Il Leviatano - anno I - n. 1 - 4 novembre 1979

e poi del nazionalismo fascista, le delusioni della seconda guerra mondiale avevano bensì costituito una critica radicale delle vecchie ideologie, ma non erano bastate a dar vita a un nuovo patrimonio di princip'ì e di indirizzi politici. Se questi ceti si schierarono così largamente sotto l'egida della DC non fu certamente per una subitanea adesione ai princip'ì del cattolicesimo politico ma solo nella disperata ricerca di una ultima «diga» contro il comunismo. Non si dimentichi, del resto, che dei 12 milioni di votanti per la DC 10 avevano votato monarchia nel referendum istituzionale; mentre il grosso dei votanti per la repubblica veniva dalle file delle sinistre marxiste, decisamente schierate all'opposizione sotto la guida di un partito con larghe venature rivoluzionarie. Fino all'avvento del centro sinistra la nuova repubblica venne dunque governata da forze che in gran parte non l'avevano voluta, e combattuta invece dalla maggioranza di coloro che avevano votato in suo favore. · All'inizio uno Stato eretto su fondamenta di questo tipo poteva dunque contare su un consenso assai esteso ma di carattere piuttosto statico e passivo, e accusava una visibile povertà di quelle energie morali che nascono da una convinta adesione agli obiettivi della collettività politica: senza contare la distanza che tuttora separava i gruppi minoritari ma importanti del cattolicesimo politico da uno Stato in larga misura ereditato dalla tradizione laica e liberale. Certo, l'esperienza democratica, l'ingresso dei socialisti nel governo, il «miracolo economico» alla vigilia del '68 avevano modificato notevolmente la situazione iniziale. La graduale diffusione del benessere contribuì ad allontanare le mitologie nazionaliste e a legare molti strati medi allo Stato con i legami concreti dei vantaggi sociali ed economici, mentre la partecipazione socialista al governo significò certamente un allargamento della base democratica dello Stato. Si può deplorare che a questo processo non si sia accompagnato un movimento analogo sul terreno culturale, abbandonato dalla debolezza intellettuale dei cattolici e dalla impotenza politica delle forze laiche alla penetrazione marxista, con conseguenze che furono specialmente gravi nel inondo .delle uhive~sità. · A,ps che a questo si deve se la crisi del I968 colse il regime democratico quando questi processi erano ancora largamente incompiuti. li venir meno del senso di responsabilità a tutti i livelli, la ricerca affannosa di alibi di ogni genere, i cedimenti indecorosi di cui si fu testimoni allora e negli anni successivi (a non contare le illusioni di molto cattolicesimo di sinistra) hanno dato la misura delle fragilità delle istituzioni alle quali il popolo italiano aveva affidato il proprio avvenire. Una riflessione su ciò che allora accadde nei settori più importanti della vita del paese, dalla scuola all'industria alle stesse forze armate, potrebbe essere l'avvio a un esame di coscienza che forse ha tardato anche troppo. IL LEVIATANO · LA CRISI ITALIANA GIUSEPPE BEDESCHI Tra scienza e utopia S1 SAREBBE ANCHE POTUTO PENSARE che la grande ubriacatura ideologica che ha caratterizzato la sinistra alla fine degli anni sessanta e negli anni settanta, fosse ormai finita o stesse per finire. Allora andavano a ruba i libri di Marcuse, traboccanti di l(ÌS polemica contro la scienza, la tecnica, l'organizzazione industriale del mondo moderno. Il lavoro stesso veniva condannato senza incertezze e senza esitazioni. Nel lavoro, diceva Marcuse, si tratta sempre della «cosa». «Lavorando, il lavoratore è 'presso la cosa', sia che stia dietro una macchina, o che progetti piani tecnici, o che prenda delle misure organizzative, o che studi problemi scientifici, o che istruisca degli uomini. Nel suo fare si lascia guidare dalla cosa, si assoggetta e ubbidisce alle sue leggi, anche quando domina il suo oggetto, ne dispone a piacere, lo guida e lo mette in moto». Nel lavoro l'uomo non è «presso di sé», non lascia accadere liberamente la propria esistenza, bensì è posto al servizio dell '«altro da sé», è presso l' «altro da sé». Al lavoro veniva contrapposto il gioco, perché «giocando, l'uomo non si conforma agli oggetti, alla loro regolarità per così dire immanente», e perché, insomma, solo nel gioco l'uomo giunge a se stesso, «in una dimensione della sua libertà che gli è negata nel lavoro». Marcuse non arretrava di fronte alle conclusioni più sconcertanti, e che d'altra parte discendevano logicamente dalla sua posizione: «Un singolo lancio di palla da parte di un giocatore rappresenta un trionfo della libertà umana sull'oggettività che é infinitamente maggiore della conquista più strepitosa del lavoro tecnico». Marcuse ha, a suo modo, impersonato una epoca. Ma i suoi libri non stati certo i soli documenti della grande sbornia che ha ottenebrato il cervello della sinistra (extraparlamentare, ma non soltanto). In quegli anni si moltiplicarono le versioni del marxismo in chiave irrazionalistica, che cancellavano in esso qualunque eredità illuministica, qualunque tentazione 'scientistica', qualunque pretesa 'industrialistica'. Il marxismo diventava così in primo luogo una filosofia dei 'bisogni radicali', da appagare subito prescindendo completamente dal problema della creazione dei mezzi materiali capaci di soddisfare quei bisogni. Dalla Cina, d'altro canto, ovvero da un paese in preda alle 9

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