle il sindaco di Naplusa, la maggior città della zona, Bassam Sciakàa, dando occasione a disordini e dimissioni a catena? La quasi impossibilità di trovare, in poche parole, risposte per così diversi e complessi quesiti rafforza lo smarrimento e il fastidio, di cui profittano abbondantemente le potenze, i movimenti, le diplomazie ostili alla sopravvivenza d'Israele, e anche tutti coloro che non vogliono seccarsi. Si conclude che gl'israeliani (come gli spagnoli nel 1936,i cecoslovacchi nel 1938), sono dei gran rompiscatole, causa di tensione internazionale. Anzi, forse sono i colpevoli di quel caropetrolio, che per ogni persona ragionevole deriva invece anzitutto da una situazione di crescente domanda di energia e offerta monopolistica, combinata con varie sottocause politiche, prima il rinato fanatismo antioccidentale dell'Islam. Nell'ambito di questo nostro modesto «samizdat» che è il «Leviatano» non possiamo rispondere a tutte le domande. Proveremo a rispondere a una: chi è Begin con la sua coalizione di governo? Secondo: perché gli è stato così facile (relativamente) ritirarsi dal Sinai e così difficile risolvere il problema della Cisgiordania? Prima, Begin uomo. E' un ebreo di cultura occidentale, ashkenazita polacco, revisionista. E' stato prigioniero dei russi e ha raggiunto la Palestina solo con i polacchi di Anders. Proviamoci a definire il «revisionista». Revisionista, secondo il fondatore del movimento Jabotinski, è chi non aspetta passivamente la conquista della patria dalla buona volontà delle potenze, ma la rivendica con quella forza che ha: cospirazione, iniziativa avventurosa. Non un «fascista», come amavano definirlo gli avversari. Un nazionalista della generazione che si era formata ai tempi della prima guerra mondiale, in cui c'era del Mazzini (Jabotinski, di cultura anche italiana, tradusse, tra l'altro, Dante in ebraico). A differenza dei laburisti, credeva non tanto nel popolo proletario 16 organizzato, quanto nel popolo «storico». in tutte le sue componenti, con una sua «missione» nel mondo. La sua «missione» era anzitutto di dimostrare, in una terra allora semideserta e in cui sarebbero emigrati sette milioni di ebrei (mancano all'appello le vittime dell'olocausto) che gli ebrei, maggioranza per una volta tanto, sapevano non umiliare le minoranze, così come essi. minoranza. erano stati umiliati. La loro lotta era meno con gli arabi che con gli «imperialisti» (la parola era in uso anche allora). ~a quando, dopo una lotta in cui guerriglia e terronsmo ebbero parte minima, diplomazia e organizza~1one .e senso dello Stato una parte massima, gl'mgles1 se ne andarono, né Begin né i superstiti re_visionistipoterono competere con i laburisti. Quesu ave~a~o. messo in primo piano gli insediamenti produtt1v1e 11lavoro, la comunità e la organizzazione industriale: il kibbuz e la histadruth. Perciò vinsero tre guerre e mezza e crearono l'Israele moderna. Ma anche per loro venne la resa dei conti. Comunità, confederazione del lavoro, industria di Stato non fanno da sole un paese moderno. Con i clericali (non si poteva prescinderne in un paese nato per proteggere anche una specificità religiosa) si accordarono con un sistema di reciproche autonomie confessionali, di tipo musulmano, pur senza esplicita professione di confessionalità dello Stato. Nacque, né poteva essere diversamente, in un paese che assunse. come l'Italia, una funzione trasformatrice, un'industria, un commercio, un turismo fuori dell'apparato statale. Il corporativismo di una società del lavoro lasciò fuori di sé una parte dell'antica società sefardita (ebrei mediterranei) impiantata sulla tribù. La prudenza diplomatica gli impedì di profittare delle vittorie; una pace «a sottocosto» sarebbe parsa, dopo di esse, tradimento degli ideali. Venne, quindi, l'ora di Begin. Non tanto del Begin revisionista, dell'intellettuale ashkenazita, ma della coalizione degli scontenti del «Labour»: la reazione del «privato», del «religioso», dell'idealismo pionieristico che si risvegliava anche tra i giovani sefarditi, del sottoproletariato, dell'antiburocrazia. Begin ebbe quindi l'occasione del colpo di genio: la pace con l'Egitto, che rompeva l'isolamento di Israele e prelude alla creazione di una futura grande area orientale, in cui Israele e i suoi vicini possano essere elemento di stabilità. Cedette quanto nessun suo predecessore avrebbe potuto cedere, perché il Sinai non fa parte. neppur per lui, del retaggio tradizionale di Israele. Alla Cisgiordania rinuncia, non credo nel cuore né per sempre, ma con la coscienza di quanto guadagnerà il suo paese. Senonché, in questo parossismo della trattativa, non è solo il suo principio ingioco ma quelli misti e confusi della coalizione: è il neopionierismo dei giovani sefarditi, del «Gush Emunim», è la forza dei religiosi chiave di una coalizione eterogenea (Begin è, personalmente, laico, ma non ha dietro a sé la «chiesa» socialista); la forza dei militari, che chiedono realismo, sempre più. E nessuno poi, né Begin né i suoi avversari, pensa di cedere sicurezza materiale senza contropartita. Scissa che sia la coalizione di governo, scisso che sia il «Labour» (in seno al quale, a parte l'opposizione di sinistra, si è formato il gruppo «Bet Berl») non c'è santo americano né europeo che possa indurre Israele a rischiare senza combattere non diciamo il genocidio degli anni quaranta, presente come ricordo in ogni famiglia, ma la sorte attuale dell'Iran o del Libano, che un tempo veniva dall'OLP additato al mondo come esempio di Stato arabo «democratico» e «laico». 27 NOVEMBRE 1979
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