ci, interruzioni e blocchi stradali, aggressioni alle forze dell'ordine non sono cosa soltanto di oggi, e punteggiano le vicende delle agitazioni operaie nel nostro Paese, si può dire, fin dalle origini: senza che spesso sia possibile tracciare una precisa distinzione tra violenza collettiva organizzata e violenza individuale. Purtroppo la storia del movimento sindacale italiano è stata condotta quasi sempre a livello di vertici, e da quel che si è scritto si apprende dunque assai poco degli eventi attraverso i quali l'egemonia dell'organizzazione si affermò concretamente sull'insieme dei ceti operai. È un fatto, però, che la storia del sindacato sarebbe incomprensibile al di fuori della lotta, talora sanguinosa, contro il crumiraggio, dei metodi anche violenti di picchettaggio, del ricatto sull'ordine pubblico come parte essenziale dei conflitti di lavoro, anche a sfondo esclusivamente economico. Amendola denuncia con giusta indignazione gli atti di brutalità ai danni di capi reparto e di tecnici della Fiat di cui si è venuti a conoscenza nelle ultime settimane. Ma ha forse dimenticato gli ingegneri rapiti al tempo dell'occupazione delle fabbriche, i fatti di sangue seguiti al 1945, le violenze contro impiegati e dirigenti moltiplicatesi durante l'autunno caldo? Tutto ciò non può far dimenticare il ruolo del sindacato nell'avviare la violenza inerente alla lotta di classe verso l'azione collettiva politicamente o socialmente giustificata: anche se una visione non convenzionale deve attribuire al sindacato una parte non secondaria nella mobilitazione psicologica che spesso è all'origine della violenza, anche individuale. Naturalmente, questa è una parte della storia del movimento operaio italiano, che è la storia di un grande movimento sociale e politico, e che solo a questo livello può essere intesa: ma è una parte che non può essere cancellata. E la storia ha condotto il movimento sindacale ad acquistare una quota di potere tanto grande da indurre Amendola ad avvertire che «lo statuto dei lavoratori non può essere interpretato a senso unico», e che non si può ammettere «un potere sindacale superiore a quello espresso dalla maggioranza degli elettori». IL LEVIATANO In che misura questo sia già accaduto si può constatare nella pratica dell'esistenza quotidiana: ma sarebbe ora di cominciare a raccogliere le testimonianze delle enormi distorsioni determinatesi da decenni nella struttura dello «Stato di diritto» (tanto spesso invocato a proposito e a sproposito, ma non mai richiamato su questo Domenico Settembrini Le recenti uscite di Amendola, culminate nell'articolo su «Rinascita», denunciano U fallimento clamoroso dtUa politica di revisione Indolore, graduale e prudente, perseguita negli ultimi anni dal gruppo dirigente comu• nista. DI questa poUtlca Giorgio Amendola ha manovrato, volta a volta, a seconda delle necessiti, Il freno o l'acceleratore, nella convinzione, come ebbe a dire un anno fa, che «certe operazioni di mutamento bisogna sa• perle fare a tempo debito, controllando ogni mossa per evitare che lo spo• stamento di posizioni apra una frana». È evidente perdò che se il rinnovamento nella continuità fosse stato una linea concepita per portare davvero U PCI ad essere una fona del tutto omogenea al sistema In tempo utile rispetto alle esigenze del Paese, U processo avrebbe dovuto essere onnal pervenu• to al suo logico sbocco. Questo sostiene del resto la propaganda ufficiale del partito, che seguita ad addossare alla DC la responsabUità esclusiva per la rottura della maggioranza di emergen1.a. Come si spiega allora da parte di Amendola un attacco al sindacati e al PCI che equivale ad attribuire invece proprio all'azione di queste due forze, al populismo eversivo della prima e alle contraddizioni della seconda, l'lm• passe a cui è giunta la poUtlca del compromesso storico? SI ha l'impressione che, per aver voluto essere troppo cauto, quando bisognava invece rl• schiare, oggi Amendola non esiti a rlcom,re alla dinamite, anche a rischio di provocare incontrollabill valanghe. Lo muove l'oscura percezione che, dopo avere preservalo fin troppo bene gli Interessi corporativi del partito, a spese di quelli del Paese, li rinnovamento nella continuità rischi ora di precipitare in un comune disastro l'uno e l'altro. Onnai è però troppo tardi. Onnal la salvezza della democrazia In questo Paese esige il sacrificio brutale degli Interessi corporativi che si celano dle· tro l'unità del PCI. Sembra che anche Amendoia vada convincendosene. Se riuscirà nell'intento, cosa quasi impossibile, ce ne rallegreremo con lul. Se finirà schiacciato, o isolato, dalla reazione del corporativismo offeso, personalmente non dovrà piangere altri che se stesso. 9
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