sure di per sé non fasciste, le faceva fascisticamente, cioè con la dittatµra e per rafforzare la dittatura. Era insomma la perdurante pretesa del fascismo di realizzare un giorno un obiettivo senza comune misura con quanto effettivamente andava facendo nel campo economico-sociale, che l'obbligava, per essere credibile anche di fronte a se stesso, a soffocare le istituzioni politiche liberali, dando cosi anche al riformismo un senso fascista e quindi obiettivamente antiriformista. Qualcosa di analogo e insieme di contrario, in ragione di tutte le differenze esistenti tra i due movimenti, sta accadendo al PCI. Diversamente dal fascismo, il comunismo italiano, almeno da qualche anno in qua, moltiplica infatti le dichiarazioni di fedeltà perpetua ai principi politici del liberalismo, dichiarazioni della cui sincerità soggettiva in molti casi sembrerebbe eccessivo dubitare. D'altra parte, il PCI non solo non ha ancora il potere, ma la sua pretesa di dare un significato rivoluzionario e comunque anticapitalistico a un'allenza con partiti che anticapitalisti non sono e addirittura a misure che, come quella di «fare camminare i treni in orario» o di «restaurare la logica di mercato», hanno per lunga tradizione acquisito semmai un significato antisovversivo e antirivoluzionariò, è parte integrante della sua strategia per conquistare il potere, considerato indispensabile per portare a termine la rivoluzione. Ma l'unico significato rivoluzionario di misure di per sé antirivoluzionarie può consistere esclusivamente nel fatto che da una parte esse siano desiderate dall'opinione pubblica e che dall'altra solo la presenza del PCI nel governo riesca a garantirne la realizzazione. Con il credito cosi acquisito, il PCI potrebbe poi coQsolidare la propria presa sul potere, necessario domani, restaurata l'economia, a portare l'Italia IL LEVIATANO fuori dal capitalismo lungo i sentieri avventurosi della «terza via». Se il PCI si adoperasse invece perché un governo interamente non suo riuscisse a ristabilire la situazione contro le forze apertamente antisistema, contro il populismo diffuso e contro il corporativismo sindacale, si scaverebbe alla fine con le sue mani un abisso incolmabile sulla via del potere, rendendo cosi del tutto incredibile la pretesa di giungere alla rivoluzione con misure riformistiche. Ecco allora spiegato perché negli ultimi tre anni il PCI, mentre a parole professava la sua volontà di raddrizzare l'economia e reinstaurare l'ordine democratico, di fatto ha coperto o non sufficientemente contrastato le forze che premevano per misure esattamente contrarie, finendo cosi col rompere con la OC proprio perché questa, oltre a non accoglierlo nel governo, neppure lo secondava con la necessaria arrendevolezza in quest'opera di copertura. L'analogia col fascismo serve dunque a chiarire come una politica spicciola che sia nei fatti o nelle intenzioni riformistica, ma che non si inquadri, come tutte le vere riforme, nel disegno di migliorare e quindi rafforzare il capitalismo democratico, o consegue risultati addirittura opposti a quelli riformisti (fascismo), oppure si traduce nell'inconcludenza e nella stasi più complete (compromesso storico). Il fatto che il PCI non sa, non può o non vuole portare a termine la trasformazione da partito antisistema in partito prosistema è dunque la ragione profonda che, come rende impraticabile alla sinistra italiana la politica dell'alternanza, cosi ha fatto fallire, e farà sempre fallire, a tutte le coalizioni di cui il PCI faccia comunque parte, anche il limitato obiettivo di «far funzionare lo Stato». Le «inadempienze delle DC», su cui invece esclusivamente insistono Di Giulio e Rocco, hanno avuto al confronto un ruolo relativamente minore nel fallimento dell'operazione e sono state soprattutto il più delle volte di segno esattamente opposto a come suonano le critiche del PCI, consistendo esse nel non fare con sufficiente determinazione e tempismo o nel non fare affatto quanto oggi anche Giorgio Amendola riconosce indispensabile per raddrizzare la situazione disastrosa del Paese. La sua recente intervista all'«Europeo» smentisce punto per punto tutte le tesi del libro di Di Giulio, rendendolo ai fini della propaganda del PCI nato-morto e quindi inutile. Non è, beninteso, che Amendola sia più intelligente o più liberale di Di Giulio. e, la politica del PCI che per la pretesa togliattiana di innestare l'illuminismo sullo stalinismo, il gradualismo sul sovversivismo, le migliori tradizioni della civiltà occidentale sulla barbarie del dispotismo orientale, è presa in un nodo di contraddizioni destinato a farsi sempre più stretto. Gli uomini, finché accettano di stare al gioco, sono solo comparse e in quanto tali perfettamente intercambiabili nei ruoli e nelle posizioni. JJ
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