perché è ideologicamente più vecchio della società che pretende di governare e, pertanto, non la comprende nelle sue più profonde trasformazioni. La società post-industriale è una società assai articolata e diversificata, nella quale la stratificazione sociale è molto complessa, per l'apparizione di nuovi ceti con nuove domande politiche. Mentre le vecchie contrapposizioni (come quelle di capitale-lavoro, Stato-Chiesa, città-campagna), che avevano caratterizzato in Europa la formazione dei diversi ,sistemi partitici nell'età dell'industrializzazione, non funzionano più per una società totalmente diversa e non stimolano più le vecchie lealtà ideologiche, sorgono nuove fratture e nuove tensioni, dovute a fattori etnicolinguistici, alla qualità della vita, all'ecologia, ai diritti civili, alla questione giovanile e a quella femminile, e - non da ultimo - alla nascente rivolta anarco-liberale contro quella nuova forma di autoritarismo, che è lo Stato assistenziale. La società post-industriale crea tante minoranze del dissenso, che si ritrovano in movimenti collettivi (e non in partiti) e su concreti problemi. Questi movimenti mettono in corto circuito i grandi partiti organizzativi di massa, perché non li attaccano sul solo terreno sul quale essi sanno muoversi, quello dello schiaramento sul continuum destra-sinistra. Il fatto che l'ideologia sia così sfasata rispetto alla realtà, proprio perché ferma a più di un secolo fa, provoca, per contraccolpo, nella pratica, due pericolose tendenze, dato che, in un sistema politico, in cui vige la regola delle elezioni, resta pur sempre necessario ottenere voti. Da un lato, l'accettazione acritica e passiva di un programma tuttofare, per riuscire ad essere un partito pigliatutto, senza avere però la capacità (e anche la possibilità) di tradurlo in termini di effettivo governo. E questo è soltanto semplice opportunismo. Dall'altro lato, le ideologie producono effetti perversi. Partendo dalla dottrina sociale della Chiesa, dai valori della beneficenza IL LEVIATANO e della carità, la DC nella gestione dell'IRI ha creato la nuova borghesia di Stato, fonte di corruzione, clientelismo e parrassitismo. Partendo dalla teoria gramsciana dell'egemonia, il PCI, visto che non la poteva ottenere in un sistema di libero mercato, ha accettato sempre più la pratica delle lottizzazioni, per insediare i propri controllori in tutti i nervi della società civile. Sono entrambi partiti che, per la riproduzione del proprio elettorato, devono perseguire un capillare controllo della società civile. Cosi all'opportunismo si aggiunge una politica del potere per il potere: una politica senza prospettive, salvo la predica di un' «altra» o di una «nuova» democrazia. Berlinguer ha respinto il pragmatismo, definendolo «ottuso», forse perché a-ideologico; e tale definizione potrebbe essere benissimo ripetuta da un intellettuale cattolico dell'area Zaccagnini. Vero è anche il pragmatismo è un momento di quel razionalismo critico (opposto al razionalismo dogmatico), che si è formato a stretto contatto con la rivoluzione scientifica. Ebbene: una democrazia industriale non funziona, senza una cultura politica secolare, che si ispiri appunto al razionalismo critico, per un duplice ordine di motivi. Da un lato la moderna società indudustriale è nata e si è sviluppata, proprio applicando il metodo scientifico ai processi produttivi; ed entra in crisi, quando ci si affida soltanto alla magia delle parole. Dall'altro lato, la democrazia, per funzionare in modo costruttivo, deve porre alla base del confronto politico come di ogni progetto non le astratte emozioni, ma quella ragione critica, che continuamente verifica nell'esperienza la correttezza delle proprie proposizioni e delle proprie scelte. Questo compito di secolarizzazione la cultura politica dei partiti italiani dovrebbe, a mio avviso, costituire il vero impegno di tutti quegli intellettuali, che si interessano attivamente di politica. JJ
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