lo della difesa del dollaro, la cui flessione ha esercitato un potente effetto di accelerazione dell'inflazione attraverso l'aumento dei prezzi dei beni importati, trasmesso poi all'intera struttura dei prezzi interni. L'indirizzo restrittivo impresso sia alla politica monetaria - l'aumento del tasso di sconto e la conseguente lievitazione dei tassi di interesse sui mercati monetario e finanziario - sia a quella fiscale - la riduzione prevista nel deficit del bilancio federale dai 49 miliardi di dollari del 1978 ai 30 del 1979 e ai 29 circa del 1980 - ci induce ad alcune riflessioni sulle implicazioni di tali politiche per le economie europee. Le autorità americane devono affrontare un dilemma che comporta in ogni caso conseguenze rilevanti per l'economia mondiale ed europea in particolare. Una soluzione ai problemi prioritari dell'inflazione e del cambio può essere in un caso quella di perseguire in modo anche pili accentuato una politica restrittiva. La recessione potrebbe allora però rivelarsi più severa e perdurare facilmente fino al 1980;una situazione deflattiva di questo tipo, attraverso la caduta ciclica delle importazioni, ridurrebbe i livelli di attività economica in tutti i paesi industriali, «esportando» così in modo diretto la recessione americana all'economia mondiale. Se invece le autorità USA, dinanzi ad una contrazione troppo marcata del reddito e dell'occupazione e con i pericoli di una ripresa produttiva lenta e incerta, fossero indotte ad attuare politiche di sostegno della domanda - una politica monetaria più espansiva accoppiata a possibili misure fiscali - l'inflazione e la flessione del dollaro non sarebbero arrestate e gli effetti recessivi indotti da tali aumenti dei prezzi sull'economia americana (la caduta del reddito reale e quindi dei livelli di spesa che deriva dall'aumento dei prezzi) potrebbero produrre una situazione generalizzata di «stagflazione». Inflazione e svalutazione del dollaro infatti implicano aumenti dei costi e dei prezzi per le economie europee in quanto i paesi produttori di petrolio e altre materie prime innalzano i loro prezzi in dollari, mentre la stagnazione americana contrae le esportazioni e quindi la domanda globale degli altri paesi industriali. In questo secondo caso la recessione con inflazione USA sarebbe «esportata» in modo indiretto all'economia mondiale: il meccanismo è ovviamente più complicato che nel primo caso e l'ampiezza degli effetti finali assai meno sicura e facile da valutare. I LETTERE I n mestiere di strappabiglietti Caro direttore, Tutti sappiamo che i cinema sono in crisi e che non il sistema sociale ma la tecnologia ne è direttamente responsabile; è infatti logico che la gente preferisca stare a casa a vedersi in pace un film alla TV inveceche uscire. I cinema sono quindi in crisi e chiunque se ne può accorgere andandoci una sola volta. Il problema quindi è quello di diminuire i costi, riducendo il personale. Ora in Italia esiste un posto di lavoro che è quasi sconosciuto in altri paesi europei, quello dello strappabiglietti del cinema. C'è infatti una persona che ha il compito principale di afferrare il biglietto che ci è stato appena rilasciato dalla cassiera per strapparlo in due, dandocene una parte e deponendo l'altra in una specie di cassetta. La logica richiederebbe che, dovendo risparmiare sui costi e quindi sul personale, perché in un cinema la spesa per la pellicola non sembra comprimibile, sia logico fare a meno del personale inutile, cioè dello strappabiglietti. Ma «l'occupazione non si tocca!» tuonano i sindacati. E allora IL LEVIATANO È comunque un problema complesso quello che le autorità di governo americane devono affrontare, condizionate da una congiuntura politica interna difficile in cui politiche di tipo severamente deflattivo non sembrano certo quelle appropriate per ottenere quel consenso di cui la presidenza ha bisogno prima dell'anno elettorale. la questione viene regolata... chiudendo il cinema nel suo complesso. Accade cosi che, per difendere il posto di lavoro dello strappabiglietti, si viene a far perdere il lavoro anche alla cassiera e all'operatore. A meno che non intervenga lo Stato ad acquistare il cinema. Manlio Scarpa, Roma Pellicani: trasformismo o contraddizione? Egregio Signor Direttore, ho letto con interesse il primo numero del Leviatano e spero e auguro che il diversificato gruppo dei suoi collaboratori dia un buon contributo di idee per mettere in sesto questa nostra acciaccata democrazia. Unica stonatura: I'«impertinente» attacco a Luciano Pellicani, malamente tacciato di conversione sospetta o di trasformismo. Il documento degli intellettuali socialisti non solo «non è particolarmente chiaro», ma è tale che - a seconda che lo si legga - gli si posson dare le più divergenti interpretazioni. Un documento, dunque, destinato a non aver esiti e ad abortire. Chi l'ha firmato, si tratti di Bobbio, di Ruffolo o di Pellicani può aver fatto uno sbaglio come capita spesso a chi si travaglia nei partiti nostrani, ma non per questo può essere tacciato di malafede. Per fare altrimenti bisoGiorgio Gomel gnerebbe contraddirsi e attribuire al documento quel pregio di chiarezza che invece e giustamente gli si nega. Vindice Cavaliera, Roma Un'intervista di Agnelli Caro Savelli, ti segnalo una bella intervista, oggi smentita, di Agnelli, che diceva di affidare il governo a DC e PCI, unica soluzione per l'Italia (ma oggi fa dire che disse qualcosa di simile, ma non proprio quello, un anno fa «Fortune»). È proprio l'uomo che, per la sua squadra, la Juve, ha investito un miliardo nella schiappa Virdis, che neppure voleva andarci, e ha buttato dalla finestra l'investimento Rossi! Se fa gli stessi investimenti in industria e in politica, non c'è da stupirsi se i nostri affari vanno a rotoli. Spero anche che dirai qualche cosa dell'ultimo discorso di Berlinguer, il cui significato è chiaro: sacrifici si, ma solo per il nostro regime. È quel che è stato regolarmente applicato in tutti i loro esperimenti. Questa volta si tratta di applicarlo senza esplicita rivoluzione, neppure del partito armato (?), e senza l'esercito rosso. Ma i partiti detti democratici sono cosi gonzi che possono accettare, anche perché sempre più tremano dinanzi a Mosca. Giacinto Bertuletti, Viterbo 15
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