STATI UNITI Tra inflazione e deflazione I PROBLEMI CONNESSI ALLA «CRISI» dell'economia americana sono oggetto da qualche tempo di diagnosi e dispute che, su diversi livelli di analisi - quello della teoria economica, quello della storia economica, quello della politica internazionale, quello dei sistemi politici comparati, ecc. - cercano di isolare le «cause» della «crisi» stessa e di indicare possibili esiti o di suggerire, quando le tentazioni normative sono irresistibili, i modi di superarla. Cercare una sintesi che riconcili tale diversità di approcci e di problemi è difficile, quando si intenda evitare la solita ovvietà e retorica sulla crisi del capitalismo, di quello americano in particolare. È apparente comunque che l'economia americana attraversa dal 1973 una transizione da un modello di sviluppo che negli anni '50 e '60 consenti al sistema di conseguire ritmi elevati e assai stabili di espansione del reddito e dei consumi privati, senza inibire peraltro il processo di accumulazione del capitale, ad un modello che presenta invece squilibri e disarmonie profonde con connotati ancora non ben delineati, ma in cui sembrano dominare elementi di crisi e di stagnazione. Le implicazioni politiche e socio-culturale di questa transizione possono essere assai importanti nel medio periodo: è stato osservato infatti che il sistema capitalistico americano ha potuto, nel corso della sua storia, produrre consenso e ottenere legittimità nella società rispetto a sistemi sociali alternativi, proprio in quanto ha saputo dimostrare nella realtà di essere in grado di assicurare un reddito e uno standard di vita decenti e in aumento a tutta (o quasi) la collettività. Può essere assai più difficile mantenere tale legittimazione e contenere la conflittualità del sistema sociale in un contesto di stagnazione economica, in particolare se l'esigenza di riattivare il processo di accumulazione del capitale, fortemente rallentato in questi ultimi anni, imporrà una caduta del reddito della collettività. Senza insistere tuttavia su questi aspetti, cerchiamo invece di esaminare alcuni andamenti recenti dell'economia americana e delle politiche monetarie e fiscali perseguite dal governo USA, con particolare enfasi sulle interdipendenze fra l'economia americana e quelle europee e quindi sulle implicazioni dei possibili indirizzi di politica economica che saranno adottati dagli Stati Uniti sulle vicende delle economie occidentali. u L'economia americana, dopo essersi ripresa dalla recessione del 1974-75- sebbene con -tassi di disoccupazione superiori al 6%, disavanzi cospicui di bilancia dei pagamenti e investimenti inferiori ai tassi medi degli anni pre-1970 - è entrata in una fase ciclica recessiva nel secondo trimestre del 1979, segnata da una caduta del prodotto nazionale lordo in termini reali ad un tasso annuo del 3,3 per cento. La disoccupazione permane attorno al 6 per cento (dopo essere lievemente diminuita nel 1978); i consumi privati hanno subito una contrazione, mentre gli investimenti non sembrano essersi ridotti, escluso il settore delle abitazioni. Le previsioni ufficiali del governo americano segnalano comunque una recessione moderata, assai meno severa di quella del 1974-1975sia come ampiezza sia come durata; il prodotto lordo in termini reali dovrebbe contrarsi dell' 1-2 per cento nel 1980, mentre nel 1974-75 il ciclo recessivo durò ben 16mesi. Questo tipo di attese circa la modesta entità e durata di questa fase del ciclo deriva da ragioni di tipo interno e internazionale: fra le prime la discreta dinamica degli investimenti e il non eccessivoaccumulo di scorte (che invece si verificò verso la fine del 1973e che accelerò la recessione produttiva quando nel 1974 ebbe inizio il processo di decumulo delle scorte stesse); fra le seconde la minore gravità dell'aumento del prezzo del petrolio (l'incremento previsto nelle importazioni petrolifere in valore è del 30 per cento circa fra il 1978 e il 1979, rispetto ad un incremento superiore al 200 per cento verificatosi tra il 1973e il 1974), il più modesto rincaro delle materie prime non energetiche e la minore sincronia ciclica dell'economia mondiale (diversamente dal 1974-1975in cui la recessione interessò in modo pressoché simultaneo tutti i paesi industriali). Il fattore di novità e di maggiore incertezza circa l'esito della crisi in corso e gli indirizzi di politica economica del governo USA risiede comunque nell'elevato e finora crescente tasso di inflazione e nella persistente debolezza del dollaro: l'aumento dei prezzi al consumo nella prima metà del 1979 a un tasso annuo del 13per cento è derivato essenzialmente dal rincaro dei prezzi alimentari e del petrolio, accelerato dal declino della valuta americana sui mercati mondiali dei cambi, che, seppure arrestato dalle misure restrittive dell'ottobre 1978, è ripreso con vicende alterne dal mese di giugno di questo anno. L'andamento dell'inflazione da un lato e dei tassi di cambio dall'altro condiziona in modo decisivogli indirizzi di politica monetaria e fiscale del governo USA. La riluttanza finora mostrata dalle autorità americane a imprimere impulsi espansivi all'economia in un momento di stagnazione della domanda globale deriva proprio - oltreché dalle previsioni circa la modesta ampiezza della recessione iniziata - dalla priorità che esse assegnano ormai da tempo all'obiettivo della riduzione dell'inflazione accoppiato a quel20 NOVEMBRE 1979
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