Nei volumi muliniani l'impronta politica de/l'augusto finanziatore si avverte, e come. Ma il pluralismo delle voci è, in certa misura, assicurato nelle sillogi saggistiche, l'informazione è seriamente curata, e la documentazione di prim'ordine. Si deve piuttosto avvertire di un rischio, che è nell'aria: che di questa occasione di dibattito e di studio si faccia una ennesima «operazione culturale». Sotto il segno, parlando alla grossa, di quella che oggi va sotto il nome di «cultura della Grande Intesa»: la proposta cioè di una cultura di regime, atta a collocarefra gli estranei chiunque non condivida le asserite basi di convergenza spirituale del novanta per cento della comunità popolare italiana. La linea argomentativa è già pronta, sulla scia di una recente e discussa ricostruzione storiografica della figura di De Gasperi. Costretto a subire una indesiderata rottura con il PCI, e contenendo/a comunque nel minimo necessario sul piano immediato, il leader democristiano avrebbe in pari tempo dato delega al gruppo dossettiano di predisporre sul piano strategico, e cioè nella Costituzione, l'alveo di un diverso possibile futuro politico, nel quale le due grandi correnti popolari erano destinate a riconfluire. A tanto quel gruppo era specialissimamente attreuato, sia per posizione politica più idonea ad una mediazione con la sinistra, sia per bagaglio teorico congeniale a quella sintesi operativa di valoridi giustizia e di libertà, che fallì invece agli uomini del partito d'azione. Di qui taluni corollari di politica costituzionale, che la scoppoliana Lega democratica annuncia di voler trarre pubblicamente fra breve. Senza dubbio una costituzione, in quanto costituzione, contiene molti possibili futuri. Ma proprio in quanto quadro di essi, sembra assurdo asserire che ne prefiguri uno determinante. Risorgerebbero allora le tesi alla Lelio Basso, secondo le quali il primo trentennio di vita costituzionale italiana si sarebbe svolto, appunto, tutto «fuori alveo» in ragione del tipo di maggioranze politiche prescelte. Quanto alla mediazione dossettiana, c'erano molti tipi di dossettiani sotto la volta del cielo in quel tempo, come vicendesuccessive si sono incaricate di mostrare. Ma quali idee nutrisse, ad esempio, il Dossetti in ordine al sistema rappresentativo, lo spiegò egli stesso di li a poco ai «giuristi cattolici» discorrendo di Funzioni e ordinamento dello Stato moderno in una relazione che non pochi allora, a sinistra, trovarono assai inquietante: anche nel convegno qualcuno si levò a dire che si era recitato il De profundis alla Costituzione. E quanto a La Pira, o non si tratta di quello stesso che volevafarci in Italia il regalo di collocare la Santissima Trinità in testa alla Costituzione? Ci è caduta ora sott'occhio una nota di diario di Croce, anticipata dal nipote Piero Craveri, sui giorni dell'articolo 5 (ora 7): «Ha poi parlato a lungo un democristiano, che mi dicono un comunista o socialista convertito, che fa vita ascetica in un convento e insegna diritto all'università di Firenze. Discorso biuarrissimo, puerile nelle spiegazioni e nei paragoni, terminato con una invocazione alla Verginee con un largo segno di croce. Ha parlato poi il Togliatti, sottile e cupo di minacce... ». Se gli intellettuali organici della Grande Intesa hanno intenzione di rassicurarciin ordine al corso di cose italiane che volgono alla mente, forse è meglio evitino, almeno per qualche tempo, di farci curvare di nuovo su certe fonti, costringendoci a darne illustrazione. " Stampa e libri di regime ÀsouRE LE SOVVENZIONI ALLA STAMPA, abolire il prezzo imposto CIP dei quotidiani, abolire la S/PRA, abolire l'Ente cellulosae le sue «assegnazioni» di carta, abolire l'ordine dei giornalisti: la «dottrina delle cinque abolizioni» ha conferito al recente convegno del centro di studi giuridici dei radicali grande vivacità e richiamo. Naturalmente, al preuo libero dei giornali e allafine delle sovvenzioni si può e si deve arrivare allo sbocco di un piano quinquennale di risanamento di un settore industria/e in crisi. Naturalmente, la SIPRA deve continuare a vendere la pubblicità radiotelevisivaal più alto prezzo consentito dal mercato, mentre non è ammissibile, al suo interno o al suo fianco, un 'agenziastatale che convogli la pubblicità verso determinate testate giornalistiche a preferenza di altre; naturalmente, non si vede perché l'Ente cellulosa debba funzionare come cassa di erogazioni ai giornali quotidiani, ma può ben avere una sua funzione specifica,salve le competenze costituziona.'ide/le regioni in materia di agricoltura, in ordine alla sperimentazione di tecnologie idonee a fronteggiare la crisi mondiale della carta. Naturalmente l'ordine dei giornalisti con l'insieme dei congegni di legge e di 1:ontrattoche tendono a farne una corporazione chiusa non ha ragion d'essere in una democrazia fondata sulla più ampia circolazione dei messaggi e delle informazioni, e dove· la difesa del lavoro subordinato è affidata ai sindacati: ma residuano poi problemi previdenziali e di tutela di fondi creati con private contribuzioni, che i giornalisti hanno semmai il torto di difendere isolatamente, cioè corporativamente. Tutto ciò non toglie che l'inizuitiva sia fra le migliori di quelle (non proprio tutte felici) che vengono dall'area radicale, mettendo come mette sotto accusa alcune dellepiù insidiose redini di «regime», che mentre procurano a ministri e politici il delicato piacere periodico di deferenti visite dei padroni della grande stampa, contribuiscono per non poco a caratterizzare la nostra cultura militante come una <<culturadi sottogoverno». Come sta a mostrare, in quel progetto Aniasi che pure in molti punti riflette un compromesso equilibrato ed apprezzabile, l'impagabile aggiunta di un sesto sistema di corruttela: tre miliardi in contributi ai libri «di qualità» a favore degli editori che abbiano pubblicato «almeno un'opera». li che implica o una lettura preventiva dei testi, cioè censura dei riprovevoli e scelta di quelli graditi, o la formazione di liste di scrittori, direttori di collana ed editori meritevoli di fiducia «a scatola chiusa», cioè anteriormente alla pubblicazione. La politica italiana è spesso vile; ma che la viltà protegga se stessa imponendo con metodi pretini il silenzio alla cultura, e popolando le anticamere di commissioni parlamentari o ministeriali di editori e agenti editoriali che fan ressaper esserepreferiti ai loro colleghi, questo non è solo vile, è infame. 13 NOVEMBRE /979
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