Il Leviatano - anno I - n. 1 - 4 novembre 1979

L'URSS non è certo una potenza militare di second'ordine. Secondo le stime dedica alle spese militari tra l' Il e il 13 OJo del prodotto nazionale lordo, di cui solo il 300'/oper gli stipendi al personale, gli Stati Uniti sono scesi al 4,90'/o,di cui il 600'/oper il personale; l'URSS ha più missili intercontinentali (1400 contro 1054), rampe sottomarine (950 contro 656), uomini alle armi (3.658.000 contro 2.022.000), carri armati (50.000 contro 10.500), pezzi di artiglieria (40.700 contro 18.000), aerei tattici (4.350 contro 4. 164), navi ( I. 769 contro 458) rispetto agli Stati Uniti. In questo contesto l'URSS decide di potenziare i propri missili a medio raggio, diretti contro i paesi europei, installando circa 100 SS-20 a testata multipla. A questa modificazione dell'equilibrio militare in Europa, come si potrebbe rispondere se non ricreando l'equilibrio, con il programma di riarmo dei missili da crociera e dei Pershing II? Certo, i comunisti non sono sciocchi come i radicali, che propongono il disarmo unilaterale dell'Occidente. Certo, dichiarano che l'equilibrio militare è importante per il mantenimento della pace, pur interrogandosi pensosamente se, in effetti, i nuovi missili sovietici quest'equilibrio abbiano modificato. Certo, hanno accantonato le posizioni di qualche anno fa, quando chiedevano l'uscita dell'Italia dalla NATO e lo smantellamento delle basi militari, spiegando che i guerrafondai erano gli americani e che i russi erano «partigiani della pace». Sfuggono però, unici tra i partiti seri, alla questione che si impone oggi, accettare il riarmo, rifugiandosi nelle fughe in avanti di improbabili conferenze tra paesi atlantici e Patto di Varsavia, proponendo di esperire tutti i tentativi perché l'equilibrio si ricrei a un livello più basso, titolando perfino, demagogicamente, un editoriale dell'«Unità» Un missile agli affamati. Bene. Anche noi siamo d'accordo che l'equilibrio potrebbe, dovrebbe anzi, essere ricercato ai livelli più bassi. Anche noi pensiamo che una riduzione delle spese militari su scala mondiale e la destinazione di una parte delle risorse così risparmiate all'aiuto per i paesi del terzo mondo sarebbero moralmente e anche politicamente, decisioni più apprezzabili e sagge. Chiedano dunque i comunisti ai compagni sovietici di smantellare gli SS-20 già installati e di destinare al terzo mondo i fondi stanziati per i missili futuri; l'Occidente e l'Italia risparmieranno così i soldi per i Cruise e i Pershing, con beneficio di tutti. Ma in attesa che i sovietici si decidano, i comunisti italiani continueranno la politica dello struzzo o sosterranno il riarmo europeo? IL LEVIATANO LA CRISI ITALIANA L....-- __ f ROSARIO ROMEO Uno Stato troppo fragile OGNI GIUDIZIO SULLA CRISI CHE HA investito il nostro paese nell'ultimo decennio dipende in larga misura da quello sul precedente periodo di espansione. Ma su questo terreno le valutazioni sono tutt'altro che concordi. Se i successi clamorosi del «miracolo economico» avevano sollecitato, soprattutto fra il 1959 e il 1968, apprezzamenti positivi e previsioni ottimistiche, la prospettiva si è nettamente rovesciata sotto l'incalzare delle difficoltà degli ultimi anni. Le «distorsioni» dell'economia, gli squilibri fra settori e zone diverse del paese, il «consumismo», la necessità di cambiare il «modello di sviluppo», sono stati al centro del dibattito culturale e politico: salvo a riconoscere in misura crescente, come si è fatto in questi mesi, che i settori più vitali della nostra economia sono proprio quelli caratterizzati con le etichette del «lavoro nero» o dell'«economia sommersa», nei quali per molti aspetti rivive Io «spontaneismo» e lo «sviluppo senza programma» degli anni del «miracolo». Un punto resta fermo in ogni caso, nonostante i molti tentativi di metterlo in discussione. Qualunque fossero gli equilibri da cui era caratterizzata, l'espansione dell'economia italiana fino al 1968-69 si resse su basi economicamente sane, e tali da garantire una crescita ragionevole nel medio periodo, se non fossero poi intervenuti fatti esterni ad arrestarla. Superata la crisi della «congiuntura», a partire dal 1966 l'incremento del reddito nazionale in termini reali era tornato su livelli del 5,5 per cento. Gli investimenti, che in quell'anno erano cresciuti del 6,1 per cento, nel 1967 erano aumentati dell'll,1 per cento. L'occupazione, che nel 1966 aveva toccato il minimo di 19.157.000 unità, nel 1%769 era risalita a una media poco inferiore a 19.400.000. Su un terreno più solido si muovono probabilmente coloro che insistono sugli effetti «destabilizzanti» di un processo di sviluppo così rapido. I 4 milioni di emigrati dal Mezzogiorno, 2,5 milioni dei quali trasferiti nel Centro Nord, il crollo degli addetti ali 'agricoltura dal 42,4 al 22,0 per cento degli occupati fra il 1952 e il 1968, con il correlativo aumento di oltre il 42 per cento registratosi nella popolazione urbana del Centro Nord, sono alcuni indici dei rivolgimenti verificatisi prima dei fatti 7

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