Il Leviatano - anno I - n. 1 - 4 novembre 1979

I IL PRINCIPE IN REPUBBLICA I I POLITICA ITALIANA I (a cura di Paolo Ungari) I giacobini di turno IL CAPO DELLO STATO CHE VUOL LIVELiare la durata del suo incarico su quella del parlamento, pur con l'opportuna aggiunta dell'abolizione del «semestre bianco»; un presidente della Camera che suggerisce con insistenza di affievolire la funzione politico-legislativa del Senato, pur accentuandone quella di controllo; esponenti dei grandi partiti che progettano di semplificare lo schieramento parlamentare eliminando dalla scena (secondo un 'inchiesta di «Mondoperaio») otto su dodici delle formazioni politiche oggi rappresentate; autorevoli consiglieri giuridici della sinistra che raccomandano ora l'elezione popolare diretta del presidente della Repubblica, ora (ad esempio) il ritorno del pubblico ministero alle dipendenze del ministro guardasigilli controllato e indirizzato dalla Camere, cioè dai partiti. E ancora: dopo l'allineamento della durata del Senato su quella della Camera (dal 1953), dopo la riduzione a nove anni del periodo di mandato dei giudici costituzionali con eliminazione contestuale della prorogatio ed altre indirette limitazioni dell'indipendenza della Corte, chi è in vena di abolizione propone anche quella del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, senza peraltro offrire soluzioni di ricambio al medesimo problema sostanziale. Che cos'hanno in comune queste ed altre soluzioni, destinate a riversarsi nel gran pentolone di nebbia della riforma costituzionale, interlocutorio esercizio nella ricercadi vie d'uscita alla tormentosa crisi politica italiana? È presto detto: l'insofferenza crescente per il disegno equilibratore e garantista della Costituzione della repubblica, una volta che le grandi maggioranze del 90 e più per cento si sono rivelate anche esse inette ad avere ragione della «lentocrazia» italiana. La Costituzione - si torna a ripetere come negli anni cinquanta - non può essere una trappola: ed ecco che, di fronte allo spettacolo di un potere irresoluto a ordinare ciò che si deve - intento com 'è a enunciare di continuo ciò che occorrerebbe -, avanzano le soluzioni brutalmente semplificatrici dei giacobini di turno. Ma un potere irrigidito e centralizzato, ·Ìiberato da «intralci», è democraticamente più forte? Davvero la situazione italiana non sa suggerire nulla di meglio che continuare nella linea già sostanziata nel finanziare a carico del bilancio dello Stato non già le associazioni di cittadini denominate partiti, ma i loro gruppi di comando centrali; la stessa che tendeva a semplificare due volte la nostra rappresentanza nel parlamento europeo, durante l'interminabile negoziato del Viminale, attribuendo un premio di maggioranza ai due partiti più forti e determinando gli eletti, col sistema delle liste bloccate, prima dell'apertura della campagna elettorale? Consideriamo, appunto, il caso dei partiti. Cancellare dalla scena le piccole formazioni politiche con una buona legge elettorale che lasciasse in vita solo i tre «di massa» e (fino a scioglimento) il MSI-DN, non rischia di respingere la protesta di sinistra e le minolscgu~ a pag. è I J IL LEVIATANO Alla riscoperta del liberalsocialismo CoN UNA CONFERENZA STAMPA TENUTASI a Roma presso lasede dell'Associazione Stampa Estera il sindaco di Milano Carlo Tognoli (PSI), il sottosegretarioagliEsteri Antonio Baslini (PLJ) e il prof. Leo Valianihanno illustrato aigiornalisti ilprogramma e le finalità del convegno internazionale di studi che si terrà a Milano il IO e 11 dicembre p. v. sul tema «Liberalismo sociale e socialismo liberale in Europa: esperienze e prospettive». Promosso ad iniziativa delle riviste «Alleanza» (di area libera/democratica) e «Critica sociale» (di area socialista), il convegno milanese sarà presieduto da Norberto Bobbio ed avrà tra i propri relatori studiosi come Aldo Garosci, Ra/f Dahrendorf, Ugoberto A/fassio Grimaldi,Domenico Settembrini, Nicola Matteucci e altri. All'iniziativa hanno aderito numerosi periodici dell'area laico-socialista, tra i quali «Nord e Sud», «Argomenti Radicali», «Ragionamenti» e «li Leviatano». All'Università di Roma democratici latitanti IL PROF. ANTONIO RUBERTI, CANDIDATO del PCI, è stato riconfermato rettore dell'Università di Roma con il voto «unitario» di socialisti, comunisti ed ultrasinistra. «Unità» e «Paese Sera» hanno a lungo inneggiatoalla vittoria, guardandosi bene, ovviamente, dal soffermarsi con un minimo di attenzione sulle cifre che hanno portato a questo risultato. li prof. Ruberti, infatti, ha vinto con 419 voti su un totale di 839professori che esercitano l'elettorato attivo per la massima carica dell'Ateneo romano, ovverosia non ha ottenuto nemmeno la metil dei suffragi degli aventi diritto. I 420 professori che non hanno votato per il candidato frontista (e cioè la maggioranza) risultano così suddivisi: 2I O non sono andati a votare, 150 hanno votato scheda bianca, 46 hanno disperso il loro voto pronunciandosi per una quindicina di loro colleghi e 14 si sono fatti annullare la scheda. Ci sarebbe da chiedersi, a questo punto, come mai tra i 420 professori che in un modo o nell'altro hanno dimostrato di non gradire il candidato comunista non si sia stati in grado di varare una candidatura contrapposta di segno democratico sulla quale si sarebbero potuti riversare anche i voti di non pochi socialisti. Pellicani convertito? UN GRUPPO DI INTELLETTUALI SOCIALISTI ha diffuso nei giorni scorsi un documento nel quale si prendono le distanze dallapolitica di solidarietà nazionale (che «deve essere circoscritta nel tempo, limitata ed estremamente concreta negli obiettivi, come si conviene a un armistizio tra fon.e di diversa e opposta (segue a pag. 21) 3

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